Sono passati più di trent’anni dalla prima ricerca di campo svolta sulla fecondazione artificiale nella bufala, quando massari, studenti e veterinari neo-laureati si mettevano di vedetta sulle staccionate dei parchi a controllare le bufale che manifestavano un calore che per molti versi era ancora sconosciuto (venivano usati dei tori vasectomizzati che individuavano la femmina e la cavalcavano). A quel punto si avvisavano i veterinari che in giornata fecondavano quelle bestie utilizzando i primi semi congelati. Allora la fertilità era molto bassa, i mestrui diluitori non erano ancora efficaci per lo sperma bufalino e non si era ancora capito bene quanto stramba fosse l’ovulazione in questa specie, che ad ogni calore avveniva secondo tempi ogni volta diversi, per cui alla fine le percentuali di gravidanza erano scarse (pur rifecondando una seconda volta a distanza di 12\24 ore dalla prima). Solo in un allevamento della Piana del Sele le cose andavano alla grande, con percentuali che rasentavano l’80%, ed i coordinatori della ricerca non riuscivano a capirne il perché, tanto che vi accorsero alimentaristi, genetisti, professori di ogni specie e di ogni dove e nessuno seppe dare una spiegazione. Solo in seguito si venne a sapere che il massaro metteva la bufala al toro sano appena il veterinario andava via!

Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti: oggi il seme viene diluito in un mestruo perfetto e gli animali vengono sottoposti a protocolli ormonali di sincronizzazione dei calori che hanno stabilizzato i tempi dell’ovulazione; così la fertilità è migliorata tantissimo, superando di molto quella presente negli allevamenti bovini da latte. Nonostante questo, però, fino a pochissimi anni fa la fecondazione artificiale negli allevamenti bufalini segnava ancora il passo, soprattutto nei territori in cui la bufala viene allevata da secoli, come quelli dell’area DOP. Proprio qui, dove avrebbe dovuto svilupparsi maggiormente, nella quasi totalità dei casi veniva praticata solo per pochi mesi all’anno e solo su alcuni animali della mandria. Questa scarsa diffusione era dovuta ad una serie di pregiudizi ancora ben radicati nella testa dei “bufalari”, che tutti “tronfi” delle esperienze accumulate per generazioni e suffragati da tecnici poco appassionati, pensando di saperne più di tutti, sbandieravano la convinzione che la fecondazione artificiale servisse solo per fare un pò di genetica e per andare a recuperare la gravidanza di qualche animale arrivato vuoto all’asciutta, che in più desse basse percentuali di gravidanza, soprattutto in primavera ed estate (ricordando gli inizi disastrosi), e che comunque costasse troppo rispetto alla monta naturale.

In quel periodo, tutti noi invece, riflettendo sui riscontri che avevamo sul campo, eravamo sempre più convinti che con la fecondazione artificiale, a prescindere dal miglioramento genetico, si potessero ottenere grandi risultati (primo fra tutti una vera destagionalizzazione dei parti). Il problema però era che i nostri pensieri giravano a vuoto, senza mai riuscire ad intercettare un allevatore ed a convincerlo ad allontanare i tori dalla mandria, affidandosi completamente a questa pratica. Alla fine del 2016 però, c’è stato un evento in un allevamento della Piana del Sele, che ha dato l’incipit ad un percorso incredibile.

A quell’epoca il nostro gruppo stava fecondando in una ventina di allevamenti, con la consuetudine secondo la quale si poteva farlo solo nei primi 3-4 mesi dell’anno e su un gruppo sparuto di animali, con un solo intervento fecondativo ad animale, dopo il quale quello vuoto veniva spedito direttamente al toro. Qualcuno “ci faceva la grazia” e si faceva fecondare le bestie anche in estate, per cercare di acchiappare qualche parto primaverile l’anno successivo, ma in regime di promiscuità sessuale e con un protocollo senza prostaglandina (senza rischiare così, di far abortire gravidanze precocissime, ma ottenendo un basso tasso di gravidanza), mentre qualcun altro faceva fecondare le bufale vuote in asciutta, le quali, poverine, se arrivavano all’asciutta ancora vuote c’è da pensare che un pò di problemi personali li avevano avuti! Per cui spesso rispondevano picche a tentativi di fecondazione artificiale che da soli non potevano certamente risolvere tutto.

