Pizza cibo antichissimo
La farina di cereali, impastata con acqua, lavorata a forma di disco e cotta su una pietra rovente è antichissima e nasce prima del pane. Altrettanto antica e diffusa ovunque e in tutte le epoche è l’usanza di collocare i più diversi alimenti, vegetali e animali, sul disco di pasta da usare come piatto. Quando poi non c’era abbastanza cibo, si mangiava pure il piatto di pasta, come descrive Virgilio nell’Eneide: «Enea, i capi supremi e Iulo si distendono/ sotto i rami d’un albero altissimo: preparano/ i cibi, mettendo sull’erba larghe focacce di farro/ come fossero tavole (consigliati da Giove), / e riempiono di frutta i deschi cereali. / Allora, consumati quei poveri cibi,/ la fame li spinse a addentare le sottili focacce/ spezzandone l’orlo. “Ahimè – fece Iulo/ scherzando – noi mangiamo anche le nostre mense”»
La parola pizza compare in Italia per la prima volta nel 997 in un contratto conservato nell’archivio del duomo di Gaeta che riguarda l’affitto di un mulino sul fiume Garigliano e dove è citato un compenso di duodecim pizze assieme ad altri beni alimentari. Non sappiamo cosa fossero queste pizze, probabilmente delle focacce, mentre è più chiaro come erano preparate le pizze napoletane descritte dal Bartolomeo Scappi, cuoco personale di papa Pio V, nella sua Opera pubblicata nel 1570. Oltre a dare una ricetta di una pizza dolce, lo Scappi, che lega la pizza a Napoli, afferma che questa preparazione è una base su cui mettere qualcos’altro. “In essa pizza si può mettere d’ogni sorte condite” precisa infatti il cuoco papale. Una preparazione in qualche modo simile alla pizza napoletana è tuttavia presente in altre regioni con denominazioni similari quali pinza (Veneto e Friuli) o piadina (Romagna).
Formaggi nelle pizze napoletane
Nella grande varietà d’ingredienti che concorrono nella preparazione delle pizze napoletane, oltre ai vegetali e a piccoli pezzi di pesce (soprattutto acciughe) non mancano i formaggi, e tra questi la mozzarella.
Nel libro di Francesco De Bourcard “Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti”, pubblicato a Napoli nel 1858 quando la città era ancora la capitale del regno delle Due Sicilie, è descritta una pizza con la mozzarella e il basilico: “Altre (pizze) sono coperte di formaggio grattugiato e condite collo strutto, e vi si pone disopra qualche foglia di basilico. Si aggiunge delle sottili fette di mozzarella”. Il pomodoro è opzionale e l’autore napoletano di origine svizzera scrive che “talora si fa uso”. De Broucard descrive anche la pizza piegata in due precisando che “talora ripiegando la pasta su sé stessa se ne forma quel che chiamasi calzone”, una preparazione tradizionale che arriva fino a giorni nostri.
Tre sono quindi le tipologie di pizze tradizionali: la pizza bianca senza alcun condimento, di minor costo e destinata ai più poveri; la pizza con i più diversi vegetali, ultimo dei quali è il pomodoro arrivato dall’America e che rientra tra i cibi dei napoletani mangiafoglie; e la pizza più ricca che tra i suoi ingredienti vede il pesce ma soprattutto i formaggi, dal cacio grattugiato alla preziosa mozzarella delle bufale che si sono insediate nelle zone paludose dell’agro napoletano, pare fin dall’invasione longobarda altomedievale.
Una pizza per la Regina Margherita
Come per molte ricette e piatti tradizionali, anche per la Pizza Margherita, divenuta uno dei cibi italiani più conosciuti al mondo, vi sono almeno due spiegazioni: un’interpretazione strutturale e razionale e una leggenda più emotiva se non sentimentale.
Secondo la prima tesi strutturale e razionale la pizza Margherita, in analogia a quanto avviene anche per la Torta Margherita, ha una denominazione che deriva dalle fette di mozzarella campana disposte a petalo di margherita per definire le fette da tagliare.
Secondo la leggenda che va per la maggiore e che meglio si conviene alla fantasia sentimentale napoletana, la pizza Margherita sarebbe stata creata appositamente in onore della Regina Margherita che nel 1889, assieme al re Umberto I, visita Napoli. Durante il loro soggiorno napoletano i reali scoprono il notevole interesse che la gente ha per delle particolari focacce al pomodoro, un cibo a loro sconosciuto. I responsabili delle cucine Savoia, per far assaggiare quelle specialità ai monarchi, invitano alla reggia uno dei più celebri fornai della città, Raffaele Esposito, che produce tre tipi di pizze: mastunicola (pizza bianca con lardo, scaglie di formaggio di pecora, pepe e basilico), pizza pomodoro e acciughe e pizza pomodoro, mozzarella e basilico. La regina, apprezza soprattutto quest’ultima, anche per l’evidente accostamento al tricolore italiano: il bianco della mozzarella, il rosso del pomodoro ed il verde del basilico e in seguito all’elogio reale la pizza alla mozzarella è battezzata Pizza Margherita.
