Foglie tradizionali alimenti, involucri e materiali d’affinamento

Secondo la tradizione biblica la prima cosa usata dall’uomo per coprirsi è stata la foglia di fico, come raccontato nella storia di Adamo ed Eva scacciati dal Paradiso terrestre. Nella storia dell’arte però le rappresentazioni bibliche hanno rappresentato foglie di molte specie di piante, quasi certamente secondo gli usi consuetudinari dei popoli che nei diversi luoghi e tempi usavano le foglie non più come vestimenti, ma come involucri protettivi (oggi diremmo imballaggi), per gli oggetti e soprattutto per gli alimenti, servendo anche come mezzo per la loro valorizzazione.

L’uso alimentare delle foglie ha subito nei tempi molti cambiamenti ed il loro impiego come involucri è stato sostituito con altri materiali, dalla carta alle plastiche, anche se oggi sembra ritornare, ad esempio con le foglie di banano, in quanto materiali biologici sostituibili alla plastica e facilmente compostabili dopo l’uso. Non ci si deve quindi stupire che le foglie di diversi vegetali siano state usate per proteggere i formaggi, aiutando anche la loro maturazione e sfruttando le caratteristiche compositive ed organolettiche delle diverse piante, divenendo un importante elemento di affinamento. Le tecniche stagionatura ed affinamento dei formaggi con le foglie (di vari tipi di piante: aromatiche, vite, fico, castagno, noce, acero, salvia, cavolo ecc., ) sono antiche e particolari. Le foglie posso essere utilizzate al naturale o dopo specifici trattamenti, e durante la stagionatura affinano il formaggio conferendogli aromi e sapori unici e riducendone la disidratazione mantendolo quindi più morbido.

Affinamento dei formaggi

L’affinamento dei formaggi è una tecnica che attraverso un particolare percorso di permanenza e stagionatura trasforma la loro struttura ed il loro corredo aromatico-olfattivo. Normalmente questo avviene per l’intervento di particolari condizioni anaerobiche ed attraverso il contatto con alcuni prodotti naturali, tra cui anche le foglie o altri costituenti vegetali o d’origine animale. L’affinamento dei formaggi ha origini antichissime con tradizioni che si sono sviluppate nel tempo per guidare la maturazione e la conservazione dei formaggi. Affinare è un’arte tradizionale ma deve anche creare formaggi nuovi e che comunque rispettino gli equilibri aromatici e strutturali di questo prodotto. Nonostante le leggende che enfatizzano eventi casuali, come quelle di un “formaggio dimenticato nel fieno o nascosto in una botte per evitare una rapina”, l’affinamento non è un processo casuale ma una lavorazione studiata, frutto di prove e ricerche, curata fin nei minimi dettagli, soprattutto quando si sfruttano condizioni naturali come quelle di ambiente, temperatura, umidità o caratteristiche di singoli elementi quali possono essere i materiali o gli involucri con i quali i formaggi sono a contatto durante la caseificazione e soprattutto durante la stagionatura.

Infine, affinare significa partire da un formaggio di alta qualità e lavorarlo in luoghi e condizioni particolari, come può essere il caso dell’utilizzo di spezie, erbe aromatiche, fieno, foglie e così via. L’affinatore lavora il formaggio e lo segue con attenzione in tutta la fase di stagionatura, decidendo ad esempio quando e come inoculare delle muffe, immergerlo nelle vinacce, nel vino o nella birra, avvolgerlo nel fieno o in foglie con particolati caratteristiche, o scegliere il locale di affinamento che ritiene più appropriato, come grotte naturali, cantine e così via. L’affinamento è pertanto una fase che serve a valorizzare il formaggio trasformandolo in un prodotto di qualità e di pregio dal gusto particolare ma equilibrato, e quindi in un prodotto unico ed inimitabile, frutto di esperienze spesso tradizionali ma sempre rinnovate anche dall’esperienza, sensibilità e creatività dell’affinatore quando da artigiano diventa artista.

Esiste anche l’aromatizzazione dei formaggi, procedimento più semplice in quanto il formaggio aromatizzato è ottenuto con l’aggiunta all’interno della pasta di ingredienti quali erbe aromatiche, spezie, tartufi (o anche loro aromi sintetici) e molto altro ancora. È inoltre frequente che a differenza dei formaggi affinati, quelli aromatizzati siano quasi sempre freschi o a stagionatura breve, terminata la quale il formaggio non subisce altre lavorazioni e si caratterizza solo per gli elementi che sono stati inseriti nell’impasto. L’aromatizzazione è una tecnica più rapida ed economica rispetto all’affinamento e permette di produrre fromaggi di qualità. I formaggi affinati ed aromatizzati possono essere gustati da soli o con altri cibi abbinati (mostarde, miele, marmellate e composte, ecc.); in particolare quelli aromatizzati possono essere utilizzati anche come ingredienti in cucina, mentre quelli affinati, essendo prodotti unici e particolari, vengono principalmente consumati singolarmente.