Questa situazione rappresentava il quadro della realtà di tutto il territorio campano. Improvvisamente però in quell’allevamento ci furono 6 o 7 aborti nel giro di una quindicina di giorni, dopo un altro periodo nel quale ogni tanto ce n’erano stati degli altri. Temendo il peggio (la brucellosi) mandammo subito alcuni feti abortiti coi loro invogli e delle provette piene di sangue allo zooprofilattico e un attimo dopo togliemmo i tori dalla mandria. Dopo qualche giorno affluirono i primi risultati che scongiurarono “il male maximum” e che identificarono la clamidia come batterio Killer. Nelle settimane successive facemmo altre prove su un gruppo di animali sospetti e su tutti i tori della mandria, e diversi di loro risultarono positivi alla infezione. Mentre questa situazione andava avanti, l’allevamento doveva continuare a vivere e le bufale dovevano continuare ad ingravidarsi; così, in attesa degli sviluppi, cominciammo a fecondare tutte quelle che era possibile fecondare. Alla fine il proprietario si tranquillizzò e chiese se quella malattia si diffondesse con la monta. In effetti la trasmissione venerea della clamidia è possibile, pur essendo molto più frequente quella per via orale attraverso acqua ed alimenti contaminati o lochiazioni di bestie abortite, ma pensammo che quello avrebbe potuto essere il primo allevamento in cui potevamo fecondare tutti gli animali per tutto l’anno, così ad uno di noi venne in mente di dirgli di si, che era proprio quella la via principale. Lui stette per un attimo in silenzio a pensare e poi disse quello che aspettavamo di sentire dire da tanto tempo dalla bocca di un bufalaro: “Allora proviamo sta fecondazione dottò, se qua mai si comincia, mai si arriva! Vuol dire che se va male non lo diciamo a nessuno, se invece va bene dobbiamo pubblicare i risultati e dire a tutti che senza di noi non si faceva niente!” Furono venduti subito la maggior parte dei tori e partimmo con la prova. In quelle stesse settimane il figlio del proprietario di un piccolo allevamento si laureò in scienze delle produzioni animali ed anche lui aveva il nostro stesso pallino e la nostra stessa convinzione, così convinse suo padre e cominciammo a fare la stessa cosa anche da lui. Grazie alla lungimiranza e alla disponibilità di queste due persone alla fine del 2016 avviammo così una ricerca molto impegnativa ma altrettanto avvincente che ha dato dei risultati strabilianti e che ha avviato nel nostro territorio un processo inarrestabile di sviluppo della fecondazione artificiale che molto probabilmente porterà in pochissimi anni ad eliminare la promiscuità sessuale negli allevamenti bufalini secondo lo stesso percorso che si è concluso 30 anni fa in quelli bovini. La ricerca è durata due anni.

Nel 2017 abbiamo effettuato un censimento del numero dei capi in 71 allevamenti bufalini che al tempo erano seguiti dal nostro gruppo, e in 23 di questi (fra i quali i due che erano senza tori nella mandria) abbiamo raccolto ed analizzato dati relativi a circa 2000 interventi fecondativi effettuati su poco meno di 1600 bufale. Per ogni intervento fecondativo abbiamo inserito in un foglio di lavoro Excel i dati relativi a: allevamento, matricola della bufala, data di nascita, categoria, data ultimo parto, protocollo di sincronizzazione usato, toro utilizzato, bufale sincronizzate e non fecondate, data fecondazione, diagnosi di gravidanza precoce, conferma di gravidanza e numero di intervento fecondativo.

Nel 2018 alla ricerca abbiamo aggiunto qualche altro parametro (soprattutto per individuare le cause di ipofertilità) e ai 23 allevamenti sottoposti a fecondazione artificiale se ne sono aggiunti altri 10. In 7 di questi 33 allevamenti siamo riusciti ad effettuare fecondazione artificiale di massa. Così, alla fine, ai dati del primo anno ne abbiamo aggiunti altri relativi a 6000 interventi fecondativi su circa 3500 bufale.

Il primo anno di ricerca ha dato il quadro preciso della situazione esistente in quel momento nel nostro il territorio, dove la fecondazione artificiale veniva effettuata in pochi allevamenti (30%) e su pochi animali della mandria (10%), per un periodo di tempo limitato e concentrato soprattutto da gennaio ad aprile.

