Alimentazione proteica e urea nel latte – Scheda tecnica n° 68
L’urea nella capra da latte è un prodotto del normale metabolismo dell’azoto e della proteina. In particolare essa si forma principalmente a livello epatico per ridurre la concentrazione di ioni ammonio nel sangue derivanti soprattutto da un surplus di azoto degradabile a livello ruminale, da un eccesso di proteina digeribile a livello intestinale e dalla gluconeogenesi derivante dal catabolismo aminoacidico. Dal plasma, l’urea attraversa il tessuto epiteliale mammario per diffusione libera e di conseguenza si ritrova nel latte in quantità molto ben correlata a quella plasmatica. Ecco perché il contenuto di urea nel latte risulta il più importante indicatore di una corretta alimentazione proteica. È di facile e rapida determinazione analitica e può essere utilizzata come uno strumento efficace e pratico per valutare il reale apporto proteico della dieta rispetto ai fabbisogni dell’animale ed individuare sia i deficit sia gli eccessi dando così la possibilità di bilanciare in modo ottimale la razione.
Per la capra da latte i valori ottimali di urea nel latte di massa sono compresi tra 23-34 mg/dl. Valori più bassi di 23 mg/dl possono dipendere da una carenza pura e semplice di proteine (caso più frequente) o da una bassa degradabilità ruminale delle proteine (raro), o, anche, da un rapporto molto elevato tra i carboidrati fermentescibili (amido, zuccheri, pectine) e la proteina degradabile. Con questi valori l’attività di fermentazione dei batteri a livello ruminale viene penalizzata. Si potrebbe verificare una leggera riduzione di ingestione di SS, una minore produzione di proteine batteriche e conseguente diminuzione della produzione di latte con un possibile peggioramento della qualità casearia. Valori più elevati di 34 mg/dl, invece, possono dipendere da: un eccesso proteico in razione (caso più frequente), un eccesso di sola proteina degradabile (di cui sono ricche le erbe giovani ed alcuni insilati) o una carenza di energia da carboidrati fermentescibili a livello ruminale (i batteri non riescono ad utilizzare l’ammoniaca nel rumine). I problemi associati all’eccesso proteico possono manifestarsi in modo più evidente quanto maggiore risulta essere l’eccesso.
Schematicamente sono qui di seguito riportati:
- maggior escrezione di azoto urinario che comporta un aumento dell’inquinamento azotato;
- maggior costo della razione a causa dell’alto costo degli alimenti proteici:
- infezioni e tossinfezioni: possibile sviluppo nel rumine di batteri alcalofili che producono tossine (amine) che liberano istamina e provocano infiammazioni o azione diretta dell’ammoniaca quando il fegato non la trasforma completamente;
- turbe mammarie: possibile aumento delle cellule somatiche (tossine), diminuzione del grasso del latte, caduta della curva di lattazione;
- turbe riproduttive: metriti, corpi lutei ridotti, ritenzioni placentari, riduzione della fertilità per effetto diretto dell’ammoniaca sui tessuti sensibili e per una minore disponibilità dell’energia (consumata per convertire NH3 in urea);
- possibile aumento delle zoppie.
Urea per la stima della PG realmente ingerita dall’animale
La grande capacità selettiva della capra rende difficoltosa un’accurata valutazione di quanta proteina ha realmente ingerito l’animale. Più elevata è la quantità di foraggio distribuita in mangiatoia, tanto maggiore è la selezione delle parti più pregiate che le capre riescono ad esercitare sul foraggio. Ciò determina, quindi, uno scostamento tra la qualità della razione somministrata e quella effettivamente ingerita. A questo riguardo il contenuto di urea del latte di massa può essere impiegato per stimare quale sia la concentrazione proteica della razione realmente ingerita attraverso l’equazione:
Proteina della dieta, escrezione azotata urinaria ed urea del latte
La localizzazione geografica della maggior parte degli allevamenti caprini lombardi, comporta molto spesso una forte dipendenza dall’esterno per quel che riguarda l’approvvigionamento dei concentrati proteici. Una riduzione dell’inclusione di questi, laddove presenti in dosi eccedenti rispetto ai fabbisogni, porterebbe alla diminuzione del costo della razione. Di contro, fornire alle capre da latte maggiore proteina rispetto ai fabbisogni incrementa senza ragione il costo della razione. Infatti, dalla Fig. 1 risulta molto evidente che l’aumento di proteina della dieta al di sopra dei fabbisogni incrementa il tenore in urea del latte peggiorando sensibilmente l’efficienza con la quale la proteina è utilizzata, senza migliorare la produzione di latte.
