Formaggi con larve di Piophila casei

Moltissime sono le proibizioni antiche e presenti che riguardano ogni campo della vita umana, dai costumi ai libri e agli spettacoli e non ultima anche l’alimentazione, sia nelle culture religiose che laiche, ed è ampiamente noto che le culture occidentali pongono proibizioni per cibi accettati dalle culture asiatiche. Proibizioni vi sono anche nell’ambito di cibi non solo accettati, ma particolarmente apprezzati e ambiti come i formaggi e parte di culture tradizionali, come è il caso dei formaggi che durante la loro maturazione subiscono l’azione del dittero Piophila casei, un insetto polifago e detritivoro capace di cibarsi e riprodursi a spese di differenti fonti di materiale organico. Le larve di questa mosca possono colonizzare diversi tipi di alimenti come carne, prosciutti, pesce e formaggi.

I più noti di questi formaggi sono quelli della Sardegna, come il casu fràzigu o casu martzu (formaggio marcio), formaggio pecorino o caprino colonizzato dalle larve della mosca del formaggio o mosca casearia e che nelle diverse aree dell’isola è conosciuto come casu marzu, casu mùchidu, casu modde, casu bèiu, casu fatitu, casu giampagadu, casu ‘atu, casu cundítu. In altre regioni d’Italia sono presenti varietà casearie analoghe al formaggio sardo e tra queste il marcetto o cace fraceche (Abruzzo, L’Aquila), il cas cu i vierm (entroterra potentino, Basilicata), il gorgonzola coi grilli (entroterra genovese, Liguria), il salterello (Friuli, Udine), il formaio coi bai (Veneto), il furmai nis (Piacenza, Emilia-Romagna), il formaggio coi bachi (Appennino di Parma), il fermagge pengiute (formaggio punto, Bari), il casu du quagghiu (Calabria), il caciè punt (formaggio punto, Molise), il bross ch’a marcia (formaggio che cammina, Piemonte) e il casu puntu (Salento). Nella Corsica meridionale (Francia) vi è una varietà di formaggio analoga al casu marzu, chiamata casgiu merzu.

Piophila casei la mosca nel formaggio

La Piophila casei è un dittero che in fase adulta è molto simile alla mosca domestica ma che presenta dimensioni più piccole ed un corpo più smilzo. Ogni femmina durante la sua vita media di circa cinque giorni produce fino a cinquecento uova che deposita sulla superficie di diversi alimenti, e tra questi anche sui formaggi. Dopo circa due giorni dalle uova escono piccole larve biancastre che, se il formaggio ha una crosta morbida, si introducono all’interno della forma formando delle gallerie. Nelle condizioni migliori in circa dieci giorni si completa il ciclo vitale dell’insetto e la larva passa allo stadio di pupa e poi di adulto pronto per la riproduzione.

Le larve e le pupe dell’insetto si proteggono dai predatori nascondendosi nelle gallerie scavate nel formaggio nel quale attivano fenomeni di idrolisi proteica e lipidica per un’azione combinata degli enzimi prodotti dall’insetto e delle fermentazioni causate dalla sua microflora rilasciata nel formaggio anche con le deiezioni. Nelle gallerie scavate nel formaggio e dopo l’uscita dell’insetto adulto, oltre alle deiezioni restano anche gli esoscheletri e le spoglie dei diversi stadi di accrescimento della larva. Dopo la schiusa le larve con i loro enzimi trasformano la pasta casearia in una morbida crema.

Per favorire la riproduzione della Piophila casei si usa ridurre i tempi della salamoia, fare dei piccoli buchi colmati poi di olio con il duplice obiettivo di ammorbidire la crosta e di attirare l’insetto, e limitare il rivoltamento delle forme che sono poste in locali aperti per essere attaccate (punte) dall’insetto che depone le uova. Sempre per favorire lo sviluppo delle larve, talvolta la pasta all’interno del formaggio è sminuzzata e le forme impilate, favorendo il passaggio delle larve da una forma all’altra. Fattore essenziale è la temperatura ambientale che deve essere compatibile con il ciclo vitale dell’insetto: per questo il formaggio ha una produzione stagionale, in un periodo che si protrae dalla tarda primavera all’autunno inoltrato, in funzione dell’andamento climatico.

Formaggi dai caratteri speciali

Quando il formaggio è maturo, dopo tre o sei mesi, le larve sono notevolmente diminuite di numero e la forma è aperta. L’interno si presenta quindi composto da una crema omogenea di colore giallastro, dal sapore molto particolare e pungente. La cremosità della pasta dipende dalle condizioni ambientali e dall’entità dell’infestazione ed è verificata ai fini produttivi. Una volta identificata la presenza delle larve e raggiunta la cremosità ideale, il formaggio è consumato raccogliendo la crema con un cucchiaio. L’attività fermentativa delle larve porta alla produzione di una crema del formaggio con odori intensi e penetranti, un colore che va dal bianco al giallo paglierino fino ai toni del marroncino tenue. Il sapore e l’aroma sono caratteristici, decisi e piccanti, con un’intensità legata anche all’utilizzo di caglio di agnello. Vi sono anche sentori e profumi delle essenze aromatiche tipiche dei pascoli. Con una maturazione prolungata il sapore ed il profumo tendono a farsi via via più decisi. Le larve ingerite con il formaggio possono, a causa dei loro uncini boccali particolarmente resistenti, provocare disturbi intestinali che vanno da dolori addominali, nausea e vomito a una diarrea ematica. Le larve, a volte sono ritrovate ancora vive nelle feci.

Formaggi tipici con larve di mosca

La produzione di formaggi fermentati da larve di mosca è molto ridotta ma ancora presente in piccole realtà lattiero-casearie a conduzione famigliare. Il consumo di questi formaggi è limitato alle tradizioni locali. Le norme sanitarie vigenti non consentono la produzione di formaggi contenenti o prodotti con insetti ed è proibita la loro commercializzazione, ad oggi la loro produzione e vendita in Italia è illegale, nonostante il 1° gennaio 2018 la Comunità Europea abbia approvato la normativa sui novel food, che dovrebbe regolare la commercializzazione degli insetti all’interno degli stati membri dell’Unione. Su questo argomento Elisa Tavilli e Alfonso Piscopo hanno pubblicato su Ruminantia (Casu marzu PAT, storia di un’infestazione agroalimentare tradizionale) un approfondito studio nel quale, alla luce delle attuali normative counitarie, sono approfondite le possibilità di regolamentare questi formaggi come novel food e di considerare gli insetti come coadiuvanti tecnologici.

Per salvaguardare il pecorino coi vermi (Casu frazigu) la regione Sardegna lo ha inserito nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) italiani, in quanto si tratta di una produzione codificata da oltre venticinque anni così da poter richiedere una deroga rispetto alle consuete norme igienico-sanitarie.

Nel 2005 alcuni allevatori sardi, in collaborazione con il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università di Sassari, per poter produrre questo formaggio legalmente e con le adeguate garanzie igieniche hanno incaricato l’istituto di Entomologia Agraria di Sassari di realizzare un allevamento di Piophila casei in ambiente controllato, al fine di ottenere il pieno controllo dell’intero processo produttivo, nel rispetto delle norme comunitarie che ne vieterebbero produzione e vendita.

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.