Formaggi affinati con foglie di vite

In Florida, Grecia, Egitto, Turchia ed altri paesi del dell’Est e del Medio Oriente la vite è coltivata anche per la produzione di foglie ampiamente usate in tutte le cucine mediorientali. Le foglie di vite, oltre ad essere gradevoli al palato, sono dotate di interessanti proprietà nutritive e, come i frutti, contengono acidi organici, vitamine (in particolare vitamine del gruppo C), carboidrati, sali minerali e stilbeni (resveratrolo) con numerose attività biologiche.

Le foglie di vite sono anche usate nella conservazione ed affinamento dei formaggi come la Pampanella Tradizionale, un formaggio fresco, prodotto in Abruzzo in provincia dell’Aquila ed in Puglia nelle province di Taranto, Brindisi e Lecce. Il nome di questo gruppo di formaggi deriva da pampino o pampano, la foglia di vite nella quale erano tradizionalmente serviti. Pampanella è anche il nome di una ricetta di carne molisana che deriva dall’usanza, risalente al XVI secolo, di avvolgere la carne di maiale opportunamente condita con le foglie di vite, che spesso servivano anche da piatto. Se le foglie di vite sono ancora nella tradizione di cucina della carne, nella produzione dei formaggi sono invece state sostituite da foglie di fico.

Nella Regione Marche, come in altre regioni, si produce un Pecorino stagionato a latte crudo affinato con foglie di vite. Le forme di formaggio vengono poste in grandi orci di terracotta e botti di rovere, avvolte dalle foglie di vite e lasciati stagionare finché le foglie rilasciano il profumo di mosto ed uva matura. Negli Stati Uniti, il Rogue River Blue, formaggio fatto solamente d’autunno quando il latte di vacca dà il meglio di sé, è presentato avvolto in una foglia di vite in precedenza imbevuta nel brandy alla pera.

Formaggi affinati con foglie di fico

La Pampanella Abruzzese è una cacioricotta di latte caprino di forma rotonda, priva di crosta e dal sapore delicato. La Pampanella Pugliese è un formaggio prodotto sin dal 1700 nelle masserie delle Province di Taranto, Brindisi e Lecce, realizzato con latte vaccino o misto vaccino, ovino e caprino. L’attuale metodo di preparazione prevede la pastorizzazione del latte, la coagulazione con caglio naturale alla temperatura di 38 °C per 20 minuti e la deposizione del coagulo, con una spatola e senza romperlo, su una foglia di fico, che ha sostituito la foglia di vite (precedentemente messa a bagno in acqua fresca).

Il lattice del fico ha il ruolo di conferire al formaggio il suo caratteristico profumo ed un gusto piacevolmente amarognolo e ha il potere di rassodare il coagulo, grazie agli enzimi coagulanti in esso presenti. La stagionatura ha una durata variabile che può raggiungere i tre mesi. A volte questi formaggi possono assumere la denominazione di “Pecorino Afficato”, nome inusuale o comunque trasgressivo che fa riferimento alle foglie di fico.

Nel Veneto, il Pecorino Affinato in Foglie di Fico è avvolto appunto da foglie di fico che ne garantiscono una migliore conservazione e soprattutto rilasciano il loro latticello che indurisce la crosta e le conferisce una piacevole sensazione floreale. Successivamente, il pecorino così avvolto viene lasciao maturare all’interno di barriques di rovere francese dismesse che contenevano vino Amarone della Valpolicella DOCG; così, a fine maturazione, le sensazioni di vegetale del fico si mescolano alle sensazioni vinose e vanigliate del legno di rovere francese. In Piemonte viene prodotta la Robiola di Roccaverano DOP. Esiste anche un Pecorino stagionato in fossa con foglie di fico, dove il formaggio è sistemato in sacchi di cotone per farlo deformare o in casse per mantenere la forma iniziale e di conseguenza infossato più volte durante l’anno, poiché non è la fossa a fare il formaggio, bensì è il formaggio che crea il suo ambiente facendo fermentare la fossa.

Formaggi affinati con foglie di castagno ed altri vegetali

Il Pecorino stagionato sotto foglie di castagno affinato in barrique nasce dall’esperienza dei vecchi pastori della Valdichiana, maestri nella conservazione del formaggio con materie povere, conferendo al formaggio un sapore e profumo unici. In Piemonte, nella Provincia di Cuneo, viene prodotto il Formaggio Occelli, realizzato con latte di vacca e capra e poi stagionato per circa un anno e mezzo coperto da foglie di castagno. Sempre in Piemonte, le Robiole caprine in foglia sono prodotte con foglie di castagno, ciliegio, fico e, su richiesta, anche di noce, vite e cavolo. In Provincia di Urbino, i Pecorini di latte in foglie di noce sono affinati in grotta all’interno di grandi orci di terracotta coperti da foglie di noce secondo antiche tradizioni.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.

Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti ed originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia ed in particolare all’antropologia alimentare e danche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e 50 libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.