Allevamenti di montagna

Nell’Unione Europea circa il 14% della superficie agricola (27 milioni di ettari) e il 18% delle aziende agricole (2,4 milioni) si trovano in zone montane. Queste aree ospitano rispettivamente il 12,5, il 20,4 e il 46,6% di bovini, ovini e caprini dell’UE. I bovini di montagna forniscono il 10,4% del totale del latte bovino e il 13,3% della produzione di carne. Questa quota è più elevata per i piccoli ruminanti che producono il 32% del latte totale di capra e pecora e il 23,4% della carne ovina. Il territorio italiano, rispetto all’UE, ha una maggiore presenza di montagna (35%) con il 23% di pianure e il 42% di colline. In Italia, in questi ultimi decenni, il territorio montano ha visto un progressivo abbandono da parte della popolazione umana e quella che rimane è sempre più anziana. Questo fenomeno si associa a una diminuzione degli allevamenti di animali con le loro produzioni di latte, formaggi e carni di particolari e pregiate caratteristiche. Queste ultime, se fossero ben comunicate, potrebbero rappresentare un importante elemento di contrasto alla diminuzione degli allevamenti e allo spopolamento di un territorio che ha invece bisogno di una presenza umana al fine di prevenire un sempre più preoccupante dissesto idro-geologico. I prodotti montani sono anche coinvolti nel mantenimento del paesaggio e della rete sociale rurale in quanto garanti dell’attrattiva di questi territori e nello sviluppo di altre attività economiche come il turismo. L’agricoltura e la zootecnia di montagna devono affrontare diversi limiti strutturali permanenti che si traducono in una minore produttività del lavoro e in costi di produzione più elevati. La scarsa accessibilità delle fattorie di montagna colpisce anche l’industria alimentare a causa dell’aumento dei costi di raccolta e trasporto. Per preservare l’allevamento dei ruminanti in montagna attraverso misure di politica agricola nazionale e comunitaria sono state avviate politiche indirizzate a compensare i limiti dell’agrozootecnia di montagna. Attualmente, in molte aree montane questi sussidi forniscono gran parte del reddito del contadino e sono essenziali per la sostenibilità economica delle fattorie anche attraverso vari servizi. La permanenza di allevamenti di ruminanti in montagna deve tenere conto dei prezzi più elevati delle loro produzioni, uno svantaggio che può essere compensato da una migliore qualità delle loro produzioni di latte, prodotti caseari e carne, come dimostrano le storie di successo di alcune aree montane dove imprenditori locali hanno proposto prodotti alimentari molto specifici e differenziati che aggiungono valore all’intera catena alimentare. L’esistenza nelle zone montane di condizioni ambientali e climatiche, di tradizioni e di saperi specifici per la produzione agricola e la trasformazione dei prodotti alimentari è un’opportunità importante, se non indispensabile, per la salvaguardia di un’economia montana sostenibile. La valorizzazione delle sinergie tra prodotti agricoli, storia e cultura locale, turismo, artigianato e gastronomia costituisce un paniere di merci in grado di sviluppare un valore aggiunto a lungo termine per prodotti emessi da uno specifico terroir. I successi di aree montane italiane come la Valle d’Aosta e del Trentino, o come quelle francesi di Beaufort, Comté e Laguiole, si basano sulla differenziazione di un prodotto del territorio esattamente identificato e protetto da indicazioni geografiche.

Terroir e formaggi di montagna

Il terroir è un’area dove le condizioni naturali, fisiche e chimiche, la zona geografica ed il clima permettono la realizzazione di un alimento specifico e identificabile mediante le caratteristiche della propria territorialità. Il termine terroir non può essere tradotto in altre lingue, o con l’italiano “territorio”, perché è un concetto molto più complesso che definisce l’interazione tra più fattori. Anche se tradizionalmente è stato utilizzato dai francesi per il mondo vitivinicolo, è oggi utilizzato anche per altri prodotti agricoli come formaggi, salumi, ortaggi, pane ecc. e, in particolare nell’olivicoltura di qualità. Il terroir è una combinazione consolidatasi nel tempo di fattori come la posizione geografica, la denominazione, il terreno e il suolo, il clima, il vegetale coltivato o l’animale allevato, le modalità di cultura o allevamento, i metodi di trasformazione dell’alimento e le modalità di commercializzazione e di consumo. Quindi non solo fattori fisici o chimici, ma anche antropici e storici.

