Impegnato tra Covid, Ospedale e Casa il trascorrere dei miei giorni è più vario rispetto al resto degli Italiani che godono di discreta salute, ma confinati in modo assoluto nelle mura domestiche.
Oggi ho il tempo per scrivere, ne sento il bisogno, soprattutto ho delle voglie inevase, che sento dentro, come quella di riassaporare il Quartirolo, formaggio fresco della Lombardia, attualmente terra dilaniata dal virus. Il Quartirolo mi riporta a quando ero bambino a come veniva chiamato dal tondo faccione del “formaggiaio” di riferimento e rifornimento della mia famiglia: lo Strachin de Milan.
E’ difficile reperire oggi a Roma formaggi freschi, soprattutto se lombardi, e forse per questo ne ho una gran voglia.
Ci sono nei mercati le fave fresche, ora piccole e dolci, dove stazioneranno per circa un mese e poi spariranno fino alla prossima primavera, e che ben si abbinano con dei morbidi pecorini freschi, grondanti di siero oppure con formaggi stracchinati.
Datemi il mio Quartirolo stagionato tra i 5 ed i 30 giorni, fatto con il “latte stanco” delle vacche di alpeggio al tramonto, oppure quello di transumanza, quando abbandonati i pascoli montani le mucche ritornano a valle, meste, tra pioggia e fumo del fiato, mentre calpestano il fango che schizza, insozzandole, nel loro lento incedere.
Il prodotto “stanco” ottobrino è meno ricco in grassi ed aromaticità rispetto a quello estivo di malga, ma è più leggero e delicato.
La notte dei tempi fa da balia a questa DOP, come molti altri formaggi nostrani, che si trova vagamente descritta in manoscritti degli anni mille a cura degli opifici benedettini, al tempo unici conservatori della cultura prebarbarica, oltre ad essere veri paladini nel difendere tradizioni contadine, colture botaniche e prodotti alimentari di secolare origine.
Questa delizia tutta lombarda sembra sia nata in primis nel bergamasco e nel lecchese del tempo per poi trasferirsi nel comune libero di Milano, dove era già presente e spopolava un altro formaggio fresco di montagna: il Taleggio.
Oggi la zona DOP del Quartirolo si estende tra le province di Brescia, Bergamo, Como, Lecco, Cremona, Milano, Lodi, Monza, Pavia e Varese, per cui si intuisce il perché in questo momento di restrizione questo formaggio sia difficilmente esportabile dalla Lombardia, e quindi introvabile.
E’ un prodotto caseario a latte crudo, intero o parzialmente scremato, di due mungiture.
Viene utilizzato caglio di vitello e latte innestato.
La salatura può essere fatta a mano od in salamoia.
Ha la forma di un parallelepipedo quadrangolare del peso variabile tra 1,5 e 3,5 kg, con crosta sottile rosea nel molto fresco e grigioverde-rossastra nello stagionato.
La struttura della pasta è molle e cremosa oppure compatta, ma friabile, morbida, umida e leggermente grumosa nei più stagionati.
Allo stesso modo varia il colore della pasta che in rapporto alla maturità che cangia dal bianco, all’avorio, sino al giallo paglierino.
Al naso prevalgono gli odori lattici dal latte allo yogurt al burro, con aromacità erbacee, fresche, o di fieno, che possono essere presenti nei più stagionati, e percepite maggiormente in bocca.
Al sapore presenta una elevata dolcezza, una media acidità e salinità, mentre è assente la nota amara.
Dal punto di vista nutrizionale, per 100 g di prodotto abbiamo 300 kcal, maggiore rispetto ai 250 della mozzarella e ai 260 della crescenza. E’ un formaggio proteico 18,5% come la mozzarella e più della crescenza 16%, meno grasso 24,5% della mozzarella 44%, ma maggiore rispetto alla crescenza 20,5%.
Altre differenze oltre alle nutrizionali tra Quartirolo e Crescenza, che cresce fuoriuscendo dalla forma dello stampo, stanno che la seconda è un PAT, viene prodotta con latte di unica mungitura, non ha crosta ed è poco stagionata, massimo 10 giorni.
Ora rimetto a posto carta e calamaio, ripenso, e sogno a quel cremoso “Strachin de Milan” racchiuso da due fette di pane bianco toscano, mischiato da mia madre con il ripieno di una profumata salciccia fresca, che da bimbo mangiavo a scuola durante la ricreazione, quasi di nascosto, isolato in un angolo della classe, per gustarmelo in piena solitudine e per non dividerlo, mai, con nessuno.