Polifemo rinomato casaro
Quando è nato il formaggio? Vi era il formaggio nella preistoria? Dalle ricerche su questo periodo abbiamo solo pochi reperti che riguardano pratiche casearie, come vasi e soprattutto colini nei quali sono stati trovati residui di latte, ma per fortuna quando con la scrittura entriamo nella storia abbiamo una dettagliata descrizione di un antico caseificio nell’Odissea, il poema cantato da Omero che secondo la tradizione era cieco, ma che in questa occasione ci ha veduto benissimo. È il caseificio dove opera il casaro Polifemo, un nome che è tutto un programma, perchè Polifemo significa che parla molto ma soprattutto che è molto parlato, e cioè molto noto, e che è quindi un rinomato produttore di formaggi.
La pastorizia è largamente citata nell’Odissea, soprattutto nel Libro IX a proposito di Polifemo, un Ciclope di un popolo che non coltiva la terra (vv. 109-110) e non pratica il mare (vv. 125-129) ma che esercita la pastorizia con pecore e capre (v. 184) e ne trasforma il latte in formaggi secondo le tecniche in uso nel mediterraneo nel periodo omerico, tra il 600 e l’800 a. C. .
Animali e alimentazione
Polifemo alleva pecore e capre (v. 184; 220; 226 ed altri) destinate soprattutto alla produzione del latte e, con ogni probabilità, anche di lana di color scuro (viola) (v. 426). Non vi sono indicazioni sulla tosatura della lana, che peraltro era largamente praticata per la filatura e la tessitura, e neppure sull’uso alimentare delle carni degli animali allevati. Abbiamo quindi a che fare con ovini e caprini con una prevalente attitudine alla produzione di latte o soltanto con una fase di allevamento al pascolo in cui si sfrutta il latte mentre la carne e la lana erano utilizzate in un’altra fase? Se fosse vera la prima ipotesi avremmo un tipo di allevamento altamente specializzato e quindi moderno. Ma anche la seconda ipotesi necessita di un’organizzazione abbastanza moderna dell’allevamento.
Sulla razza di pecore e capre allevate da Polifemo è specificato (vv. 425-426) che sono montoni ben grassi, dal vello fortissimo, belli e grandi, e con lana color di viola, ma non sappiamo altro. Chiedersi di che razza siano le pecore e le capre di Polifemo non è superfluo perché, come riferisce Di Corato (1981), dai documenti relativi alla III dinastia di Ur, cioè la Mesopotamia del XXI secolo a. C., sappiamo che l’allevamento ovino ha già le sue razze: la pecora di razza pregiata alum, la pecora di montagna che si ritiene simile al muflone, la pecora uligi a vello nero, la pecora pascolata ad erba, e la pecora a coda grassa nelle due varietà a vello bianco e nero, raffigurata anche nello stendardo di Ur. Una variante della pecora a coda grassa è la pecora a coda grassa degli altipiani che, assieme alla pecora alum, è oggetto di importanti commerci nell’area mediorientale. La particolare attenzione al deposito di grasso fa ritenere che siano privilegiate le razze da carne, secondo l’odierno linguaggio, ma soprattutto a duplice attitudine (carne e lana). Non è esclusa l’esistenza anche di pecore a duplice attitudine (latte e lana) accanto alle capre da latte.
L’unico tipo di alimentazione del gregge di Polifemo è il pascolo. Gli animali vi sono condotti di mattino per rientrare di sera (vv. 217-447 e segg.). L’abbeverata è nei fiumi (v. 450). Non vi è alcun accenno alla raccolta di foraggio e neppure di transumanza, che tuttavia non è esclusa dall’uso della grotta, che potrebbe rappresentare solo un ricovero stagionale con la presenza dei giovani agnelli e capretti in scala di età, che per certi aspetti potrebbe far ipotizzare anche un tipo di allevamento semistanziale.
Strutture zootecniche
Dettagliate sono le strutture fisse dell’allevamento ovi-caprino.
La stalla, in parte ricavata da una grotta, ha l’entrata ombreggiata da lauri (vv. 182-184) e una parte è suddivisa in box tramite steccati. Questi box sono destinati ai giovani animali: agnelli e capretti di diversa età fino a quelli ancora a latte. Nel restante spazio della stalla, dove abbonda il letame (v. 329), di notte sono ricoverate le pecore e le capre da mungere (v. 238) e talvolta (vv. 330 e 339) anche i maschi (v. 444).