Il primo intervento fecondativo ha rappresentato il 78% delle inseminazioni, mentre il secondo ha rappresentato il 19% ed è stato effettuato solo sul 50% delle bufale rimaste vuote al primo intervento. Il terzo intervento ha rappresentato solo il 3% ed è stato effettuato solamente sul 30% del bufale risultate vuote dopo il secondo intervento fecondativo. Non c’è stato nessun quarto intervento. Questo a dimostrazione che quasi tutti gli allevatori dopo la prima inseminazione hanno desistito dal fare altri tentativi, per paura di perder tempo prezioso e di lasciare le bufale vuote, per cui hanno destinato la maggior parte di loro alla monta naturale. Nonostante questo quadro desolante, grazie all’elaborazione dei dati relativi al censimento e di quelli provenienti dai due allevamenti in cui abbiamo praticato la fecondazione artificiale a tappeto, già nella prima fase della ricerca siamo riusciti a sfatare tutti i pregiudizi degli allevatori ed a creare la prima testa di ponte che, avvalorata dalle analisi dell’anno successivo, ci ha permesso di convincere sempre più gente a seguirci su una strada sempre più sicura. In tutto il periodo di ricerca abbiamo utilizzato cinque diversi protocolli di sincronizzazione, riportati di seguito, usati a seconda del periodo dell’anno, della categoria degli animali fecondati e da come era abituato l’allevatore ed ognuno dei buiatri operanti.

Ov-sync

  • 0 gg. gnrh (mattina)
  • 7 gg. prostaglandina (mattina)
  • 9 gg. gnrh (sera)
  • 10 gg. inseminazione (mattina, dopo circa 16-18 ore dalla somministrazione dell’ultimo gnrh ed a 72 ore dalla somministrazione di prostaglandina)

Pgf+ov-sync

  • Questo protocollo prevede una somministrazione di prostaglandina tre giorni prima di un ov-sync, per cui la inseminazione si effettua al 13° giorno del protocollo.

Progesterone + pgf+ov-sync

  • 0 gg. impianto di progesterone in vagina (mattina)
  • 7 gg. espianto + prostaglandina (mattina)
  • 10 gg. partenza ov-sync.
  • 20 gg. inseminazione

Progesterone+pgf+pmsg+gnrh

  • 0 gg. impianto progesterone in vagina (mattina
  • 7 gg. espianto+prostaglandina+pmsg (mattina)
  • 9 gg. gnrh (sera)
  • 10 gg. inseminazione (mattina a circa 16\18 ore dal gnrh e 72 ore dal pgf)

Progesterone+pmsg+gnrh

  • 0 gg impianto progesterone in vagina (mattina)
  • 7 gg. espianto+pmsg (mattina)
  • 9gg. gnrh (sera)
  • 10 gg. inseminazione (a circa 16\18 ore dal gnrh e 72 ore dal pgf)

Abbiamo effettuato una diagnosi di gravidanza ecografica precoce da 32 a 35 giorni, ottenendo nella prima fase della ricerca una percentuale di gravidanza pari a 53%. Abbiamo poi effettuato una conferma dopo un mese perdendo solo 1 punto percentuale. Analizzando questo dato nei diversi mesi abbiamo avuto la prima grande risposta da inoltrare agli allevatori: le bufale hanno un buon tasso di gravidanza in tutti i mesi dell’anno, anche in quelli primaverili ed estivi nei quali, con i tori nella mandria, si verifica proprio il contrario, con un calo considerevole dei concepimenti.

Nella seconda fase della ricerca queste percentuali sono migliorate fino ad arrivare nel biennio successivo ad un aumento percentuale di 10 punti. Questo in seguito a tutte le indicazioni date dalle analisi che man mano hanno meglio indirizzato le nostre modalità operative, specialmente a livello di protocolli di sincronizzazione e di tempo di attesa volontario dopo il parto. Infatti, analizzando i dati, abbiamo visto che tutte le categorie di bufale sono fertili allo stesso modo e che per ognuna, a seconda del periodo dell’anno, esiste un protocollo di sincronizzazione con il quale si hanno delle risposte migliori in termini di calori e di concepimenti. Abbiamo capito infatti che nelle manze si possono usare tranquillamente uno dei due protocolli ov-sync in tutti i mesi dell’anno e che nelle primipare danno risultati migliori i protocolli che prevedono l’utilizzo di progesterone, mentre nelle pluripare da ottobre a marzo va bene il protocollo ov-sync ma da aprile a settembre è meglio utilizzare il progesterone.

Abbiamo capito anche che, se abbiamo necessità di farlo, possiamo inseminare gli animali già dopo 50 giorni dal parto (da 50 a 60 giorni abbiamo già un tasso del 45%, che si alza al 60% aspettando solo altri dieci giorni, per mantenersi poi così alto fino a 6 mesi dal parto, dopo di che decresce sensibilmente). Come già si prevedeva, su questo fronte ci sono differenze tra primipare e pluripare, abbiamo riscontrato infatti che fino a 50\60 giorni la % di gravidanza nelle primipare si mantiene al di sotto del 40%, mentre quella delle pluripare già supera il 50%. Dopo i 60 giorni, il tasso si alza anche nelle primipare, che da quel momento in poi hanno percentuali di gravidanza addirittura superiori alle pluripare. Dopo questo riscontro le primipare sono state fecondate solo dopo i 60 giorni e le pluripare già dopo i 50.

