È da un po’ di tempo che con le nostre interviste ai casari agricoli non ci fermiamo nel Lazio, regione in cui ha sede Ruminantia. Ciò che sorprende di questa regione è tutto l’insieme di contenuti storici, naturalistici, paesaggistici, architettonici e culturali che può offrire. Conosciamo principalmente il bagaglio culturale laziale grazie a Roma, città eterna, ma il Lazio non è solo questo. Il Lazio è molto, molto di più. la parte più a nord ospita paesaggi e borghi di una bellezza straordinaria, Viterbo ha un centro medievale importante e ogni anno, all’inizio di settembre, diventa la scenografia del trasporto della Macchina di Santa Rosa, patrimonio immateriale dell’Umanità (fidatevi, è un evento molto solenne). Ci sono il meraviglioso mare del golfo di Gaeta, la bellezza delle zone termali sparpagliate un po’ ovunque, i resti delle ville romane, e poi le province a confine con l’Abruzzo, come quella di Frosinone. Ed è proprio qui che ci fermeremo, in particolare nella Valle di Comino, paesaggio montano selvaggio ed ideale per la pastorizia e la transumanza.
La prima edizione di Formaticum ci ha permesso di conoscere Agricola San Maurizio, uno dei pochi caseifici che producono il Pecorino di Picinisco DOP. Ci siamo riempiti la pancia, abbiamo conosciuto produttori nuovi e salutato quelli già conosciuti. Abbiamo fatto gioire le nostre papille gustative e chiesto il time out al trentesimo formaggio in degustazione, e questi non li ricordiamo tutti, nonostante la memoria sensoriale piuttosto spiccata. Sicuramente, del sorriso e dell’accoglienza di Maria Pia al banco di Agricola San Maurizio non ci siamo dimenticati.
Agricola San Maurizio è un’azienda agricola a conduzione familiare che si trova tra il comune di Picinisco e Settefrati, nel parco nazionale d’ Abruzzo Lazio e Molise, nel cuore della Valle di Comino. La storia dell’azienda come la conosciamo oggi parte più di trent’anni fa, quando i genitori di Maria si sposarono. All’epoca l’azienda aveva un nome diverso ed una partenza da zero. In realtà, non proprio da zero perché le conoscenze e l’esperienza nella pastorizia sono saldamente legate al passato di papà Marcello: infatti la famiglia Pia è da molte generazioni impiegata in questo settore. Rimanere nel mondo dell’allevamento era un passo obbligato, anche se ci sono cose così sentite che parlare di obbligo non è appropriato. È un passaggio naturale, è mantenere una tradizione per proiettarla nel presente e lanciarla verso il futuro.
Agricola San Maurizio oggi alleva razze autoctone, scegliendo quindi animali tipici delle greggi di questa terra. C’è stato, in passato, anche un tentativo di cambiare scegliendo razze più produttive e di tendenza, ma Marcello torna sui suoi passi per diverse ragioni: conosce meglio queste razze a tradizione locale e vuole un’azienda attenta alla biodiversità, che oggi è impegnata in un percorso di recupero di razze locali. Oggi l’allevamento di sono pecore Massese, Comisana, Sopravvissana e meticci, mentre per la parte caprina si allevano le razze Grigia Ciociara, Capestrina e Bianca Monticellana (tipica dell’area a cavallo tra le province di Latina e di Frosinone). Oltre all’obiettivo legato alla tutela della biodiversità, la scelta di utilizzare queste razze autoctone è fondamentale quando servono animali con un’attitudine alla vita all’aperto ed al pascolo in ambienti difficili, e che quindi garantiscano un compromesso anche tra quantità e qualità del latte (poco, ma buono). Come ci racconta Maria, “un’azienda così piccola deve pensare a fare poche cose ma ben fatte”. Oggi, la dimensione dell’azienda conta 600 pecore, 50 capre e 30 vacche (di razza Marchigiana e Bruna: anche in questo caso, sebbene non si tratti di una razza prettamente autoctona, è adatta alla vita al pascolo e la produzione di latte punta al compromesso tra quantità e concentrazione di grasso). C’è anche una frisona, che si chiama Sabrina, nata da un accoppiamento casuale al pascolo che però non è poi così casuale. La gestione degli animali spetta a papà Marcello ed al fratello di Maria, Antonio, che si occupano a 360 gradi di semina, pascoli e riproduzione. Ci sono poi alcuni dipendenti, piuttosto versatili.
