Preistorici formaggi affumicati

Quando le specie di ominidi che ci hanno preceduto scoprono il fuoco e ne inventano gli usi, scoprono anche il fumo, al quale attribuiscono particolari attributi e caratteristiche magiche delle quali sono interpreti e custodi gli sciamani. Una di queste caratteristiche è quella di conservare gli alimenti: l’affumicatura diventa così un metodo di conservazione del cibo che affonda le sue radici nella più lontana preistoria. Secondo alcune ricostruzioni, gli uomini primitivi essiccano gli alimenti appendendoli nelle caverne dove vivono e così facendo li espongono al calore del fuoco che accendono per riscaldarsi e al fumo che ne deriva. Per quanto riguarda il formaggio, l’affumicazione la troviamo già presente nella prima descrizione della sua fabbricazione che Omero fa nell’Odissea, 2.800 anni fa. In Italia, in Sicilia, il ciclope Polifemo prepara un formaggio di latte di pecora in una caverna dove è acceso un fuoco che, con i suoi fumi, dà sapore al formaggio che matura su graticci (Leggi anche “Il formaggio di Polifemo“).

Romano il primo formaggio affumicato IGP

In Italia, a Roma, ottocento anni più tardi e all’inizio della nostra era, l’affumicatura del formaggio non è più soltanto un metodo di conservazione, ma è un procedimento d’alta gastronomia del quale è testimone il poeta Marco Valerio Marziale (38 o 41 d. C. – 104 d. C.) che nei suoi epigrammi cita due volte un formaggio affumicato, al suo tempo di grande moda gastronomica. Quando Marziale invita a cena Giulio Ceriale (Cenabis belle, Iuli Cerialis, apud me… Liber undecimus, LII) gli propone un menù nel quale vi è un formaggio affumicato nei forni del Velabro che lo stesso Marziale meglio definisce nell’epigramma intitolato “Caseus fumosus” (Il formaggio affumicato) (Liber XIII XENIA – XXXII).

Il formaggio del Velabro non è un formaggio qualunque ed è così descritto: Non quemcumque focum nec fumum caseus omnem/Sed Velabrensem qui bibit, ille sapit (Non sa di qualunque fumo, di qualunque fuoco/Il formaggio che ha bevuto la fiamma del Velabro). La tipicità di questo formaggio sta nell’affumicatura che è eseguita in un particolare luogo, come potrebbe essere oggi quello che avviene per un formaggio d’Indicazione Geografica Protetta (IGP). Il Velabro (Velabrum) è un’area pianeggiante di Roma, situata tra il fiume Tevere e il Foro Romano, tra i colli del Campidoglio e del Palatino, contigua al Foro Boario e al vicus Tuscus (borgo etrusco o via etrusca). In quest’area sono presenti attività commerciali e produttive soprattutto alimentari, e tra queste anche l’affumicatura dei formaggi, pratica che ne assicura una migliore conservazione e l’acquisizione di aromi particolari, anche in relazione al tipo di legno usato. Quali tipi di formaggio e di quale origine? Quali tipi di legno usati nella produzione del fumo e con quali tecniche? Forse diverse, ma è importante segnalare che al Velabro si produce un formaggio affumicato che oggi potrebbe avere il titolo di Indicazione Geografica Protetta (IGP).

Affumicatura degli alimenti

L’affumicatura del cibo, compresi i formaggi, nasce nelle grotte preistoriche e protostoriche, e successivamente avviene accanto al fuoco nelle capanne e case prima dell’invenzione dei camini e quando il fumo esce da un foro del soffitto. In seguito per l’affumicatura casalinga si costruiscono e si utilizzano costruzioni in pietra o piccoli edifici in legno ancora oggi esistenti. L’uomo, infatti, fin dall’antichità impara ad apprezzare il particolare aroma che il fumo conferisce ai cibi e con il passare dei secoli affina le sue tecniche fino a costruire delle case del fumo o smokehouse, edifici privi di finestre dove il cibo è appeso e circondato dal fumo creato nella camera o in questa convogliato dall’esterno. Odiernamente, l’industria alimentare adotta attrezzature in acciaio inossidabile per sottoporre ad affumicatura il pesce, la carne, i salumi e i formaggi.

Uno dei fattori più importanti per l’affumicatura è il combustibile, la legna o anche la paglia: per una buona riuscita è importante che sia di tipo non resinoso, per esempio legno di faggio, quercia, castagno, noce e acacia, o paglia di cereali non ammuffita. Per dare all’alimento affumicato maggiori caratteristiche organolettiche, alla legna si aggiungono erbe aromatiche, come alloro, rosmarino, timo o maggiorana. Con una combustione lenta, incompleta e senza fiamma della legna e delle erbe aromatiche, il fumo che ne scaturisce trasferisce al cibo molecole aromatiche, molecole con azione antimicrobica (fenoli, carbonili e acidi organici) e sostanze antiossidanti sui grassi (composti fenolici). Nel passato, l’affumicamento era condotto a temperature che riducevano la carica batterica superficiale e disidratavano l’alimento, permettendone una sua conservazione che derivava dalla combinata azione del calore, della disidratazione e dall’azione conservante delle molecole citate. Odiernamente, l’affumicatura degli alimenti segue tre tecniche che si distinguono in base alla temperatura del fumo impiegato e alla durata del processo: a freddo, semicalda e a caldo.

Sebbene nasca come tecnica di conservazione già 2.000 anni fa, come testimoniano i formaggi affumicati a Roma al Velabro, oggi l’affumicatura ha sempre più il ruolo di aromatizzazione degli alimenti. Questo ha portato l’industria alimentare ad utilizzare un aroma chiamato fumo liquido, un estratto delle componenti aromatiche del fumo prodotto in modo naturale e che può essere aggiunto come additivo e applicato al prodotto per nebulizzazione, docciatura, immersione o iniezione, in modo da donare all’alimento il sapore caratteristico di affumicato.

Affumicatura sicura

L’affumicamento può essere un rischio per la salute dei consumatori per la possibile presenza nel fumo di elevate concentrazioni di sostanze chimiche tossiche o cancerogene (idrocarburi policiclici aromatici (IPA), tra cui il benzo(a)pirene e il benzo(a)antracene) in relazione alla qualità del legno utilizzato o a come è condotto il processo (quantità di ossigeno nella camera di affumicamento e temperatura di produzione del fumo). Basse temperature di produzione del fumo, una combustione in una camera separata rispetto alla camera di affumicatura con il filtraggio del fumo e il fumo liquido ottenuto per distillazione permettono di ridurre la presenza delle sostanze a rischio. Per questo l’Unione Europea, con il Regolamento (UE) 1881/2006 e successive modifiche, stabilisce i tenori massimi di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che possono essere presenti nei prodotti affumicati, mentre la legislazione italiana vieta l’impiego di legni o vegetali legnosi che siano stati incollati, impregnati, colorati, dipinti o trattati in modo analogo.

Formaggi affumicati

Formaggio affumicato è un qualsiasi formaggio trattato con affumicatura, con un caratteristico aspetto esterno giallo-marrone dovuto ad una pellicola che è il risultato di un processo di polimerizzazione e incorporazione delle particelle di fumo. Caratteristico è l’aroma e il gusto di affumicato, che tuttavia varia per intensità, in relazione al metodo di affumicatura e al tipo di legni usati.

L’affumicatura dei formaggi è una pratica largamente diffusa in tutto il mondo dove si producono questi alimenti, e molte volte si tratta di varietà affumicate di formaggi già noti, come per esempio in Italia il caciocavallo affumicato, la mozzarella affumicata, la provola e il provolone affumicato, la ricotta affumicata, la ricotta affumicata di Mammola, la scamorza affumicata. In una tabella in fondo all’articolo sono elencati alcuni dei più noti formaggi affumicati mentre qui di seguito riportiamo alcuni cenni sui più importanti formaggi affumicati italiani.