Due altre considerazioni clamorose scaturiscono da questa analisi. La prima ci dice che se riusciamo ad ingravidare gli animali così precocemente dopo il parto abbassiamo il periodo di inter-parto medio della mandria e così i giorni di lattazione medi, aumentando la produzione media pro-capite giornaliera. La conferma di questo l’abbiamo avuta dal proprietario di quel primo allevamento dove cominciammo a praticare la fecondazione artificiale di massa e dove dopo due anni di questa pratica siamo riusciti a ridurre l’interparto tanto da abbassare il periodo di lattazione media della mandria di 29 giorni. Questo ha prodotto automaticamente un aumento della produzione media giornaliera di latte per ogni bufala presente. Traducendo tutto in plusvalenza e passando da 154 a 125 giorni di lattazione media e da 8,4 a 10,5 kg di produzione media giornaliera pro-capite, con le sue 150 bufale che ha avuto mediamente in produzione l’allevamento ha guadagnato circa 160.000 euro in più.

La seconda ci fa capire che mentre in regime di promiscuità sessuale quasi tutte le primipare allungano in modo smisurato il periodo inter-parto, con la fecondazione artificiale questa problematica viene completamente eliminata. Il ciclo sessuale nelle primipare riprende infatti molto più tardi rispetto alle pluripare e spesso solo quando queste bestie mangiano un poco in più e riprendono un pò di peso. Non è una cattiva idea predisporre dei parchi dedicati esclusivamente alle primipare nei quali queste non subiscano la gerarchia degli animali più grandi ed abbiano a disposizione un’alimentazione adeguata.

A quanti di noi in questi anni passati è stato detto di non insistere nel voler fecondare per forza una bufala una seconda o una terza volta dopo che non siamo riusciti ad ingravidarla? Ebbene, abbiamo constatato che le bufale si possono rifecondare tranquillamente una seconda, una terza e una quarta volta ed anche una quinta ed una sesta, se ce ne fosse bisogno, perché tutte le volte hanno quasi le stesse probabilità di rimanere gravide che hanno al primo intervento, per cui l’allevatore non deve più temere di ritrovarsi la mandria vuota per colpa della fecondazione artificiale e dei veterinari che la promuovono.

Per capire meglio l’importanza di quanto detto sopra, consideriamo ora una mandria composta da 100 bufale in riproduzione ed i tassi di gravidanza per i diversi interventi fecondativi che abbiamo registrato durante la ricerca. Se fecondiamo tutte le bufale, dopo il primo intervento, considerando il suo tasso di gravidanza che nel il primo anno è stato del 56%, avremo 56 bufale gravide e 44 vuote. Sottoponendo le 44 vuote al secondo intervento, e considerando il tasso del 52%, avremo 23 bufale gravide e 21 bufale vuote. Se inseminiamo per la terza volta le 21 bufale vuote, considerando il 46%, avremo 10 bufale gravide e 11 vuote. Sottoponendo al 4° intervento fecondativo le 11 bufale vuote, considerando il 44%, avremo 5 bufale gravide e 6 vuote, riuscendo alla fine ad ingravidare 94 bufale con 176 inseminazioni.

Tutto questo per dimostrare che con l’inseminazione artificiale, con meno di due interventi fecondativi, si ingravidano più bufale di quante ne riesca ad ingravidare un gruppo di tori. Nella prima fase della ricerca è saltato subito all’occhio che non abbiamo avuto le stesse percentuali di gravidanza in tutti gli allevamenti; infatti, pur utilizzando lo stesso modus operandi, alcuni sono rimasti ben al di sotto del 50%, mentre altri hanno superato l’80%. A dimostrazione che in ogni allevamento esiste una realtà diversa da quelle degli altri allevamenti.

Approfondendo ed allargando le nostre analisi nel secondo anno di ricerca, abbiamo indagato all’interno di queste realtà per cercare di individuare i motivi di queste differenze, giungendo a trovarne diversi che in alcuni casi ci hanno aiutato a migliorare la situazione, mentre in altri ci hanno fatto capire che non si può pretendere di portare avanti questa pratica in tutti gli allevamenti. Considerando il periodo parto-prima inseminazione, è risultato che un periodo troppo corto (< 50 giorni) o troppo lungo (> 6mesi) incide negativamente sulla fertilità.

