Per quanto di fronte al cibo noi italiani siamo patriottici, siamo anche spesso affascinati dalle altre culture gastronomiche: cibo giapponese, cinese, thailandese, americano, spagnolo, sud-americano… la curiosità non pone limiti e le proposte di cucine diverse sul mercato sono via via crescenti. Quando non possiamo spostarci per visitare luoghi stranieri, come per esempio sta succedendo in questi mesi relativamente più calmi dopo l’emergenza Covid-19, vengono in soccorso non solo l’e-commerce, ma anche la GDO stessa. Penserete che forse quelli di Ruminantia stiano perdendo lucidità nel proporre qualcosa di assolutamente straniero all’interno della serie “formaggi protagonisti”. Bene, dobbiamo controbattere, perché quello che stiamo per proporre è un latticino che potrebbe ispirare i casari più desiderosi di novità ed incuriosire i lettori consumatori alla ricerca di qualcosa di inaspettato. Buoni i formaggi stagionati, la bontà di un erborinato potrebbe farci raggiungere il Nirvana. La burrata pugliese è qualcosa di estremamente versatile, ed incredibilmente pannoso, e lo Squacquerone di Romagna DOP rivela la magia del formaggio a pasta molle, anzi mollissima. Ma cosa ne sappiamo di quel vasetto buttato lì, un po’ in disparte, tra la fila di yogurt biologici e nascosto dall’imponenza delle confezioni di yogurt “greco”? Cosa ne sappiamo di uno strano prodotto a base di latte, che yogurt non è, noto come skyr?
Lo skyr è spesso confuso con lo yogurt, ma in realtà si tratta di un prodotto diverso, perché diversi sono i microrganismi usati per la fermentazione, così come differente è il processo produttivo. A dirla tutta, è un vero e proprio formaggio fresco, prodotto con latte vaccino scremato ed una specifica flora microbica e, talvolta, con aggiunta di caglio. Una cosa è certa: si tratta di un prodotto tradizionale islandese, sconosciuto fino a qualche anno fa, ed arrivato a noi grazie ad alcune aziende islandesi, ma non solo, che hanno iniziato a commercializzarlo nel mondo. L’impiego di fermenti lattici tipici dello skyr è molto importante poiché questi, indirizzando i processi metabolici in una determinata direzione, danno un prodotto delicato, simile allo yogurt ma con gusto chiaramente diverso e piacevolmente acidulo.
Con questo articolo vogliamo indagare le differenze tra il processo produttivo tradizionale e quello modernizzato, del quale abbiamo assaggiato la versione più comune sul mercato italiano, totalmente al naturale: Ísey Skyr dell’azienda MS Dairies. Sull’etichetta di questo prodotto, dichiarato come ottenuto da ricetta tradizionale, viene specificato l’uso di “fermenti di skyr“.
Secondo Slow Food, lo skyr è un formaggio fresco a base di latte vaccino acido dalle origini antichissime: già più di mille anni fa era parte integrante della dieta dei primi insediamenti in Islanda e si produce da tempo immemore in tutte le famiglie del paese. Abbiamo azzardato nel definirlo “vichingo” perché pare che già le popolazioni vichinghe e gaeliche, ma anche scandinave seppur con sensibili differenze, consumassero questo prodotto, che è rimasto in uso solo in Islanda. Citato nella letteratura medievale, ne sono stati ritrovati resti negli scavi archeologici di diverse fattorie dell’epoca. Nel passato, lo skyr veniva prodotto sia con latte ovino che vaccino, ma a partire dall’inizi del Novecento si è cominciato ad usare quasi esclusivamente quello vaccino, e questo trova una motivazione nel fatto che le pecore venivano allevate soprattutto per la carne ed è quasi andata perduta la tradizione di utilizzare il loro latte fresco.