Il surplus di azoto somministrato con la dieta, stante il fatto che la quota di escrezione azotata fecale cambia poco, viene escreto principalmente con le urine. L’urea è appunto il parametro che più di ogni altro è in grado di consentire una previsione della quantità di azoto escreto attraverso le urine. La Fig. 2 evidenzia, infatti, che l’aumento dell’escrezione azotata urinaria (espressa in g/d) è spiegato per circa il 92% dall’aumento del tenore di urea nel latte. È perciò molto evidente che una somministrazione di proteina alimentare che vada oltre le effettive richieste dell’animale, non solo non è in grado di migliorare la produzione lattea, ma determina una maggiore dispersione di azoto nell’ambiente. È inoltre da sottolineare che la riduzione del tenore proteico della dieta comporta una riduzione dell’azoto ureico urinario. Ciò determina, una minore volatilizzazione di ammoniaca nell’ambiente stallino, con un evidente vantaggio per il benessere degli animali e degli operatori.
Altri fattori da tenere in considerazione
Nella capra da latte i fattori alimentari incidono per almeno l’80% della variabilità dell’urea. Quando si valuta il contenuto di urea del latte bisogna porre attenzione anche ad altri fattori:
- il latte di riferimento per il campionamento è il latte di massa in quanto esiste una elevata
variabilità individuale tra gli animali; - stadio di lattazione: l’urea è tendenzialmente più bassa ad inizio lattazione;
- condizioni di stress come diarrea, deidratazione, acidosi, alcalosi possono aumentare l’urea del latte.
L’inversione dei titoli di grasso e proteina nel latte caprino – Scheda n° 72
Perché è importante
Per inversione tra grasso e proteine del latte si intende un fenomeno per il quale la percentuale di grasso del latte di capra scende al di sotto di quella della proteina; può verificarsi in molte specie da latte, ma è più frequente nelle capre. La diminuzione del grasso del latte, tipica dell’inversione, può comportare problemi di caseificazione dovuti alla diminuzione della resa casearia e del contenuto in grasso del formaggio, con conseguenti modificazioni nelle qualità reologica e sensoriale del prodotto.
Quali sono le possibili cause?
L’origine dell’inversione dei titoli nella specie caprina non è ancora completamente chiara ma certamente può essere attribuibile a cause multifattoriali. Vi è una componente genetica dovuta al fatto che, soprattutto in passato, è stata effettuata una selezione delle lattifere volta ad aumentare la produzione di latte e quella delle proteine (dato che queste concorrono più delle altre componenti del latte alla resa casearia) tralasciando il titolo lipidico. Un’altra concausa è senz’altro quella della concomitanza tra la stagione (temperatura e fotoperiodo) e lo stadio di lattazione. Infatti, il fenomeno dell’inversione generalmente si manifesta durante la fase di piena lattazione che, nei nostri ambienti e per le capre che partoriscono “in stagione” (gennaio-aprile), corrisponde al periodo più caldo dell’anno di fine primavera ed estate (maggio – settembre). Nella fase di piena lattazione il tenore di grasso e proteine del latte è inferiore rispetto a inizio e fine lattazione mentre la produzione di latte è ancora elevata, tale da mantenere comunque ancora alto il fabbisogno energetico dell’animale. In situazioni di stress da caldo l’animale reagisce riducendo l’ingestione alimentare per ridurre il calore prodotto dal corpo e quindi facilitare il suo smaltimento. Come conseguenza si ha una diminuzione della produzione di latte e dei titoli di proteina ma soprattutto di grasso del latte, favorendo quindi l’insorgenza dell’inversione dei titoli. A dimostrazione dell’importanza dell’effetto stagione, si osserva che le capre che partoriscono a fine stagione, nei mesi di aprile-giugno, mostrano l’inversione tra i titoli più precocemente nel corso della lattazione rispetto alle capre che partoriscono nei primi mesi dell’anno. Vi è poi il ruolo importante dell’alimentazione. Tre gli aspetti da considerare:
- il rapporto tra foraggi e concentrati;
- la digeribilità della fibra;
- il tenore di lipidi della razione.