Abbiamo preso in esame il BCS ed abbiamo notato che animali troppo magri o troppo grassi, manze cresciute male e primipare ancora troppo sottopeso dopo il parto, presentano una percentuale di gravidanza molto bassa. Abbiamo evidenziato diversi errori del protocollo di sincronizzazione dei calori: l’utilizzo del protocollo sbagliato, come l’Ov-sync e variante nelle pluripare in primavera\estate o l’Ov-sync e variante nelle primipare; errori nella tempistica operativa, come il mancato rispetto degli orari di somministrazione del farmaco e\o della inseminazione; errori nella modalità di somministrazione dei farmaci, come l’utilizzo di aghi e siringhe non idonee, di farmaci qualitativamente e quantitativamente non idonei, di una zona di iniezione inappropriata, o la presenza di operatori poco affidabili. Abbiamo considerato gli eventi stressanti, come i continui spostamenti degli animali sottoposti all’iter fecondativo e condizioni ambientali carenti. Ma in effetti, in relazione al fatto che sono stati ottenuti altissimi tassi di fertilità in allevamenti dove le bestie vivevano eternamente in mezzo metro di letame o stavano strette come polli in gabbia, dobbiamo ancora comprendere che cosa veramente stressa gli animali, perché forse il loro benessere corrisponde alla loro capacità di adattarsi all’ambiente in cui vivono, per cui probabilmente la bufala è meno stressata in un ambiente stretto e pieno di letame al quale però è abituata da sempre, che in un ambiente più ampio e pulito ma nel quale è sottoposta a continui ed improvvisi spostamenti durante il protocollo di fecondazione. Inoltre, abbiamo analizzato gli squilibri alimentari poichè probabilmente rappresentano la causa che più penalizza la fertilità. E ci sembra di aver capito che sono gli eccessi più che le carenze a combinare i guai più grossi; ma questo, è importante ricordarlo, come per tutte le altre problematiche della fertilità succede anche in regime di promiscuità sessuale. In questo caso, la fecondazione artificiale di massa e le conseguenti frequenti diagnosi di gravidanza, fungono da campanello d’allarme sensibilissimo ed aiutano immediatamente a risistemare le cose.

Proprio in quel famoso primo allevamento, nella seconda fase della nostra ricerca notammo che, dopo un andamento della fertilità che seguiva il trand positivo dell’anno precedente del 65%, all’improvviso in due cicli successivi la % precipitò sotto il 30. Dopo le diagnosi del primo ciclo avevamo pensato ad un caso, ma dopo quelle del secondo ci sedemmo ad analizzare il problema. Cosa era successo? era mancato il fieno e non se ne trovava in giro della stessa qualità. L’alimentarista, per mantenere sostenuta la produzione, aveva optato per un aumento di mangime più scadente e per l’utilizzo di fasciato di erba medica che giaceva in azienda, portando ad un eccesso proteico improvviso ed una caduta della fertilità. Trovato il fieno e tornati alla vecchia alimentazione, come d’incanto la fertilità tornò ai vecchi livelli. Abbiamo valutato l’incidenza di metriti pregresse e constatato che quelle lievi non incidono significativamente sul tasso di fertilità mentre quelle gravi, con risentimento generale, nonostante l’allungamento di 10 giorni del tempo di attesa volontario, l’abbassano anche del 50%. In seguito all’analisi di questi dati, nelle bufale in questione abbiamo allungato di altri 10 giorni il periodo di attesa volontario, portandolo intorno ai 70\80 giorni o anche più, ed il problema è stato risolto.

Abbiamo valutato anche che incidenza può avere il valore produttivo degli animali, riuscendo ad analizzare i dati di produzione di due grossi allevamenti dividendo le bufale in due gruppi (tralasciando un gruppo cuscinetto dai 26 ai 29 quintali di latte prodotto): uno con produzioni fino a 25 quintali ed un altro con produzioni superiori ai 30 quintali. Tra i due gruppi non c’è stata nessuna differenza di fertilità. Probabilmente nella bufala la selezione genetica non ha ancora superato quel limite, saltato in tronco dalle vacche da latte ormai da diverso tempo, per le quali, in associazione alla spinta alimentare, ha prodotto una situazione secondo la quale in Italia occorrono più di 3,5 interventi fecondativi per gravidanza.

