Il formaggio in grotta del ciclope Polifemo
In uno dei più antichi libri della nostra cultura che raccoglie fatti e consuetudini di circa tremila anni fa, ovvero l’Odissea, Omero, nel Libro IX, descrive con molti dettagli il caseificio che il ciclope Polifemo ha ricavato in una grotta con un’entrata ombreggiata da lauri. Le attrezzature casearie sono costituite da secchi e vasi per la mungitura, boccali per contenere il siero residuato dalla coagulazione del latte, canestrelli intrecciati per raccogliere la cagliata e graticciati per la maturazione del formaggio nella grotta. Ai tempi omerici ben noto è il formaggio stagionato e da grattugia, e lo stesso Omero, qualunque significato si voglia dare a questa attribuzione, nell’Iliade parla di formaggio per la preparazione di una bevanda ristoratrice fatta con farine, vino e formaggio di capra grattugiato. Se vogliamo attribuire valore all’ipotesi che l’episodio di Polifemo sia situato in Sicilia, e molte sono in quest’isola le caverne e le grotte in luoghi calcarei e tufacei, dobbiamo trarre la conclusione che la stagionatura dei formaggi in grotte abbia almeno tremila anni.
Dobbiamo poi aspettare circa mille anni per arrivare a Lucio Giunio Moderato Columella (4 – 70 d. C.) che, nel Libro VII del De re rustica, ci dice che il cacio perché non possa guastarsi va maturato in un ambiente fresco e oscuro come quello delle grotte.
Maturazione e conservazione dei formaggi
La maturazione e la conservazione del formaggio è una fase importante del suo ciclo di produzione. Nel determinare le caratteristiche organolettiche del prodotto finale centrale è il ruolo del luogo, clima, temperatura ed altri fattori; e se oggi la tecnologia ha preso il sopravvento, soprattutto se si parla della produzione a livello industriale, la tradizione aveva già individuato i migliori sistemi di esecuzione. Molto importante è la conservazione dei formaggi per disporre di questo prezioso alimento anche nei mesi nei quali i formaggi freschi non possono essere prodotti, per avere un alimento di qualità per sostituire la carne e infine per avere una garanzia alimentare in caso di carestia o assedio. Sulla maturazione e conservazione dei formaggi, leggende e tradizioni si mescolano con la storia e con le esigenze pratiche di tutti i giorni e, a fianco di tecniche che erano utilizzate anche per altri alimenti, come le ghiacciaie e le neviere presenti in Italia fino agli inizi del secolo scorso, ve ne sono alcune che hanno nel formaggio il vero protagonista. Con diversità secondo le regioni e i territori, per la conservazione dei formaggi nel passato vi era l’uso del fieno, della cenere o del mosto di uva o delle vinacce, ottenendo in questi ultimi casi particolari caratteristiche organolettiche del prodotto. Tra tutte le condizioni di maturazione dei formaggi, un ruolo molto importante ha sempre avuto la scelta di ambienti particolari, come quelli a bassa e costante temperatura che si trovano negli spazi sotterranei delle cantine, delle grotte e delle fosse, con procedimenti che si ritiene fossero già noti ai tempi degli antichi romani, sia in Italia che in Gallia, nell’odierna Francia, e altri territori europei.
Grotte e fosse per la conservazione dei formaggi
Per la stagionatura e la conservazione dei formaggi in cantine, grotte o fosse, una particolare importanza hanno le caratteristiche dei materiali con i quali sono costruite o si sono formate o scavate. Particolarmente adatti sono i materiali lapidei porosi, meglio adeguati a mantenere la temperatura, come sono il tufo e le rocce calcaree e arenarie. Il tufo è una roccia sedimentaria ed è la più diffusa delle rocce piroclastiche. Sebbene il nome tufo vada propriamente riservato a formazioni di origine vulcanica, è anche adoperato per indicare rocce diverse, accomunate dal fatto di essere leggere, di media durezza e facilmente lavorabili. Questa roccia magmatica porosa è particolarmente adatta per la sua leggerezza e facilità di lavorazione, e presenta inoltre la caratteristica di rendere gli ambienti particolarmente asciutti. I tufi sono diffusi in molte regioni italiane e soprattutto in quelle dell’Italia Centrale. Le rocce calcaree ed arenarie o calcari sono invece sedimenti precipitati per azione dell’acqua e sono spesso e impropriamente detti tufi, come avviene per esempio nell’area appenninica tosco-emiliana.
La stagionatura, a seconda della tipologia del formaggio prodotto, avviene in locali con temperatura fresca, di norma tra i 10 e i 15°C con una percentuale costante di alta umidità (80 – 90%), che non deve superare il 90% onde evitare la formazione di muffe. Prima dell’avvento della refrigerazione artificiale, la stagionatura di alcuni formaggi avveniva in grotte naturali o artificiali, utilizzate ancora oggi in diverse parti d’Italia, come in altri paesi iniziando dalla Francia. Il formaggio di grotta è un prodotto caseario di grande eccellenza per la particolare stagionatura e la qualità garantita, e tra questi, oltre al Taleggio della Valsassina, vi sono i caciocavalli, i pecorini e altri formaggi che subiscono una maturazione che attribuisce loro qualità organolettiche uniche e particolari.
