Charles De Gaulle affermò che non era possibile governare un paese che conta duecentocinquantasei tipi di formaggi, ma cosa dire dell’Italia che, secondo alcune indagini, ne conta quattrocentotré e gli esperti del mercato gastronomico ritengono che il loro numero superi i cinquecento, ma forse si possa arrivare a mille?
Dietro ogni formaggio c’è un pascolo d’un diverso verde sotto un diverso cielo dice il Palomar di Italo Calvino e il Bel paese, che non a caso è stato anche il nome di un formaggio, vede un gran numero di formaggi vaccini, pecorini e caprini, grassi, semigrassi e magri, erborinati, freschi e stagionati, a pasta dura, semidura e molle. Per questo l’Italia è anche il paese dell’Unione Europea che ha il maggior numero di formaggi a Denominazione d’Origine Protetta (DOP) e gli italiani ne godono mangiando annualmente circa ventitré chilogrammi di formaggio a testa. Un elevato numero di formaggi e un loro largo uso da parte degli italiani, con una lunga storia.
Formaggio, storia culturale antica
La produzione del formaggio è intimamente legata alla pastorizia, la prima attività dell’uomo dopo la caccia e la raccolta e prima della nascita dell’agricoltura. All’inizio sono piccole greggi di pecore o capre che forniscono latte per un consumo alimentare, mentre i bovini giungono più tardi. Quando nasce l’agricoltura e sorgono gli insediamenti dei villaggi e delle città il latte diviene merce di scambio e bisogna conservarlo: per questo, i pastori che circa diciottomila anni fa popolano la Mesopotamia iniziano a produrre latte acidificato che dai pascoli è portato ai villaggi in otri di stomaco animale o di pelle.
Il primo latte acidificato dei tempi antichi è simile al kumis, citato da Erodoto e Senofonte, o al bulgaro Kefir dal quale deriva l’attuale yogurt, ma anche i tartari, i tibetani e i persiani sono popoli che si cimentano nell’arte casearia. Al momento la fonte più antica che testimonia con particolare precisione le fasi di lavorazione del latte è un documento sumero datato III millennio a. C.: nel Fregio della Latteria (questo è il nome attribuito al documento) sono rappresentati dei sacerdoti impegnati nella lavorazione del latte. Dal latte acido prende avvio la produzione dei primi formaggi molli, consumati esclusivamente freschi. Nel cinquemila a. C. in Italia si diffonde l’allevamento di ovini e caprini e fonti archeologiche permettono di datare al 2800 a.C. l’inizio della produzione di un formaggio molle italiano.
Tremila anni fa circa vi sono formaggi stagionati e duri, come quelli prodotti da Polifemo e dettagliatamente descritti da Omero nell’Odissea, o quello che Macaone fa grattugiare nel vino come racconta sempre Omero nell’Iliade. A questo punto i formaggi divengono alimenti caratterizzanti tutta la vasta area mediterranea e si differenziano in un’innumerevole varietà di tipi.
Come nasce il formaggio
L’arte casearia si basa da sempre su pochi elementi di base: latte e caglio, talora anche calore e sale.
Tutto parte da una scoperta: qualcuno nota che il latte di pecora o di capra, lasciato per un certo periodo in alcuni recipienti, coagula spontaneamente, ma questo avviene meglio se si aggiunge del lattice di fico o di altro vegetale. Dopo la coagulazione, la parte solida si divide in una parte liquida (siero) e in una pasta (cagliata) che aumenta di consistenza fino a prendere la forma del contenitore. Per questo i primi formaggi prendono il nome di giuncata, dai canestri intrecciati con rami di giunco nei quali prende forma la cagliata.
Il termine “formaggio”, secondo alcuni, deriva dal greco Formos (messo in forma), secondo altri da Formaticum, parola con la quale s’indica una forma di questo prodotto “de caseus formatus” (formato da formaggio – caseus, infatti, in latino è il termine proprio del formaggio). Da coagulo deriva il nome di cacio mentre il termine toma proverrebbe dal taglio della pasta per darle forma, come la pasta mozzata in piccoli pezzi darebbe il nome alla mozzarella. In altri casi le forme di cacio sono messe a maturare a cavallo di un bastone diventando così caciocavallo, i primi formaggi primaverili sono quelli del latte di marzo o marzolini, mentre altri formaggi prendono il nome della zona di produzione: parmigiano, gorgonzola, asiago e così via per tante altre denominazioni.