Dopo tutte queste ‘scoperte’, dovevamo ancora sciogliere un ultimo nodo: dovevamo dimostrare che la fecondazione artificiale non incide molto sulle spese di gestione, cosa della quale non eravamo sicuri neanche noi, anche se prima di elaborare i dati del censimento avevamo già una grossa aspettativa che potesse essere veramente così, considerando l’enormità del numero di maschi da riproduzione che era uscito fuori. Se avessimo dimostrato anche questa cosa, avremmo fatto bingo e agli allevatori non sarebbe rimasto che arrendersi all’evidenza e passare al seme congelato. Avevamo censito per ognuno dei settantuno allevamenti, il numero di bufale da riproduzione e i tori di ogni categoria, giungendo a contare 15.112 bufale e 1463 maschi da riproduzione (circa il 10%). Partendo da questi numeri calcolammo che in un allevamento di medie dimensioni di 240 animali in riproduzione (200 bufale + 40 manze pronte al toro) erano presenti 21,5 maschi, così suddivisi nelle varie categorie: 5,5 tori di età superiore ai 3 anni, 3,5 tori di tra i 2 e tre anni, 4 annutoli tra 1 e 2 anni, 3,5 vitelli tra 6 e 12 mesi, 5 vitelli da 1 a 180 giorni.

Erano tanti 21 tori e mezzo, ma c’erano diversi allevamenti che ne avevano molti più, come quello con 250 bufale che a quel tempo ne contava una cinquantina solo fra tori e torelli. Erano anni che avevo consigliato vivamente ai proprietari di venderne almeno una metà, perché l’altra bastava ed avanzava per “coprire” le bufale; magari potevano vendere quelli più vecchi e malandati, quelli tutti storti e con gli unghioni lunghi. La vendita avrebbe fornito un pò di grana per effettuare alcuni miglioramenti e, risparmiando alimenti nel medio e lungo periodo, avrebbe permesso una migliore gestione sanitaria della mandria senza andare ad intaccare il budget di spese. Ma loro avevano sempre tergiversato, dicendo che capivano le mie considerazioni ma che comunque dovevano tenere qualche toro in più, magari per sostituire qualcuno che ‘usciva pazzo’ e cominciava ad incornare tutte le bufale, qualcun altro che soccombeva nelle lotte per il predominio sulle femmine, e poi un gruppo unito di tori freschi e giovani di riserva ci doveva stare per rimpiazzare quelli vecchi, e che comunque era meglio non rischiare e tenere dei tori in più nelle bufale piuttosto che in meno.

Naturalmente ci trovammo di fronte a situazioni diametralmente opposte, nelle quali il numero dei maschi era troppo più basso rispetto al rapporto unanimemente consigliato che è di 1 toro ogni 25 bufale, dove magari in una piccola mandria da 50 a 100 capi in produzione veniva tenuto un solo maschio, il quale, senza competizione con un altro soggetto si “addormentava” perdendo libido e lasciando le bufale vuote. Partendo dal numero dei maschi nella mandria media, cercammo di trovare il modo di valutare la spesa che doveva “sopportare” ogni anno un allevatore per mantenerli, e naturalmente la prima cosa che prendemmo in considerazione fu il costo alimentare.

Quanto costava alimentare 21,5 tori? Per questo calcolo ci facemmo aiutare da alcuni alimentaristi e da qualche allevatore e facendo una media fra tutti i loro dati arrivammo a quantificare il costo giornaliero per ogni toro delle diverse categorie arrivando a calcolare una spesa alimentare totale annua di circa 19.000 euro. Constatare una tale spesa per l’alimentazione fu strabiliante anche per noi, e quando presentammo la ricerca fu il dato che impressionò maggiormente gli allevatori. Quando mai avevano calcolato quanto gli costa far mangiare i maschi di una mandria?!

