Nel lungo periodo che intercorre tra la caduta dell’Impero Romano e la fine delle invasioni barbariche quasi nulla sappiamo dei formaggi, per i quali dobbiamo arrivare all’impero carolingio della seconda metà del secolo VIII quando per fortuna qualche monastero benedettino ha conservato conoscenze antiche e dove i monaci ci hanno lasciate preziose memorie. Tra questi vi è Eginardo, cronista franco, nato da una nobile famiglia nel 770 circa e morto nell’840, che, educato nel monastero di Fulda in Assia, va ad Aquisgrana dove diviene allievo di Alcuino alla scuola di corte di Carlo Magno. Eginardo, promotore delle arti, deve la sua fama di storico alla “Vita Karoli Magni“ che egli scrive intorno all’830 ispirandosi al “De vita Caesarum” di Svetonio. Nella sua opera Eginardo descrive la personalità, la vita e le opere dell’imperatore Carlo sulla base della sua conoscenza personale, trasportato dall’ammirazione e dalla venerazione, e fornisce alcuni interessanti elementi che riguardano i formaggi.
In uno dei suoi viaggi l’Imperatore Carlo Magno, senza preavviso e in un giorno di magro, arriva in una non ricca abbazia dove si deve accontentare di un pasto di solo pane e di un formaggio con macchie verdi di cui ignora la natura e che con il suo coltello elimina accuratamente. Il priore dell’abbazia fa rispettosamente rilevare all’Imperatore che eliminando la parte verde perde la parte migliore del formaggio e quando l’Imperatore l’assaggia è così convinto che prega l’abate di mandare ogni anno due casse di quel formaggio alla sua reggia di Aix-la-Chapelle. Purtroppo Eginardo non indica con precisione quale sia l’abbazia. Oggi si pensa possa essere stata quella di Vabres, piccolo villaggio nei pressi di Roquefort dove esisteva un’importante abbazia guidata da un abate mitrato e che aveva la tradizione di ospitare importanti personaggi di passaggio. Ancora oggi il roquefort è un formaggio erborinato prodotto con latte di pecora, originario di Roquefort-sur-Soulzon (Francia meridionale) con la principale caratteristica di avere venature blu-verdi (simili a quelle dell’italiano gorgonzola) provocate dallo sviluppo di una muffa, il Penicillium roqueforti (Penicillium glaucum), con una crosta umida e una pasta untuosa, compatta ed erborinata.
Eginardo riporta ancora che Carlo Magno, un giorno dell’anno 774, rientrando dall’Italia dove aveva combattuto contro i Lombardi, si ferma a Reuil-en-Brie, luogo ora situato nel dipartimento di Senna e Marna della regione dell’Île-de-France e dove vi è una famosa abbazia. All’arrivo dell’Imperatore il padre priore ordina di portare in tavola una delle forme di formaggio custodite nelle cantine e che l’abbazia riceve come decima dai produttori locali. Carlo Magno e il suo seguito gustano copiosamente del meraviglioso formaggio e l’Imperatore afferma di aver creduto di conoscere tutto ciò che si mangia, ma con la scoperta del meraviglioso formaggio di Brie ordina che due volte l’anno una certa quantità gli sia inviata al suo palazzo di Aix-la-Chapelle. Il brie ancora oggi è un formaggio vaccino a pasta molle e crosta fiorita che prende il nome da Brie in cui è prodotto. La crosta si forma in seguito al trattamento con funghi del genere Penicillium, e soprattutto Penicillium camembertii. Le prime notizie certe sulla sua origine provengono dall’omonima valle e risalgono all’XI secolo e la varietà brie de Meauxv ha origine nell’abbazia di Notre-Dame de Jouarre.
Nell’Alto Medioevo nelle abbazie si trovano formaggi di produzione propria e che arrivano come decime. Nell’VIII secolo Georges Duby (Duby G. – Rural Economy and Country Life in the Medieval West – 1961) riporta che il re Ines, del Regno Anglo-Sassone del Wessex, ogni anno esige dagli abitanti dei suoi villaggi trecento pani rotondi, dieci montoni, dieci oche, venti polli, dieci formaggi, dieci misure di miele, cinque salmoni e cento anguille. Un secolo dopo, nella Abbazia di Maroilles tra le decime compare un formaggio all’epoca denominato craquegnons. Attualmente, il Maroilles o Marolles è un formaggio di latte vaccino a pasta molle e a crosta lavata, prodotto in Avesnois nei dipartimenti dell’Aisne e del Nord. La denominazione nasce nella regione naturale della Thiérache, intorno alla città di Maroilles, dove il metodo di elaborazione di questo formaggio è stato messo a punto verso il VII secolo dai monaci dell’abbazia omonima. Di forma squadrata, la sua crosta lavata è di colore rosso/arancio, ha un tenore minimo di 45% di materia grassa, la sua pasta è cremosa, grassa, e di color panna ed ha un sapore intenso e piccante.
In questo periodo medievale i monasteri sono il rifugio dei signori e delle popolazioni in caso di invasioni e guerre. La Chiesa diviene potente e i vescovi, soprattutto gli abati, divengono veri signori feudali che, approfittando dei loro domini, trasformano le abbazie in centri di coltura dai quali si propaga una nuova agricoltura che trova riferimento nella costruzione di grance annesse alle abbazie e dove si creano e si sviluppano nuovi sistemi nella produzione agricola, allevamento del bestiame, produzione del latte e dei formaggi. Lo sviluppo di un’agricoltura cerealicola ha bisogno di bestiame bovino da lavoro dal quale si ricava anche latte in abbondanza. Nelle abbazie giungono altresì le notizie riferite dai Crociati che ritornano dall’Oriente portando con sé ricette, e forse anche fermenti caseari per formaggi che sarebbero poi stati prodotti nei monasteri e nei conventi.
Le regole monastiche, e soprattutto quelle di San Benedetto, che limitano, se non escludono, l’uso alimentare della carne, autorizzano invece l’uso del formaggio, in alternativa al non sempre disponibile pesce, e trasformano le abbazie benedettine e cistercensi in luoghi di fabbricazione di formaggi e di diffusione nelle popolazioni circostanti delle nuove tecnologie casearie del latte bovino, tecniche parzialmente diverse da quelle usate per il latte caprino e ovino. Non di rado, inoltre, i nuovi formaggi di latte bovino sono notevolmente più grandi dei precedenti formaggi ovi-caprini, dimensioni rese possibili, se non imposte, dalle grandi quantità di latte prodotte dalle mandrie bovine disponibili nelle grance. Le forme così ottenute meglio si prestano a lunghe conservazioni e inducono anche le popolazioni di contadini a produrle, associandosi nella loro produzione in caseifici e abbandonando la produzione familiare di formaggi.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.