Caciocavallo affumicato – Nelle zone interne campane delle provincie di Avellino, Benevento, Caserta, Salerno e città metropolitana di Napoli si produce un caciocavallo affumicato di latte vaccino a pasta filata, con stagionatura oltre i 60 giorni, in forme tipiche globose con testina, legatura con fibre vegetali e pezzatura tra i 500 e i 2.000 grammi, affumicato con fuoco di legna e/o paglia naturale. Questo formaggio è un Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.).

Mozzarella affumicata – La mozzarella di bufala, nelle sue diverse forme, può essere affumicata assumendo un sapore e un aroma caratteristici, intensi e pungenti. Gli estimatori gustano la mozzarella di bufala affumicata senza aggiungervi nulla, ma sia la mozzarella che la scamorza di bufala affumicate, usate in cucina per condire, insaporire e farcire, rendono ogni piatto molto più gustoso e saporito. In generale, la mozzarella di bufala è affumicata con fumo di paglia di grano, senza superare la temperatura dei 40 C°. L’affumicatura semicalda evita che si sviluppino sostanze potenzialmente cancerogene, come gli idrocarburi policiclici aromatici che sono prodotti ad alte temperature vicine ai 100 C°.

Provola affumicata – La provola affumicata è prodotta in Campania ed è aromatizzata dal fumo di paglia umida che le conferisce un colore bruno. È riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) della regione Campania.

Provolone affumicato – Formaggio tipico prodotto tutto l’anno a livello regionale o locale (affumicato) da latte di vacca allevata al pascolo o a stabulazione fissa. È un formaggio a pasta cotta e filata, lavorato manualmente o semi meccanicamente, che quando è affumicato ha una crosta sottile, liscia e di colore bruno, e un sapore aromatico. Il provolone affumicato può essere utilizzato come prodotto da tavola o da grattugia.

Ricotta affumicataQuesta ricotta è un latticino magro, di breve stagionatura e a pasta dura. Nei territori soprattutto del nord Italia, dove lo smercio della ricotta fresca era, ed è, difficoltoso, si usava collocare questo latticino sopra graticci nei pressi di un focolare o in ambienti adatti, dove il fumo della legna, che bruciava per riscaldare l’ambiente, essiccava lentamente il prodotto. La ricotta affumicata è un Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T).

Ricotta affumicata di Mammola – La Ricotta Affumicata di Mammola (Calabria) è un prodotto caseario calabrese inserito nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (P.A.T.). Anticamente, molti pastori che abitavano nelle zone montane distanti dai centri abitati conservavano le ricotte fresche con la tecnica dell’affumicatura e una volta a settimana le portavano al mercato per la vendita. La ricotta affumicata di Mammola è prodotta con latte di capra ed ha un sapore di formaggio fresco leggermente salato con note affumicate.

Scamorza affumicata – La scamorza è un formaggio a pasta filata prodotto con latte vaccino. Alcuni caseifici campani producono anche la scamorza con latte bufalino. È riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P. A.T.) delle regioni Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise, Puglia e Calabria, ove assume la denominazione di provola. L’origine del termine scamorza potrebbe provenire da capa mozza, ossia testa mozzata.

FORMAGGI AFFUMICATI NEL MONDO

Ardrahan – Bandel – Brânză de coşuleţ – Brie – Burren oro – Caciocavallo affumicato – Chechil – Cheddar affumicato – Corleggy – Gamoneu – Gouda – Gubbeen Farmhouse Cheese – Idiazabal – Korbáčik – Kwaito – Idiazábal – Lincolnshire Poacher – Metsovone – Mozzarella affumicata – Oscypek – Oštiepok – Palmero – Parenica – Provola affumicata – Provolone affumicato – Pule affumicato – Rauchkäse – Ricotta affumicata – Ricotta affumicata di Mammola – Rygeost – San Simón – Scamorza affumicata – Scamorza circassa – Tesyn – Wensleydale Smoked – Zázrivský korbáčik.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.