Il latte prodotto è tutto trasformato a crudo in formaggi tipici del territorio. L’assortimento non vanta un elevato numero di tipi di prodotti, ma una selezione di formaggi e latticini tradizionali. “Niente di fantasioso, ma sono il nostro core business” ci dice Maria: Pecorino di Picinisco DOP, Burrell’ e marzolina sono parte dell’offerta aziendale. La lavorazione è interessante anche per l’utilizzo di due latti di origine diversa, che è un’altra caratteristica tipica della tradizione delle produzioni lattiero-casearie da loro condotte, portata in Valle di Comino dai parenti di Maria che effettuavano la transumanza. La maestra in caseificio è mamma Anna, che ha imparato a lavorare il latte dalla nonna di Maria. Infine, Maria si occupa di tutti gli aspetti legati ai rapporti con l’esterno, alle comunicazioni ed a nuovi progetti.
Una caratteristica importante della famiglia Pia nell’ambito della valorizzazione delle produzioni locali riguarda il coinvolgimento nel lungo iter di iscrizione del Pecorino di Picinisco tra le DOP del Lazio. All’inizio del percorso, la famiglia Pia vantava ben nove generazioni impegnate nel mondo ovi-caprino: in fatto di tradizioni, non abbiamo nulla da spiegare. Abbiamo chiesto a Maria gioie e dolori incontrati nel percorso verso la DOP: “E’ stato un lavoro molto lungo, nel quale io sono entrata in punta di piedi all’età di 21 anni. Mio padre, insieme all’allora sindaco di Picinisco, andò dai pastori a chiedere la disponibilità a creare questa DOP, che nel 1999 aveva senso fare. In tutto questo lungo viaggio, è stato fondamentale il supporto dell’agenzia ARSIAL, che ha curato la parte burocratica spianandoci la strada; Agricola San Maurizio ha lavorato sodo per fornire la documentazione necessaria a provare la tipicità di questo prodotto ed il suo legame con il territorio. Ci sono documenti storici che indicano la presenza di questo pecorino da molto tempo nella nostra valle. La parte chimica, microbiologica e sensoriale è stata curata dall’IZS, e non da sottovalutare è la parte tecnica, veramente importante: per la lavorazione, gli animali, il tipo di caglio, qualsiasi cosa sono stati fatti più incontri pubblici per prendere decisioni nella definizione del disciplinare. Questa DOP, molto piccola, esiste da 10 anni: all’inizio certificavano 20 produttori, oggi siamo rimasti in pochi. Si tratta di un piccolo mercato locale, e l’indotto che genera va al di là della DOP stessa o del formaggio: è un valore aggiunto per questo territorio.”
Ora però dobbiamo raccontare qualcosa che non tutti i caseifici agricoli fanno e che dovrebbero in realtà fare. L’importanza di un caseificio agricolo, soprattutto quando è piccolo, risiede in tanti aspetti, che hanno due linee conduttrici fondamentali: la tradizione ed il legame, nonché presidio di un territorio. Maria è molto brava a raccontare, soprattutto l’aspetto emozionale insito nelle situazioni, nelle esperienze e nella filosofia che Agricola San Maurizio vive di giorno in giorno. Spiegare cosa c’è dietro un pascolo o un prodotto non è cosa semplice: riuscire a farlo, per il caseificio agricolo crea l’effetto giusto e l’immagine esatta di questa attività.