Questo concetto si applica inoltre alle pratiche agro-zootecniche di produzione del latte e della carne, in relazione anche al contributo dei pascoli e delle pratiche agricole di montagna associate al legame con il terroir. Nel caso dei formaggi, il terroir è un’area geografica caratterizzata da condizioni ambientali e tipi di animali che, se sfruttati dall’uomo, portano a prodotti specifici. Nel caso dei prodotti del bestiame, è un insieme inseparabile di ambiente fisico (compresi geologia, geografia, suolo e clima), razza dominante degli animali e le sue caratteristiche genetiche, alimenti per gli animali prodotti sul terroir con la loro composizione botanica, le pratiche degli agricoltori, il modo in cui sono inclusi nell’alimentazione animale e di come l’uomo influenza l’ambiente fisico e gli animali attraverso pratiche culturali e di allevamento il cui ruolo è essenziale nel processo di produzione del latte. Le caratteristiche dei prodotti animali sono il risultato di un lungo processo che va dall’ambiente fisico al prodotto e che nel caso dei formaggi comprende due fermentatori complessi: il rumine e il formaggio con i loro microbiota.

Foraggi di montagna e formaggio

Sulla base della conoscenza tradizionale degli agricoltori, l’effetto della composizione botanica dei foraggi su latte e sui formaggi è stato il primo ad essere studiato per la caratterizzazione del terroir. Inizialmente, sono state studiate le differenze sulle proprietà sensoriali del formaggio derivate da vegetazione diversa o alimentate con foraggi conservati con differente composizione botanica. Successivi studi si sono concentrati sul trasferimento diretto di composti vegetali ritenuti responsabili della variazione degli odori e degli aromi nel formaggio in base ai foraggi nell’alimentazione degli animali. I metaboliti secondari vegetali, come i composti terpenici, variano ampiamente nei pascoli. In particolare, le erbe sono povere di terpenici, che sono invece abbondanti e ampiamente variabili nei forbs o farro e nelle piante erbacee non graminacee. Il loro trasferimento al latte è dimostrato dalle relazioni che vi sono tra terpenici alimentari e caratteri sensoriali del latte che assume aroma o sapore di frutta (o fruttato), letame, arancia e erba verde. Composti non terpenici come gli indoli, e in particolare lo scatolo, i lattoni, le aldeidi, i chetoni, gli alcoli o diversi esteri, determinano profili sensoriali nel latte e formaggio più marcati rispetto ai terpenici. I polifenoli, altri metaboliti vegetali che possono essere trasferiti al latte, hanno una composizione che varia in base alla composizione botanica dei pascoli, ma il loro effetto sulle proprietà sensoriali dei prodotti caseari non è ancora dimostrato. I metaboliti secondari dei vegetali possono avere un effetto indiretto sulla composizione del latte e del formaggio anche interagendo con il microbioma ruminale, inibendo parzialmente la bioidrogenazione degli acidi grassi alimentari nel rumine. Differenze di composizione degli acidi grassi nel latte in base alla composizione botanica del pascolo sono dimostrate dalle ricerche di diversi autori e sembravano riguardare C18: 3n-3, gli acidi grassi polinsaturi (PUFA) totali e loro prodotti intermedi di idrogenazione ruminale. Un’alta concentrazione di PUFA nel latte determina un punto di fusione del grasso più basso, con conseguente consistenza meno solida, più morbida e più fluida del formaggio. L’ossidazione dei PUFA può generare composti attivi odorosi durante la maturazione, con un effetto significativo sull’odore e sugli aromi del formaggio. Anche l’aspetto esteriore del formaggio può essere influenzato dalla composizione del latte perché un grasso ricco di PUFA può fuoriuscire durante la pressatura e quindi interagire con lo sviluppo di muffe e lieviti sulla superficie delle forme.

Altri fattori legati alle caratteristiche del pascolo possono avere importanti effetti sulla composizione del latte e sulle caratteristiche del formaggio. Tra questi, ha un particolare rilievo la fase fenologica dell’erbaio o del foraggio. La fase fenologica è lo stadio specifico del ciclo vitale del vegetale, identificato dal suo status morfologico, fisiologico e funzionale, indotto dalla mutazione stagionale delle condizioni ambientali, in particolare quelle climatiche. Tra questi fattori fenologici dell’erbaggio, un grande impatto sul latte e sul formaggio è dato dai carotenoidi, pigmenti vegetali derivati dalla clorofilla e trasferiti dal foraggio al latte vaccino, in particolare dal β-carotene. Il contenuto di β-carotene dell’erba diminuisce con la maturazione delle piante, con conseguente minore concentrazione nel latte delle bovine che al pascolo si nutrono di erbe mature, anziché di erbe nella fase vegetativa. I carotenoidi sono responsabili del colore giallo del latte delle vacche alimentate con erba fresca. Il colore giallo del formaggio mostra una diminuzione di circa il 20% quando le bovine pascolano in ritardo rispetto alla fenologia delle erbe. Il trasferimento del β-carotene dai foraggi al latte è una peculiarità delle vacche ed è trascurabile nei piccoli ruminanti. Lo stadio fenologico dei vegetali è importante anche per la composizione degli acidi grassi del latte, con differenze tra i pascoli con diversa composizione botanica.