Formaggi di grotta italiani
I formaggi pecorini di grotta sono formaggi a lunga stagionatura prodotti con latte di pecore e maturati nelle grotte per circa sei mesi, finché la pasta non diventa dura e friabile. Ne sono un esempio il Pecorino di Filiano DOP e il Pecorino Romano DOP. Il Pecorino di Filiano di Potenza è stagionato in grotte di tufo mentre il Pecorino Romano utilizza grotte Etrusco-Romane presenti in tutte le province del Lazio. Altri formaggi di pecora stagionati in grotte sono il Pecorino di Montepulciano e il Gran Gru di Grotta di Brisighella.
Il Formaggio Grotta del Caglieron della provincia di Treviso è invece di latte vaccino e stagionato in grotte di pietra arenaria per una durata compresa tra i 60 e i 90 giorni. Altri formaggi vaccini stagionati in grotta sono il Caciocavallo Irpino di Grotta P.A.T., stagionato in grotte di tufo dell’Alta Irpinia; il Caciocavallo Pugliese con varianti; il Podolico del Gargano, stagionato in grotta per nove mesi; il Caciocavallo di Noci, che matura in circa due mesi; e il Pallone di Gravina P.A.T, stagionato per tre mesi in grotte di tufo.
Grotte e fossa romagnole e marchigiane
L’ultima appendice dell’Appennino settentrionale, abbracciata dalla pianura alluvionale che Uso e Marecchia hanno formato nei periodi geologici più recenti (Pleistocene-Olocene), è costituita da sedimenti marini limo-argillosi, sabbiosi e ghiaiosi, accumulati sul fondo del mare nel Pliocene prima che il sollevamento dell’Appennino provocasse l’emersione dell’intera area. Nel tempo, i sedimenti si sono trasformati in strati geologici di rocce calcaree ed arenarie di facile penetrazione nei quali l’uomo fin dall’antichità ha scavato cavità che è esatto chiamare ipogei piuttosto che grotte, in quanto di derivazione non vulcanica. Tuttavia, la denominazione di grotte e fosse è ancora oggi prevalente. La prima documentazione storica delle grotte nella zona di Solignano al Rubicone risale al 1496: inizialmente sono chiamate volta, caverna, spelonca, tana e solo nel 1701 compare il termine grotta. Da quest’ultima data si succedono numerose attestazioni documentarie attendibili di presenza di queste cavità ipogee di varia estensione e forma, usate come cantine per la conservazione di alimenti iniziando dai cereali, i vini e formaggi. Le grotte ipogee durante l’ultima Grande Guerra sono state usate anche come rifugi.
Formaggi di fossa romagnoli e marchigiani
Nell’area collinosa romagnola, a cavallo tra le regioni Emila Romagna e Marche, molti formaggi sono stagionati in grotte che sono mantenute aperte o in fosse ermeticamente chiuse e aperte solo a stagionatura compiuta. Il formaggio di fossa può essere di pura pecora o misto (latte vaccino e pecora) ed è stagionato per circa tre mesi in tipiche fosse di forma ovale, scavate nella roccia. Tra i formaggi di questa tipologia tipici della Romagna e della vicina zona marchigiana (Provincie di Pesaro e Urbino) vi sono i formaggi di fossa di Sogliano, originari di Sogliano al Rubicone (FC) ma prodotti anche a Talamello (RN), Mondaino e Sant’Agata Feltria (RN), e oggi anche in diversi comuni del Montefeltro e della val Metauro e a Cartoceto (PU). Dal novembre 2009 la denominazione Formaggio di Fossa di Sogliano e Talamello è stata riconosciuta denominazione di origine protetta (DOP). Il Formaggio di grotta La Solfatara (Predappio, FO) stagiona il Pecorino delle Crete Senesi in grotte che per la particolare venatura di zolfo rendono il formaggio cremoso e piccante.
La pratica di stagionatura del formaggio nelle fosse ha origine antica e i formaggi di fossa di Solignano al Rubicone (FC) e di Romagna sono citati in inventari del 1497 e del 1498 dai quali si deduce che la fossa di tufo aveva già un duplice utilizzo: in autunno per la stagionatura del formaggio e in tempi diversi come magazzino del grano. Nella fossa il formaggio è posto in sacchetti di tela, coperti di paglia di fieno per isolare il prodotto dall’aria. Il periodo tradizionale di infossatura è fine agosto-settembre con riapertura delle fosse il 25 novembre, giorno di Santa Caterina. Per una buona produzione le cave devono avere almeno dieci anni, per acquisire le colonie batteriche necessarie a conferire al prodotto gli aromi che da sempre lo contraddistinguono. Attualmente, si contano all’incirca ottanta fosse, di cui quaranta nella località di Sogliano al Rubicone (FC), mentre le restanti si dislocano tra Talamello (RN), Sant’Agata Feltria (RN) e Cartoceto (PU), altre località di produzione del formaggio di Fossa D.O.P.
A Sogliano al Rubicone si trova inoltre il Museo del Formaggio di Fossa, uno dei Musei del Gusto dell’Emilia-Romagna e nei suoi locali si trovano alcune fosse di maturazione risalenti al 1200 e al 1400.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti ed originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia ed in particolare all’antropologia alimentare e danche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e 50 libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.