Nel 1865 Joseph Hording, uno dei più famosi produttori di formaggio Cheddar, in Inghilterra, idea e utilizza il siero acido del giorno precedente per arricchire la popolazione microbica del latte da trasformare in formaggio, un metodo che Giuseppe Notari (1863 – 1936) applica con successo al Parmigiano. Un’altra grande scoperta applicata alla lavorazione del latte e del formaggio è di Louis Pasteur (1822 – 1895) che introduce la pastorizzazione (che da lui prende nome), in altre parole il risanamento termico applicato al latte per minimizzare i rischi per la salute causati da microrganismi patogeni, senza modificare le proprietà nutritive e organolettiche dell’alimento.
Nel XIX secolo l’attività casearia è artigianale e condotta da una o più persone nella propria bottega o masseria di campagna, per poi passare a processo industriale nella nuova struttura adibita a tale scopo, il caseificio. Nel XX secolo continua il processo di perfezionamento tecnologico, aumenta la qualità e la sicurezza igienico-sanitaria del formaggio, per tutelare sempre di più il consumatore, ma le norme che limitano l’utilizzo di latte crudo e la vendita al dettaglio compromettono la secolare tradizione lattiero-casearia, a scapito soprattutto delle piccole realtà produttive tipiche del territorio. Nel secondo dopoguerra (1950) nascono le Denominazioni Tipiche e di Origine, mentre le Denominazioni di Origine Protetta (DOP) si sviluppano tra la fine del 1990 e l’inizio del 2000.
Formaggi italiani
Secondi gli ultimi rilevamenti dell’Eurostat, l’agenzia europea di statistica, complessivamente la produzione di prodotti caseari in Europa vede un mercato così suddiviso: Germania 22%, Francia 19%, Italia 12%. Nel 2017 il primato nella produzione di formaggio spetta alla Germania, con oltre 2,2 milioni di tonnellate, seguita dalla Francia con 1,9 milioni di tonnellate e dall’Italia con 1,3 milioni.
Il 2018 è stato un anno da primato per il formaggio italiano, con un aumento delle esportazioni dell’8% rispetto al 2017 anche se, nonostante l’ottimo risultato, l’Italia rimane ancora al terzo posto in Europa per l’export dei prodotti caseari, dopo Germania e Francia.
La maggior parte delle esportazioni di formaggio rimangono all’interno dell’UE e solo il 17% è destinato agli Stati Uniti (140 mila tonnellate), al’11% Giappone (95 mila tonnellate), il 7% in Svizzera (60 mila tonnellate), il 5% alla Corea del Sud e Arabia Saudita (45 mila tonnellate circa per entrambe). In Europa i formaggi italiani vanno soprattutto in Francia, che si aggiudica circa il 20% delle nostre esportazioni, seguita dalla Germania e dal Regno Unito.
Formaggi sulla tavola degli italiani
La produzione italiana di formaggi è di circa due milioni di quintali per anno e il consumo pro capite è di circa ventitré chilogrammi per anno, un poco superiore a quello dei salumi. Questo indubitabile successo, che pone gli italiani assieme ai francesi tra i popoli più amanti dei formaggi, dipende da una serie di condizioni ed in particolare dalle seguenti.
I formaggi fanno parte di una tradizione alimentare antica, fortemente radicata in consuetudini gastronomiche, e fanno parte dei paesaggi gastronomici dei quali l’Italia è particolarmente ricca, come dimostra l’alto numero di formaggi DOP italiani.
I formaggi si sono evoluti e si sono adeguati alle moderne esigenze nutrizionali (più nutrienti e meno calorie) e agli attuali stili alimentari.
I formaggi hanno un ottimo rapporto tra qualità e prezzo.
I formaggi sono di facile e diversificato uso alimentare e si sono adeguati alle nuove linee di sviluppo gastronomico.
Gastronomia dei formaggi
I formaggi fanno parte della cucina tradizionale regionale italiana e sono entrati nella gastronomia moderna.
Cacio e pepe è una ricetta tradizionale della cucina romana, come in tutto il meridione il formaggio con le fave.
Se il parmigiano grattugiato fa parte della classica ricetta che caratterizza il Paese di Bengodi descritto da Giovanni Boccaccio nel milletrecento, i formaggi sono i condimenti indispensabili per le paste e le pizze dell’Italia centromeridionale e delle paste ripiene in brodo dell’Italia settentrionale.
Quasi infinite sono le ricette di verdure sposate ai formaggi, che troviamo quindi negli antipasti, nei primi e secondi piatti.
Il successo dei formaggi in cucina, particolarmente di quelli stagionati, deriva dal potere “insaporente” loro attribuito dall’acido glutammico e dal glutammato.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.