La selezione delle diverse specie erbacee che le bovine compiono durante il pascolo sugli erbai influisce sulla composizione botanica del pascolo stesso, che cambia anche durante la stagione in base allo sviluppo della fenologia dell’erba, e può avere un importante effetto sulla composizione degli acidi grassi del latte e sul colore e profilo sensoriale del formaggio.

Microbiota del latte e formaggio

Nei formaggi prodotti con latte crudo, il microbiota di quest’ultimo è un importante legame con il terroir perché deriva dal microbiota della mammella, ma anche da quello del rumine attraverso l’ambiente di mungitura. Il microbiota del latte ha un ruolo importante sulle proprietà sensoriali del formaggio, e in particolare sul suo sapore. Alcune osservazioni in merito spiegano come l’alimentazione animale influisca sulle proprietà sensoriali del formaggio che sono ridotte o eliminate quando il latte è pastorizzato. La conoscenza del microbiota del latte crudo sta aumentando rapidamente grazie all’applicazione di metodi di analisi biotecnologici che dimostrano l’esistenza di differenze tra i microbiomi dei latti di montagna rispetto a quelli di pianura, in relazione anche fattori umani (pratiche di mungitura, pratiche di allevamento), fisiologia animale, salute degli animali, alimentazione degli animali e fattori ambientali (ventilazione dei locali, feci, attrezzature di mungitura). Definire il contributo di ciascun fattore non è un facile, come non lo è separare e distinguere il ruolo dell’alimentazione da quello dell’ambiente o dalle operazioni di pulizia della mammella ecc. Tuttavia, diverse ricerche sottolineano che l’alimentazione animale (prati, insilati e fieno) è una fonte indiretta di microrganismi per il latte. Vari studi sottolineano il ruolo del microbiota del latte quale legame con il terroir, mettendo in evidenza l’importanza dei trasferimenti microbici anche dai recipienti di raccolta del latte nelle aziende agricole al latte e quindi la necessità di evitare pratiche di mungitura o di caseificazione (come la pastorizzazione, ad esempio) in grado di interrompere questo legame.

Conclusioni

L’esistenza in zone montane di tradizioni e saperi specifici per la produzione agricola e la trasformazione dei prodotti alimentari costituisce un’opportunità per sviluppare prodotti di terroir di montagna differenziati in grado di aggiungere valore alle produzioni agroalimentari e permettere una persistenza degli agricoltori e soprattutto un loro sviluppo. Il terroir si riferisce fondamentalmente a un sistema di interazioni tra fattori biofisici e umani che sono stati costruiti durante la storia e che sono specifici di un’area geografica limitata. La tipicità dei prodotti animali provenienti da un terroir deriva da tradizioni e saperi specifici per la produzione e la trasformazione delle produzioni animali, come il latte e i formaggi. Oltre agli aspetti storici e culturali del legame con il terroir, le ricerche in corso iniziano a sottolineare il contributo primario che i pascoli di montagna hanno nella tipicità degli alimenti d’origine animale, quali il latte e i formaggi. La specifica composizione botanica e la biodiversità dei pascoli montani sono regolate da condizioni geo-climatiche e da pratiche agronomiche (fertilizzazione, densità di alimentazione, gestione del pascolo) che hanno un’influenza diretta sulla composizione di questi alimenti. I flussi diretti e indiretti di molecole che dai pascoli e dai foraggi di montagna arrivano al latte e ai formaggi sono ora ben documentati. Nella maggior parte dei casi riguardano metaboliti secondari delle diverse piante dicotiledoni presenti nei pascoli montani. Queste molecole in alcuni casi, attraverso tecniche analitiche appropriate, consentono di documentare l’origine del latte o del formaggio da animali allevati in montagna, divenendo quindi dei marcatori d’origine. Le stesse molecole e i microbioma presenti nel latte e nei formaggi prodotti con latte crudo influiscono sulle caratteristiche organolettiche di questi prodotti e contribuiscono al legame con il terroir. Il modo in cui i pascoli di montagna sono gestiti e le caratteristiche degli animali utilizzati (razza, stato fisiologico) influenzano anche la selezione del pascolo e la fenologia degli erbai. Le interconnessioni di questi aspetti possono essere considerate come un adattamento di un sistema agricolo, considerato nei suoi componenti agro-ambientali, umani e animali, a un contesto geografico che rende unico un terroir e i prodotti animali che vi sono prodotti. La comprensione di questo sistema di interazioni deve essere presente anche per le misure da adottare affinché i prodotti animali riflettano l’unicità e la tipicità del terroir da cui provengono.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.