La ricetta tradizionale è complessa: il latte è scaldato fino a 85 °C per almeno 5 minuti in modo che i grassi e le caseine affiorino. In seguito si aggiunge un poco di skyr rimasto dalla produzione precedente, il quale agisce come fermento, ed il caglio di vitello qualora la cagliata non abbia ben coagulato. Il tutto viene lasciato raffreddare per favorire la coagulazione e il raggiungimento del pH ottimale. Dopo questa fase, siero e cagliata sono separati per filtrazione, attraverso l‘utilizzo di un telo. Diversamente dalla versione industriale, lo skyr tradizionale non deve essere pastorizzato e i fermenti devono provenire da una lavorazione precedente di skyr e non dallo yogurt. La differenza tra skyr tradizionale ed industriale risiede proprio nell’utilizzo di questi fermenti e nel rispetto dei tempi di preparazione, più qualche dettaglio che vedremo a breve. La consistenza più solida e il sapore più acido sono il risultato di questa tecnica artigianale e tradizionale. La produzione si concentra maggiormente nel periodo estico, ma la sfida dei produttori è di riuscire a mantenere i fermenti vivi durante l’inverno per poter riavviare la produzione nella nuova stagione. I fermenti provenienti dallo skyr del giorno prima vengono “”alimentati” con l’aggiunta di altri fermenti (come ad esempio il lievito madre). Un tempo consumato come piatto unico, oggi viene arricchito con zucchero, e gustato a colazione o come spuntino con l’aggiunta di panna liquida o latte. Le qualità nutrizionali dello skyr sono eccezionali: possiede un alto contenuto proteico e non contiene grassi. Ed è proprio il suo profilo nutrizionale il motivo per cui questo prodotto sta avendo successo sul mercato.
Per quanto riguarda il processo moderno, l’approccio alla produzione di skyr negli ultimi ottant’anni è realmente molto cambiato, proprio per garantire un processo standardizzato e controllato. La differenza principale rispetto al processo tradizionale, in aggiunta a quanto detto sopra, risiede anche nella separazione di siero e cagliata, che è iniziata con l’inserimento di appositi separatori impiegati nella produzione del quark, consentendo di avere una resa maggiore del 30%. Oggi, nell’industria, vengono usati sistemi ad ultrafiltrazione, che consentono di ottenere una maggior resa proteica, minimizzando la perdita in caseine. Allo stesso tempo, anche la composizione proteica dello skyr sottoposto ad ultrafiltrazione è cambiata poiché maggiore è la quota di sieroproteine trattenute nella cagliata. Il risultato è un prodotto decisamente meno acido rispetto alla versione tradizionale, secondo quanto riportato in “Modernization of Traditional Food Process and Products” (Anna McElhatton, Mustapha Missbah El Idrissi, Springer 2016), ma anche molto più vellutato grazie all’innovazione tecnologica avvenuta con la modernizzazione del processo produttivo: non c’è dunque bisogno di miscelare lo skyr con panna o latte. Qualche parola in più sulla ricerca islandese dedicata allo skyr: si tratta di un’attività di lunga data, che vede il suo inizio concreto con Gudmundsson (1914) nella microbiologia dello skyr. Gudmundsson descrisse i batteri lattici dello skyr che risultavano essere molto simili a quelli presenti negli yogurt bulgari. Consigliamo la lettura del libro citato sopra per un approfondimento su quanto riscontrato da Gudmundsson.
Ed effettivamente posso confermarlo: si tratta di un prodotto piacevolmente acidulo, dove l’equilibrio tra dolcezza ed acidità è spostato a favore dell’acidità, mai aggressiva. Il sapore ricorda quello dello yogurt greco, ma le note aromatiche, delicate al naso e persistenti in bocca, sono più lattiche e meno decise. A livello tattile, si tratta di un prodotto che accarezza morbidamente le papille gustative, così entusiasmate da una piacevole cremosità. E’ stata un’ottima alternativa allo yogurt della prima colazione, accompagnato da pane e marmellata di mirtilli ed abbondante frutta di stagione.