Passammo quindi ad analizzare i costi ed i mancati guadagni causati dai tori ad altri soggetti della mandria. In un allevamento come quello che avevamo preso in considerazione, quante bufale c’erano che avevano perso quarti mammari nelle lattazioni precedenti e che si ritrovavano con tre o addirittura due capezzoli funzionanti? Certamente non avremmo esagerato se avessimo parlato del 10%. Per cui avevamo 20 bufale che avevano almeno un quarto mammario che non produceva latte. Quanti di questi quarti erano stati irrimediabilmente persi per traumatismi provocati dai tori? Ne considerammo solo 6. Ebbene, avere in stalla 6 quarti persi voleva dire avere una bufala e mezza che portava spese e non produceva latte per cui, considerando una lattazione media di 2.400 kg, ci trovavamo a produrre 3.600 kg in meno all’anno, che moltiplicati al prezzo medio di euro 1,37 del tempo, facevano 4932 euro. Ma ogni nuovo anno, sempre in quell’allevamento, quante altre bufale erano traumatizzate alla mammella dai tori e sviluppavano prima emorragie e poi mastiti che pregiudicavano in modo più o meno grave la produzione di latte? Ne considerammo 10, che alla fine avrebbero potuto anche dimezzare la produzione, così ci trovammo con altre 5 lattazioni in meno con un ammanco di altri 12.000 kg, che a 1,37 euro facevano 16.440 euro. A questi mancati introiti di latte aggiungemmo 800 euro di spese di farmaci e veterinario e i mancati guadagni legati alla riforma o alla morte di soggetti traumatizzati che, tenendoci molto bassi, considerammo nel numero di 2, per cui venivano a mancare altre due lattazioni che facevano 4800 kg, che a conti fatti (sottraendo in quel caso le mancate spese per animali non più presenti) portavano ad un mancato guadagno di 30 centesimi per ogni kg e di altri 1440 euro totali.  Alla fine il mancato guadagno per questo tipo di problematica giunse a 23.612 euro.

Al quadro generale dei costi di gestione dei tori dovevamo però ancora aggiungere le spese sanitarie, dalle vaccinazioni ai vitelli alle spese per malattie od interventi chirurgici, calcolando una somma di circa 20 euro a testa per un totale di 430 euro. Aggiungemmo pure delle spese fisse che per le nostre conoscenze riuscimmo a quantificare con difficoltà. Per cui, cercando di tenerci sempre bassi, per la manodopera, l’ammortamento di strutture ed attrezzature, i carburanti e l’elettricità, e la manutenzione paddock, calcolammo una spesa complessiva di 1000 euro all’anno. Alla fine raggiungemmo la cifra di quasi 45.000 euro. Nelle diverse presentazioni della nostra ricerca arrivati a questo punto si alzava sempre qualcuno che diceva che avevamo esagerato e avevamo calcolato troppe spese, ma moi sicuri che un loro ridimensionamento non avrebbe cambiato il senso di quello volevamo dimostrare, dicevamo: “Vi sembrano troppi i soldi legati alle spese alimentari e ai mancati guadagni per traumatismi? Vi sta bene se li abbassiamo entrambi a 15.000 euro? Ok, ma come vedete, comunque raggiungiamo una cifra intorno ai 30.000 euro e sulla quale ora nessuno può dire più niente”.

Fatta accettare questa cifra, quello che avremmo provato subito dopo avrebbe determinato la resa incondizionata di tutti i Bastian contrario! Quanto costava invece la gestione della inseminazione artificiale? Considerando le spese in farmaci per la sincronizzazione dei calori, quelle per il seme congelato e per l’intervento fecondativo, ogni fecondazione veniva a costare circa 40 euro ( anche se molti allevatori, per la maggior parte dell’anno, modulando per bene il protocollo di sincronizzazione e scegliendo i farmaci più economici, riuscivano e riescono tranquillamente a farcela con una spesa di 25 euro).

A quel punto era facile calcolare quanti interventi fecondativi poteva permettersi l’allevatore con quei 30.000 euro che aveva risparmiato eliminando i tori dalla mandria ed era pure facile capire che, se anche le spese per i tori fossero state la metà e quelle per inseminazione artificiale fossero state il doppio, comunque quest’ultima sarebbe stata, ed è, economicamente conveniente. Volendo comunque fare un calcolo preciso, considerando una spesa media di 38,5 euro per intervento fecondativo ed avendo a disposizione i 30.000 euro risparmiati eliminando i tori, nel nostro allevamento tipo di 240 capi in riproduzione riuscivamo ad effettuare circa 780 inseminazioni, equivalenti a 3,3 interventi per bufala, che apparentemente non sembravano troppi ma, considerando le percentuali medie di gravidanza che avevamo riscontrato già dopo il primo anno di ricerca, non lo erano affatto, perché naturalmente non tutte le bufale avevano bisogno di tanti interventi per rimanere gravide. Infatti, partendo sempre da quelle 240 bufale, e tenendo conto delle percentuali di gravidanza che avevamo riscontrato per i diversi interventi fecondativi, dimostrammo che per ingravidarne il 95% (percentuale uguale o superiore a quella che si riscontra coi tori in regime di promiscuità sessuale) erano bastati solo 425 interventi, per cui le spese di gestione della inseminazione artificiale erano state quasi la metà di quelle per la monta naturale.