Davanti alla stalla vi è un recinto (o chiuso) fatto con un alto muro di blocchi di pietra e lunghi tronchi di pino, probabilmente ombreggiato da querce (vv. 184-186). Qui sono ricoverate di notte le greggi, ed in particolare i maschi (ed anche le femmine non in lattazione?). Non vi sono indicazioni sulle caratteristiche delle porte del recinto, mentre una pietra serve a chiudere la porta dell’antro che funge da stalla.
Mungitura
È praticata la doppia mungitura, mattina e sera, in stalla, non differenziata tra pecore e capre. La mungitura è eseguita in presenza del redo (vv. 244-245; 303-304; 342-343) e successivamente – è quanto mai probabile – il redo si alimenta di una parte del latte che è lasciato in mammella. Non risulta che nella stalla sia introdotto foraggio (ma solo legna – v. 234), per questo i giovani sono nutriti a latte e ne risulta una ridotta disponibilità. Infatti, il latte della sera, più abbondante perché pecore e capre hanno pascolato, serve per i redi e per la nutrizione del pastore Polifemo, con un’eccedenza che serve alla produzione di formaggio. Al mattino il latte è sufficiente soltanto per i redi ed il pastore.
Produzione casearia
Le attrezzature casearie sono costituite da secchi e vasi per la mungitura (v. 228), boccali per contenere il siero residuato dalla coagulazione del latte (v. 223), canestrelli intrecciati per raccogliere la cagliata (v. 247) e graticciati per la maturazione del formaggio (v. 219).
Il formaggio è preparato con il latte intero, misto ovi-caprino e della sola mungitura della sera. Non è indicato il sistema per ottenere la cagliata (caglio animale o, più probabilmente, vegetale). Non pare che almeno nella prima fase di preparazione del formaggio sia utilizzato il calore (vv. 250-251) che invece, anche attraverso la affumicatura, partecipa certamente alla sua maturazione. Non vi sono elementi in merito alla dimensione delle forme, durata della maturazione ecc. Si tratta molto probabilmente di un formaggio affumicato: uso di graticciati per la maturazione (v. 219) e raccolta di legna da ardere nella grotta (v. 234). Si tratta, inoltre, di formaggio stagionato.
Ai tempi omerici ben noto è il formaggio stagionato e da grattugia, con diverse testimonianze rese da Omero, in relazione al formaggio soprattutto di capra, più che a quello di pecora. Una riguarda Macaone ferito alla spalla destra. Nestore infatti gli consiglia: “Siedi, bevi e gratta del formaggio di capra nel vino e mangia molta cipolla, perché ti stimoli a bere”. In altra parte è detto: “La bionda Ecamede versa a Nestore e a Macaone una bevanda ristoratrice fatta con farine, vino e formaggio”.
Antichi caseifici
Se la descrizione della produzione del formaggio contenuta nell’Odissea è la prima documentazione scritta che possediamo, non è però la prima segnalazione relativa alla produzione del formaggio nell’antichità. Le origini della produzione del formaggio, soprattutto ovi-caprino, sono state esaminate e discusse da Di Corato (1981), Ballarini (1985) e Dancer (1984).
La più antica testimonianza di fabbricazione del formaggio risale ai Sumeri, che già nel 3000 circa avanti Cristo conoscono la tecnica di coagulazione del latte e sanno sfruttare le proprietà delle cagliate per la preparazione di formaggi. I formaggi sono però quasi certamente preceduti dai latti acidi, la cui comparsa si può approssimativamente porre a circa 10.000 anni a. C. (Ballarini, 1985).
Per una corretta valutazione del significato tecnologico della produzione del latte acido e formaggio, non bisogna dimenticare che una cosa è avere una capra od una pecora domestica, e un’altra cosa è avere un animale da latte. Come ha fatto notare Fales, questo comporta che il processo di domesticazione sia molto sviluppato e abbia consentito la attivazione manuale del riflesso della eiezione del latte nella femmina, anche senza la presenza del redo, che invece è ancora presente nell’allevamento di Polifemo. In tutti i casi, il prelievo artificiale del latte si prolunga per un periodo di tempo superiore a quello fisiologico, e spesso anche ad uno svezzamento precoce dei redi. Tutto questo provoca complicati problemi di pascoli, regolazione del periodo dei parti, momenti di macellazione, ecc.