In particolare, l’inversione viene spesso attribuita ad un basso rapporto foraggi/concentrati (F:C) della dieta che tende a verificarsi quando, per soddisfare le esigenze nutrizionali delle capre, è necessario aumentare la concentrazione energetica della razione somministrando elevate quantità di cereali, soprattutto se i foraggi impiegati sono di scarsa qualità. In realtà, un basso rapporto F:C non è così determinante, e la grande incidenza del fenomeno dell’inversione non può essere spiegata esclusivamente da questa causa alimentare. Come indicazione pratica è opportuno che la sostanza secca (SS) da foraggio della razione sia maggiore del 50%. In tal modo la razione potrà essere adeguatamente dotata di fibra, importante sotto il profilo dietetico, affinché possa stimolare la masticazione mericica che a sua volta stimola la produzione di saliva; questa favorisce il mantenimento di livelli ottimali di pH ruminale che garantiscono il corretto equilibrio tra microrganismi fibrolitici e amilolitici del rumine. A ciò consegue un rapporto corretto tra gli acidi grassi volatili (AGV, acidi acetico, propionico e butirrico) che si formano in seguito alla fermentazione ruminale dei carboidrati.
È allora opportuno ricordare che, a livello metabolico, l’acido acetico e l’acido butirrico sono utilizzati in parte come precursori per la sintesi degli acidi grassi a catena corta e media del grasso del latte e in parte come fonte diretta di energia a livello cellulare; l’acido propionico invece è un’importante fonte gluconeogenetica essendo trasformato in glucosio nel fegato, e come tale è un’importante fonte di energia per l’animale. Poiché le razioni con troppi cereali tendono a ridurre il rapporto tra acetico e propionico, non bisogna eccedere con questi, e soprattutto bisogna che siano distribuiti a piccole dosi, in almeno 3 o 4 pasti nel corso della giornata; altrimenti il rischio di incorrere nella dismetabolia dell’acidosi ruminale acuta o subacuta diviene elevato. Va tuttavia evidenziato come la capra sia meno sensibile della bovina all’acidosi ruminale: ad esempio, per una percentuale simile di NDF o concentrato nella razione, le capre hanno un pH circa 0,4 punti superiore rispetto ai bovini. Inoltre, con le diete ad alta energia, i piccoli ruminanti sono caratterizzati da un profilo AGV meno ricco di acido propionico e più ricco di acido butirrico rispetto ai bovini.
Nelle capre, mediamente il rapporto ruminale tra gli acidi acetico e propionico è nell’ordine di 3:4; nelle bovine, invece, esso risulta inferiore, pari a circa 3. Tale rapporto aumenta quanto più è presente nella razione fibra digeribile poiché questa favorisce la produzione ruminale di acetato, con ciò determinando una maggiore disponibilità del principale precursore degli acidi grassi a corta catena del grasso del latte. Quindi, per sintetizzare, non è sufficiente avere un adeguato rapporto tra foraggi e concentrati per avere un buon livello di grasso nel latte, è anche necessario che la fibra del foraggio sia ben digeribile! Ma ancora non basta. Il terzo aspetto riguarda il tenore lipidico della razione. Bisogna ricordare che la capra, in termini di ecologia della nutrizione, è un piccolo ruminante che ben si differenzia dalla bovina, non solo per la taglia, ma anche per il suo comportamento alimentare di tipo “intermedio” (“intermediate feeders”) che la pone tra i ruminanti pascolatori (come bovini, bufali e ovini) ed i ruminanti brucatori (“concentrate selector”, come molti ruminanti selvatici quali, ad esempio, il capriolo), collocandosi più vicina a questi ultimi. Partendo da questa considerazione, è opportuno evidenziare che il contenuto lipidico delle foglie degli arbusti (4-15% SS), di cui la capra è ghiotta e di cui si ciba quando è posta nelle condizioni di poterlo fare, è ben superiore a quello dell’erba (3-4% SS) o peggio del fieno (1,5-3,5% SS). Quindi, una dieta costituita da fieni e cereali, integrata con farine di estrazione proteiche, a loro volta povere in lipidi, sarà caratterizzata da un livello in estratto etereo (EE) troppo modesto (<3% SS). Una buona razione dovrebbe invece avere come minimo una concentrazione in EE superiore al 3%, meglio se nell’intorno del 4-5% SS. In condizioni di allevamento intensivo questo obiettivo può essere perseguito integrando la razione con semi integrali ricchi in lipidi grezzi quali quelli di soia, girasole, lino, canapa ecc… .
L’impiego dei semi integrali, anche crudi e opportunamente dosati, non interferisce con la digestione ruminale della fibra. L’uso di oli, invece, appare non altrettanto efficace e può interferire negativamente sulla digestione della fibra. Anche l’impiego di prodotti commerciali costituiti da acidi grassi rumino-protetti, parimenti ai semi integrali sopracitati, può favorire l’innalzamento del tenore lipidico del latte e scongiurare il fenomeno dell’inversione. Nella scelta delle fonti lipidiche da utilizzare bisogna anche tenere conto del loro profilo in acidi grassi poiché questi influenzeranno quello del grasso del latte. Un altro fattore che sembra portare ad un’inversione dei titoli è l’elevato tenore in cellule somatiche, che risulta infatti correlato con un elevato livello di proteine (in particolare proteine immunoattive) accompagnato da un tenore minore del grasso del latte di capra. Anche le procedure gestionali legate alla routine di mungitura possono avere un’influenza sul fenomeno dell’inversione: la rimozione del latte dalle mammelle a fine mungitura con l’impianto ancora in funzione, infatti, rappresenta un fattore di rischio.
Fra le razze caprine, la Saanen è quella più soggetta all’inversione dei titoli, poiché ha un tenore lipidico inferiore rispetto ad altre razze.
Quanto è frequente questo problema?
In uno studio recente che ha coinvolto 173 aziende del nord Italia è emerso che il fenomeno dell’inversione dei titoli è molto frequente, addirittura superiore al 50% dei campioni di latte controllati. Tuttavia, è importante sottolineare che nel caso dei controlli di latte individuali, se questi sono fatti alla mungitura del mattino e l’intervallo con quella serale è superiore alle 12 ore (cosa assai frequente) allora il contenuto in grasso del latte sarà inferiore rispetto a quello rappresentativo dell’intera giornata.
Le strategie di contenimento possibili
- Al fine di contenere il più possibile il fenomeno dell’inversione dei titoli lipidico e proteico del latte di capra occorre seguire le seguenti indicazioni:
- assicurarsi che il rapporto foraggi/concentrati della dieta sia superiore a 50:50 (espresso in % sulla sostanza secca totale);
- il tenore in NDF della dieta deve essere >35% SS e tale fibra deve essere ben digeribile;
- il livello di estratto etereo della razione deve essere compreso tra il 3 e il 5%, fino a un massimo del 6%, purché la frazione oltre il 4% sia inerte a livello ruminale (grassi rumino-protetti). Può essere utile, in tal senso, l’uso di semi integrali ricchi in lipidi, come ad esempio la soia, il girasole, il lino, il cotone, la canapa;
- somministrare la razione in più pasti, ponendo attenzione soprattutto ai concentrati che devono
essere suddivisi in tre o quattro somministrazioni; - inserire nella dieta sostanze tampone per favorire un buon livello del pH ruminale;
- operare una selezione genetica scegliendo, per la fecondazione artificiale, becchi miglioratori del titolo lipidico del latte.
Scopri di più sul progetto DEMOCAPRA.
DEMOCAPRA (2020) Schede tecniche DEMOCAPRA. Università degli Studi di Milano & Associazione Regionale Allevatori della Lombardia, Milano.