A incoronare Raffaele Esposito re dei pizzaioli ci sarebbe una lettera, datata 11 giugno 1889, firmata da Camillo Galli, capo dei servizi di tavola della Real Casa, esposta nella pizzeria Brandi di Salita Sant’Anna di Palazzo che dice «Le confermo che le tre qualità di pizze da Lei confezionate per Sua Maestà la Regina furono trovate buonissime». Da quel 1889, durante tutte le visite a Napoli la regina Margherita avrebbe invitato a palazzo Esposito che, con gli attrezzi del mestiere e assieme alla moglie, avrebbe preparato la pizza tanto apprezzata dalla sovrana, che non la ha certamente inventata ma che l’ha però pubblicizzata e diffusa anche tra i sovrani aprendo la strada alla sua presenza nelle tavole dei nobili.
Regina Margherita non solo pizza
Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia (1851 – 1926), dal 1878 al 1900 consorte di re Umberto I, è la prima regina d’Italia, ma la sua influenza sul giovane regno, che nasce nel 1861, è più lunga e inizia quando è principessa ereditaria a fianco di Umberto, poiché il re Vittorio Emanuele II è vedovo dal 1855, e si prolunga fino al 1926 durante il regno di Vittorio Emanuele III, la cui consorte, Elena Jelena Petrović-Njegoš Principessa del Montenegro non ha il carisma di Margherita. Grande è il fascino di Margherita nel neonato Regno d’Italia, grazie al suo sapiente uso delle proprie apparizioni pubbliche concepite per attrarre gli entusiasmi anche di una parte delle classi elevate, cercando anche una mediazione con l’aristocrazia nera rimasta fedele al Vaticano dopo la presa di Roma, ma soprattutto del popolo. Con un abbigliamento ricercato e una costante affabilità Margherita ammalia anche Giosuè Carducci che, da focoso repubblicano autore dell’Inno a Satana (1863 – 1865), si converte a monarchico che dopo la visita a Bologna dei sovrani scrive l’ode Alla Regina d’Italia (1878), inserita tra le Nuove Odi Barbare (1882), e l’Eterno Femminino Regale (1882).
Merito della Regina Margherita è il contribuire a costruire un’identità del nuovo Regno d’Italia, indossando abiti e gioielli realizzati dai migliori artigiani della penisola. A lei sono dedicati un rifugio sul Monte Rosa, il comune Margherita di Savoia (che prima del 1879 si denominava S. Ferdinando di Puglia), un ospedale a Torino, delle grotte a Frosinone, i Giardini Margherita a Bologna e un lago in Etiopia. Per quanto riguarda la cucina, nello stesso periodo, iniziando dal 1891, Pellegrino Artusi pubblica il trattato “La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene” dedicando alla regina Stresa i biscottini detti Margheritine, un panforte a Siena e la pizza Margherita a Napoli, mentre la ricetta della torta margherita deve il suo nome all’interno dal colore giallo intenso e alla spolverata di zucchero a velo che al taglio simulano petali di margherita. Molto probabilmente all’influenza della Regina Margherita si deve anche il passaggio dei menù della Casa Reale, scritti in lingua francese, alla lingua italiana per ovvi motivi attribuito al figlio Vittorio Emanuele III. Infatti, come ricorda Alberto Couget (1910 – cit. Faccioli, 1978 – pag. XXIII), l’alba dell’anno 1908 fu salutata in Italia da un motuproprio di Sua Maestà il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, che stabilì che le liste cibarie di Corte sarebbero da quel momento state compilate in lingua nazionale e che a Casa Savoia si sarebbe dovuto usare il termine italiano di lista. Decisione non molto adatta a chi si sarebbe poi chiamato Re Soldato, ma più in linea con l’italianizzazione della cucina italiana svolta da Margherita di Savoia.
Pizza Margherita e diffusione della mozzarella
Se Raffaele Esposito non ha inventato la pizza con la mozzarella è però vero che con la leggenda della pizza Margherita ha contribuito a far conoscere la mozzarella prima in Italia e poi in tutto il mondo.
La mozzarella è un latticino a pasta filata originario dell’Italia meridionale, prodotta da secoli anche nel Centro Italia e preparata con latte bufalino, ora anche con latte vaccino, assumendo per legge le denominazioni di Mozzarella di bufala campana DOP, Mozzarella (nome della marca) di latte di bufala, Mozzarella o Mozzarella di latte vaccino o fior di latte. La mozzarella deve il suo nome all’operazione di mozzatura compiuta per separare dall’impasto i singoli pezzi durante la lavorazione, come testimonia anche la sua antica denominazione di mozza. Le origini della mozzarella si perdono nel tempo e, a causa della necessità di essere consumata freschissima, sino all’avvento delle ferrovie era prodotta in piccole quantità e consumata esclusivamente nei pressi dei luoghi di produzione.
Oggi la mozzarella può essere trasportata a grandi distanze per esser usata in diverse preparazioni di cucina e di gastronomia, e la pizza Margherita è stata, e rimane, uno dei più importanti veicoli di diffusione di questo formaggio, anche come simbolo di una cucina Italiana.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.