Il caseificio di Polifemo è elementare ed è opportuno confrontarlo con quanto Columella riporta a proposito della produzione del latte ovi-caprino nel I° secolo d.C., quindi dopo circa mille anni. Columella nel Libro VII del De re rustica fornisce un quadro sintetico, ma completo della tecnologia casearia riguardante la ovinicoltura. Il latte “è generalmente rappreso con caglio di agnello o di capretto, anche se è possibile farlo cagliare col fiore di cardo campestre o con fiore del cartamo, e anche con lattice di fico. (…) Il secchio della mungitura, quando sia stato riempito di latte, deve essere conservato ad un modico calore: non si deve tuttavia accostarlo al fuoco, come vorrebbero alcuni, ma deve essere posto non lontano dal fuoco, e appena il liquido si sarà rappreso dovrà essere trasferito in cestelli, panieri o forme: è infatti essenziale che il siero possa scolare immediatamente ed essere separato dalla materia solida. È per questo che i contadini non aspettano nemmeno che il liquido stilli poco a poco per forza naturale, ma appena il cacio è un poco solidificato, vi pongono sopra dei pesi, per i quali il siero venga espulso: poi, quando è tolto dalle forme o dai panieri dovrà essere collocato in un ambiente fresco e oscuro, perché non possa guastarsi, su tavole il più pulite possibile, e cosparso di sale tritato, affinché trasudi il proprio umore acido; e come è indurito ancor di più viene pressato con forza, affinché acquisti consistenza; poi di nuovo è sfregato con sale torrefatto, e ancora compresso si lava con acqua dolce, e si dispone all’ombra su graticci fatti appositamente, in modo che nessuna forma tocchi l’altra e possa asciugarsi gradatamente. (…) È così che potrà riuscire privo di fistole, non troppo salato né troppo asciutto: tre vizi dei quali il primo si verifica quando non sia compresso abbastanza, il secondo quando sia impregnato di troppo sale, il terzo quando sia riarso dal sale”.
Un confronto anche sommario del caseificio di Polifemo con quello di Columella mostra una notevole sovrapponibilità di elementi, ma anche una sensibile evoluzione tecnologica. Ovviamente bisogna anche ammettere che da un testo poetico non si può pretendere la precisione e la completezza richiesta da un testo scientifico quale è appunto il De re rustica di Columella.
Chi mangia il formaggio di Polifemo?
Nella Odissea non è specificato se il tipo di allevamento descritto è di tipo stanziale o solo stagionale (periodo dei parti). Questo non è molto importante per i fini che si propone l’esposizione poetica e neppure ai fini di un giudizio sul tipo di zootecnia.
La produzione di formaggio ha tutti i caratteri di essere una attività marginale indirizzata ad utilizzare la eccedenza del latte della mungitura della sera, e forse solo per il breve periodo dei parti. Comunque mancano parecchie informazioni: come sono svezzati i giovani agnelli e capretti, e soprattutto quelli più anziani tenuti in stalla?
Non vi è alcuna indicazione che sia portato in stalla del foraggio. Come è utilizzato il siero di latte residuato dalla produzione di formaggio (v. 222) e ancora presente il giorno successivo alla mungitura? Questo siero, indubbiamente acido, serve come innesto per la produzione di formaggio o per l’alimentazione del pastore e/o degli agnelli e capretti?
Il fatto che per noi esistano questi interrogativi non vuol dire che sussistessero anche per gli ascoltatori del poema omerico, in quanto le mancanze rilevate potevano benissimo essere integrate dalla loro comune conoscenza pastorale. La precisa indicazione di molti particolari permette tuttavia di concludere che le conoscenze di zootecnica ovicaprina dell’Autore dell’Odissea sono abbastanza precise e dimostrano tecnologie già sviluppate e stabilizzate.
A noi però piacerebbe sapere: da chi erano mangiati gli agnelli e capretti allevati dal pastore Polifemo? Pare infatti che il pastore Polifemo si cibasse soltanto di latte (oltre che dei compagni di Ulisse). Nel modello di riferimento reale che certamente sottostà alla leggenda e poesia, è molto probabile che gli agnelli, capretti, servissero ad una produzione di agnelloni (anche castrati?) e di pecore da macello da vendere ad altri: agricoltori, cittadini.
Che fine faceva il formaggio? Serviva al pastore come alimento nei periodi in cui le pecore e capre non producevano latte, oppure erano oggetto di commercio? Probabilmente vi erano entrambe le utilizzazioni, note ovviamente agli ascoltatori dei poemi omerici, ma noi non ne abbiamo conferma e tanto meno abbiamo specificazioni sulle quantità prodotte e utilizzate per i due scopi citati.
BIBLIOGRAFIA
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Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, é stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastrononie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastrononie.