Topi e formaggio, opinioni discordi
Ai topi piace il formaggio? I più danno una risposta positiva mentre altri dicono che è soltanto un mito da sfatare. Chi ha ragione? Come in altri casi, entrambi hanno ragione, o meglio non hanno torto, perché bisogna distinguere a quali topi ci si riferisce, se a quelli “naturali” o “civilizzati” o di campagna o di città, come vuole un’antica favola. Una distinzione importante non solo per chi vuole catturare i topi o fare cartoni animati, ma anche per meglio comprendere i nostri comportamenti umani e non da ultimo conoscere bene il formaggio.
L’opinione che ai topi piaccia il formaggio è ampiamente accettata, almeno nei paesi nei quali questo alimento è diffuso. I ricercatori che hanno studiato i gusti alimentari dei topi affermano però che la dieta naturale di questi animali è a base di frutta e cereali, alimenti ricchi di zuccheri, concludendo che per loro un pezzo di cioccolato sarebbe molto più attraente del formaggio. Chi ha ragione? Anche in questo caso bisogna distinguere partendo dal fatto che i comportamenti alimentari, soprattutto nelle specie di animali onnivori e di successo, come i topi e l’uomo, sono duttili e cambiano nel tempo e nello spazio.
Intelligenza alimentare dei topi
I topi sono onnivori e in natura si cibano di frutta e cereali. Non bisogna però dimenticare che uno dei fattori del loro indubitabile successo, che gli ha permesso di diffondersi in tutto il mondo, è che hanno la capacità di nutrirsi di nuovi alimenti, sviluppando comportamenti che divengono tipici delle singole colonie e che sono trasmessi da una generazione all’altra. Quando una colonia di topi si trova di fronte a un nuovo oggetto che potrebbe divenire alimento, un topo che possiamo definire “topo assaggiatore” ne mangia una piccola quantità e se non sta bene lancia un grido d’allarme per cui né lui né gli altri della sua colonia mangeranno di quel cibo. Se invece il topo sta bene, lo comunica agli altri della colonia, il nuovo cibo entra a far parte della loro dieta e le madri lo insegnano ai figli. In questo modo, da colonie di topi selvatici o di campagna, che si nutrono di vegetali, cereali, frutta e che possiamo chiamare come nella favola “topi di campagna”, si formano colonie di topi, che possiamo chiamare “topi di città”, che hanno imparato a mangiare, con successo e piacere, i cibi dell’uomo e tra questi anche i formaggi. Abbiamo così colonie di topi che nell’Antico Egitto e in tanti altri paesi mangiano i cereali contenuti nelle giare o nei granai, colonie di topi che nelle nostre cantine mangiano salumi e formaggio, e in Svizzera si potrebbero avere topi amanti della cioccolata. Allo stesso modo i topi delle navi avevano imparato a mangiare cibi diversi di quelli dei loro fratelli di terra.
Nei topi, quindi, il cibo è uno dei più importanti elementi che identifica la cultura delle diverse colonie: né più né meno di quanto avviene in un’altra specie onnivora, cioè quella umana, per la quale si dice “dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei”. Da quanto detto, per uccidere i topi evitando che il topo assaggiatore lanci un allarme, bisogna usare veleni che non provocano dolori o disturbi immediati e facciano effetto solo dopo quattro o più giorni: il topo assaggiatore non può in questo modo mettere in collegamento i disturbi con il cibo che ha mangiato e non lancia un grido di allarme. Questo è il caso del tallio che uccide molto lentamente o del warfarin che impedisce la coagulazione del sangue e i cui effetti si manifestano solo dopo una settimana.
Formaggio e cultura
Una leggenda metropolitana narra che durante l’ultima grande guerra, nel 1944, un plotone di giovani soldati americani sbarcato in Normandia arriva nei pressi di una fattoria con una cantina dalla quale esala un odore per loro nauseante e che ritengono provocato da cadaveri in putrefazione. I soldati decidono quindi di usare i loro lanciafiamme … distruggendo una cantina di maturazione o affinamento di un prezioso formaggio camembert, uno degli emblemi gastronomici della Francia. In seguito, gli stessi soldati, dalle ragazze parigine, impareranno ad apprezzare il camembert, formaggio dal gusto al quale non erano abituati. Come esistono topi che amano il formaggio e altri non lo conoscono, lo stesso avviene anche nella nostra specie che ha conosciuto e continua a imparare a mangiare cibi nuovi o di altre culture, arrivando a affermare “dimmi che formaggio mangi e ti dirò chi sei”. Come esistono culture umane “lattofile” o “lattofobe” (amanti o detestanti il latte) esistono anche culture “caseofile” o “caseofobe” (amanti o detestanti i formaggi), ma soprattutto è interessante osservare come queste culture – in modo analogo alle culture dei topi – sono capaci di cambiare abbastanza rapidamente, come nel caso della cultura cinese.
Perché i cinesi non mangiavano i formaggi?
Nella cucina cinese classica, come in quella familiare tradizionale, il latte e i formaggi sono assenti, salvo nelle popolazioni delle regioni settentrionali, per ragioni geografiche, biologiche e soprattutto culturali.
In un remoto passato, gran parte della Cina ha poco terreno coltivabile, circa il 16% della superficie, e non sono stati sviluppati allevamenti di animali che producono latte (pecore, capre, bovini), cosa che è invece avvenuta nelle regioni settentrionali dove comunità di pastori avevano mandrie di yak, animale che vive tra praterie di quota e steppe e dal quale i pastori ricavano latte dal quale producono il formaggio. Popolo di antica civiltà e con alta densità di popolazione, i cinesi sviluppano allevamenti di suini e di volatili piuttosto che di bovini, ovini o caprini, mentre ai confini vi sono popoli di pastori nomadi, spesso minacciosi, nella cui dieta i latticini hanno un ruolo fondamentale.
Nella Cina di un passato giunto vicino a noi, latte e latticini sono consumati soltanto dalle popolazioni nomadi ai margini della società che vengono considerate barbare dagli Han, l’etnia dominante. Questo costume alimentare condiziona anche la loro cucina e continua un poco tuttora. Pertanto, al di là del suo valore militare, la Grande Muraglia Cinese ha anche un importante ruolo simbolico di barriera culturale tra il Celeste Impero e i barbari consumatori di latticini, e chi beve latte e mangia formaggio nell’immaginario cinese tradizionale se non è Gengis Khan il devastatore, poco ci manca.
Non includendo nella loro alimentazione il latte – in una sorta di circolo vizioso – molti cinesi come altre popolazioni del Sud-est asiatico non hanno sviluppato una tolleranza al lattosio del latte e quindi non digeriscono perfettamente questo cibo, con conseguenze più o meno gravi.
Per queste tre motivazioni in Cina non si sviluppa una cultura casearia, nonostante i formaggi abbiano minime quantità di lattosio e soprattutto quelli stagionati non lo contengano. Per questo, fino a pochi anni fa, gli unici a consumare latte e formaggio in Cina sono i tibetani, i mongoli e gli uiguri – minoranze ai margini e mondi a sé, spesso repressi dalla maggioranza Han – e qualche abitante di Singapore e Hong Kong in piatti di influenza britannica, perché il Regno Unito controllò il primo per tutto l’Ottocento e fino a dopo la Seconda guerra mondiale, e restituì il secondo alla Cina nel 1997. Quando nel 1974 per la prima volta visito la Cina, vicino a Shangai scopro infatti che vi è un piccolo allevamento di mucche da latte ma destinato unicamente agli alberghi della città che ospitano gli stranieri.
Ora i cinesi mangiano i formaggi
Negli ultimi anni, con la crescente apertura della Cina al resto del mondo, le cose cambiano e i cinesi fanno come i topi: dopo aver assaggiato i formaggi, soprattutto stagionati, senza avere disturbi li stanno inserendo nella loro gastronomia. Questo inserimento è agevolato dal fatto che i formaggi stagionati sono ricchi di glutammato che dà il gusto umami, particolarmente gradito nella cucina cinese. Con la globalizzazione in Cina il consumo di latte, e soprattutto di formaggi, è diventato un’icona di modernità e di adeguamento agli invidiati modelli occidentali, e non a caso il governo cinese promette spesso di aumentarne la disponibilità pro capite.
Il governo cinese sta incoraggiando i cittadini a consumare latticini e finanzia pubblicità e programmi sulla TV di Stato che li presentano come alimenti salutari. Nel frattempo, le grandi multinazionali occidentali cercano di penetrare nel mercato cinese dei latticini perché non tutta la popolazione è intollerante al lattosio, e alcuni formaggi ne contengono poco o ne sono privi. Inoltre, la nuova classe cinese borghese medio-alta, agiata e incuriosita dal mondo occidentale, ha introdotto il formaggio a tavola come cibo raro ed esotico, preferendo soprattutto quelli stagionati, con una quantità di lattosio più bassa o assente, come il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano, che sono quindi più facili da digerire e che hanno un gusto umami più vicino a quello cinese, abituato a sapori fermentati e che ricordano il tofu invecchiato. Il formaggio che i cinesi assaggiano per la prima volta e che continuano a mangiare di più è la mozzarella nella pizza, che ha un grande successo e sta ridefinendo i gusti della popolazione abituandola ai latticini.
Come risulta dal Report “China: Dairy and products semi-annual” (Ruminantia 21 agosto 2019) il consumo di formaggio in Cina sta crescendo rapidamente: nel 2019 le vendite di formaggio ammontano a circa 790 milioni di dollari e dovrebbero raggiungere i 1,5 miliardi entro i prossimi cinque anni. Il consumo pro capite è ancora molto al di sotto delle diete occidentali ed è stimato essere di 0,02 kg, contro l’1,46 kg del Giappone, i 6,89 kg negli Stati Uniti e i circa 23 kg in Italia, ma sta crescendo. La maggior parte del formaggio in Cina è consumato fuori casa; il Fast food, le pizzerie, gli hotel e l’industria fornaria rappresentano la maggior parte dei consumi, ma già i negozi di alimentari di fascia alta espongono una grande varietà di formaggi provenienti da tutto il mondo perché i consumatori cinesi, e in particolare le generazioni più giovani, apprezzano nuovi sapori e confezioni convenienti.
I cinesi stanno scoprendo i formaggi dopo averli assaggiati e trovati buoni, cambiando le loro abitudini alimentari, ma non sappiamo ancora come stanno cambiando le abitudini alimentari dei topi cinesi, anche se è sicuro che, quando li avranno assaggiati, anche loro diventeranno amanti dei formaggi!
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.