Maria ci ha raccontato di quando ha deciso di aprire le porte della transumanza al pubblico, creando l’evento Transhumanus. Dalle sue parole, abbiamo intuito la sorpresa rispetto alle emozioni scatenate nei partecipanti: “L’evento Transhumanus è stato un momento di pazzia, quello in cui ho visto una possibilità in qualcosa che in realtà non amavo affatto. Il momento della transumanza è per me motivo di crisi, ma all’improvviso ho pensato che fosse innovativo far vivere questa esperienza ad altre persone: è qualcosa che si può fare al di là del prodotto. La nostra transumanza è breve, sono 18 km partendo da fondo valle per arrivare in montagna. È un viaggio da fare di notte perché l’animale sta più fresco, c’è meno traffico lungo le strade, e tutta una serie di motivi. Saliamo lungo le strade statali fino a raggiungere la parte di tratturo, dal quale parte il pezzo finale in montagna. La prima edizione raccoglieva un po’ di amici, quindi alla fine è partito l’”effetto caciara”. La seconda edizione, ben organizzata con guide, assicurazione e cibo, invece ha visto la partecipazione di una quarantina di persone, che ancora oggi ci scrivono perché vogliono ripartecipare!”. La transumanza, dice Maria, è un valore atavico molto forte. Veniamo tutti da popolazioni nomadi, dalle caverne fino all’allevamento. Questo viaggio è qualcosa di talmente profondo che è difficile che non colpisca in qualche modo. La testimonianza riportata dai partecipanti conferma la teoria di Maria: infatti la sensazione ricorrente tra le persone che hanno aderito all’evento, dopo il viaggio, è “quest’esperienza mi ha fatto fare pace con alcune cose”. Il seguire il ritmo degli animali, che percorrono le strade con la certezza di non perdersi, sicuri e veloci, e che capiscono quale fischio dia il via alla transumanza, è qualcosa che rimette in ordine una scala di priorità nella vita di ciascuno di noi. Speriamo anche il lockdown generi lo stesso effetto! “Le persone si stupiscono di come gli animali sappiano già la strada e di come i cani prendano posizione intorno al gregge. Lo stupore è dovuto al fatto che sono comportamenti indipendenti dalla presenza del pastore, che diventa partecipante ma assolutamente non è protagonista!”.
Ma perché Maria e la sua famiglia fanno questa cosa assurda, faticosa, che richiede tempo ed energie? “Lo facciamo solo perché stanno meglio gli animali. Non è una questione di contributi, che esistono per questa attività ma servono solo per coprire i costi. È un sacrificio che prescinde dai soldi, è un discorso di qualità e, soprattutto, di tutela di quei terreni montani che altrimenti perderebbero la fruibilità che li caratterizza se non ci fossero i pastori!”
Oltre alla voglia di comunicare la propria realtà e tradizione, Maria è spinta anche da altro: l’informazione che porta il consumatore continuamente a demonizzare gli allevamenti è per lei motivo di dispiacere, poiché va a dire a chi non conosce il nostro settore che l’allevamento è il regno del male. No, non è così, c’è allevatore ed allevatore, e soprattutto esistono anche gli allevatori estensivi. L’importanza di questa categoria trova la sua ragion d’essere in questioni sociali, territoriali, di tutela e di presidio, oltre che di promozione delle tradizioni. Dà un futuro a luoghi che altrimenti sarebbero progressivamente persi, e contribuisce ad evitare una morte a carico dell’economia, di un territorio, di un tessuto sociale. È per questo che continua in numerose iniziative a dare voce al suo pensiero: anche l’evento di sensibilizzazione in collaborazione con Caseifici Agricoli di gennaio scorso sulla convivenza con il lupo è stato molto utile, perché è stato possibile spiegare che ci si può difendere con il numero giusto di cani di razza addestrati. Il danno è inevitabile in montagna, ma è fondamentale che il lupo non arrivi allo stazzo grazie alla barriera realizzata con i cani. Insomma, la lotta integrata in alternativa all’uso del fucile!
Infine, dobbiamo menzionare un nuovo progetto di cui Agricola San Maurizio fa parte: si tratta di Pipolà, un mercato virtuale della provincia di Frosinone dove i più attenti a qualità e tradizione possono acquistare tutto il buono di questa provincia.
Ognuno di noi ha qualcosa da raccontare. Lo può gridare, può non raccontarlo, può dirlo sottovoce o con fermezza. Farlo vivere agli altri è rendere questi altri partecipi del nostro essere.