Alla fine del lavoro eravamo galvanizzati dall’idea di riunire il nostro mondo per mostrare a tutti che dalla nostra ricerca erano uscite fuori cose che anche noi non avevamo mai considerato, cose di un’evidenza talmente spudorata e così importanti per l’economia delle aziende bufaline che non vedevamo l’ora di farlo. Così quando al meeting della veterinaria salernitana ci venne proposto di organizzare una sessione per la buiatria non ci parve vero di poter prendere al volo quell’opportunità. Come relatori scegliemmo Emanuela Califano e Lorenzo Volatile (un caro discepolo poi finito a Bologna in un grande allevamento di vacche da latte), i più giovani del gruppo. Gli addetti ai lavori dovevano sentire delle voci giovani perché quelle voci dovevano far capire che lo scenario stava cambiando ed erano proprio i giovani il punto di partenza di una nuova era di sviluppo per gli allevamenti di bufala. Bastava applicare una semplice pratica per entrarci, e quel lavoro lo dimostrava con semplici ragionamenti. Il miglioramento genetico era solo uno motivi per i quali occorreva imboccare senza indugi e definitivamente quella strada ma ce n’erano tanti altri, forse erano ancora più importanti:

  • Maggiore fertilità rispetto alla monta naturale e un costo di gestione dimezzato.
  • Destagionalizzazione dei parti, rapida (perché si ottiene completamente in un’unica stagione), certa (perché è sicura e perché basta programmare e fecondare gli animali nei tempi scelti in virtù del tasso di gravidanza presente nel singolo allevamento), e ininfluente sull’inter-parto medio della mandria (perché non si ottiene più allontanando per qualche mese i maschi dalle femmine). Per cui alla fine ogni allevatore può decidere quanti parti avere ogni mese, a soddisfare le esigenze aziendali e quelle dei caseifici che acquistano il latte.
  • Riduzione radicale del periodo inter-parto e una carriera riproduttiva con maggiore produzione di latte (basta pensare che accorciando l’interparto medio di una mandria di soli 30 giorni e considerando una carriera produttiva media fatta di 7-8 lattazioni, è come se ogni bufala di una allevamento si trovasse a fare una lattazione in più che, moltiplicata per il numero di bufale e per il prezzo del latte, farebbe incassare agli allevatori centinaia di migliaia di euro in più ogni anno).
  • Annullamento del gap di fertilità delle primipare dopo il parto, visto che abbiamo dimostrato che con l’inseminazione artificiale e i giusti protocolli di sincronizzazione questa categoria di animali si ingravida tranquillamente dopo 60 giorni dal parto, eliminando completamente la difficoltà che hanno tutti gli allevatori a farle accoppiare in tempi brevi in regime di promiscuità sessuale (molti allevatori cercano di anticipare i parti delle manze a dicembre e gennaio, per dare agli animali più tempo per riprendere peso ed energie ed avere così più chances di ingravidarsi prima del periodo di scarsa fertilità che corre da aprile ad agosto, anche se molte volte succede che gli animali non si ingravidano comunque in tempo e fanno slittare anche di un anno il parto successivo, allungando a dismisura l’interparto e non incidendo se non in maniera superficiale, sul numero dei parti di primavera ed estate).
  • Diminuzione delle malattie infettive trasmesse con la monta naturale.
  • Eliminazione ipo-fertilità per tori sterili o dormienti.
  • Maggiore precisione delle curve di previsione parto e delle produzioni del latte, e quindi migliore gestione della sala parto e della vitellaia.
  • Diminuzione dei traumatismi e degli stress legati alla scala gerarchica e a quella di genere.
  • Maggiore disponibilità di spazio per le bufale nei paddock e la diminuzione dei pericoli per gli operatori.

Gli allevatori ci stanno seguendo, considerando che nel 2017 siamo partiti con due allevamenti pilota e che nel 2020 gli allevamenti che praticano la fecondazione artificiale di massa sono diventati 25, che da poco più di 2000 fecondazioni all’anno siamo arrivati a farne quasi 19.000 nel 2000, e che da poco più di 1550 bufale fecondate siamo arrivati a 10.500.

Questi risultati sono solo numeri parziali legati agli allevamenti seguiti dal nostro gruppo, ma se consideriamo il fatto che la svolta sta avvenendo in buona parte dell’area DOP, le cifre sono davvero impressionanti.

Autori:

Concetta Avallone*, Emanuela Califano*, Davide Cembalo*, Dionisio Del Grosso*, Luigi Lavorgna*, Lorenzo Volatile*

* M.V.L.P. Salerno