Leggende metropolitane

Non bisogna mangiare i formaggini perché sono fatti con i manici d’ombrello e bottoni grattugiati e contengono una colla che appiccica gli intestini: sono queste le leggende metropolitane del passato che dimostrano come quelle che ora sono dette fake news o notizie false non sono solo un fenomeno moderno. Già nelle piazze dei paesi, e soprattutto durante il mercato, si raccontavano storie più o meno fantasiose e con la nascita dei giornali e degli altri mezzi d’informazione in questi sono state inserite notizie e articoli compilati con informazioni inventate, ingannevoli o distorte, con il deliberato intento di disinformare per motivi bellici e politici, creare scandalo o soltanto suscitare curiosità. Le notizie false sono scritte e pubblicate per catturare l’attenzione del lettore con finalità finanziarie, politiche o commerciali, spesso con titoli sensazionalistici, esagerati o palesemente falsi. Oggi a propagare le fake news sono i grandi media, ovvero le televisioni e le testate giornalistiche con un’impronta particolarmente scandalistica, ma con l’avvento di Internet e soprattutto con la condivisione dei social media la diffusione di notizie false è notevolmente aumentata. Questo tipo di informazioni si propagano perché, come ha osservato lo storico Marc Bloch, trovano un pubblico già preparato e che interviene nella loro diffusione come un virus: per questo si parla di fake news, bufale e leggende metropolitane “virali”. Infiniti sono i campi e gli argomenti nei quali appaiono e si diffondono false notizie, e tra questi vi è anche quello dell’alimentazione e della nutrizione, soprattutto oggi quando viene a mancare il sostegno rassicurante della tradizione.

Formaggini da manici d’ombrello, bottoni o da colla

Un classico esempio di leggenda metropolitana, anzi di più leggende metropolitane, riguarda l’idea che il formaggio di bassa qualità, e in particolare i formaggini, siano fatti dall’industria con manici di ombrello e con bottoni grattugiati o che incollino le budella. Quando e come nasce questa antica chiacchiera? Per rispondere bisogna rifarsi all’inizio degli anni sessanta del secolo scorso, in pieno Boom Economico e quando l’industria alimentare diffonde nuovi alimenti, molti dei quali peraltro conosciuti da molto tempo ma soltanto da pochi, come è il caso dei formaggi fusi e tra questi dei formaggini, inventati fin dal 1911. È anche il tempo nel quale s’inizia a individuare e a meglio conoscere la presenza di sofisticazioni alimentari e le persone cominciano a diventare sospettose sulla genuinità dei cibi sfornati dalle industrie.

Nel 1962, e precisamente il 19 settembre, il Corriere d’Informazione, edizione pomeridiana del Corriere della Sera, dà notizia che nella produzione dei formaggi fusi si usa la caseina, una sostanza usata in alimentazione animale ma anche per fabbricare bottoni, pettini e manici di ombrelli imitando il corno e per fare delle colle: da qui il collegamento tra formaggi fusi e formaggini e manici d’ombrello o budella incollate. Non si dà però una precisa e completa informazione sulla caseina, un componente del latte dei formaggi e dei caci dai quali prende il suo nome, che già alla fine dell’Ottocento è usata per produrre la Galalite, una delle prime materie plastiche, e che durante il periodo autarchico precedente l’ultima Grande Guerra serve per produrre il Lanital, una fibra proteica simile alla lana. La caseina ha infatti molti altri usi non alimentari ed entra anche nella composizione delle colle, come peraltro la farina di grano (colla di farina). Sul pubblico, che spesso legge o ricorda soltanto i titoli più che i contenuti degli articoli, il formaggio contraffatto ha un grande impatto e le cronache giornalistiche ingigantiscono la notizia fino a raggiungere caratteri grotteschi. A poco, se non nulla, vale la discussione che il 3 ottobre 1962 si svolge alla Camera dei Deputati e nella quale il Ministero dell’Agricoltura e Foreste, l’onorevole Ferdinando Truzzi, contesta quelle che oggi si chiamano fake news. In particolare, l’on. Truzzi deplora il modo in cui le notizie sono diffuse e stigmatizza che “Non è possibile far apparire in televisione una forma di formaggio vicino ad un manico d’ombrello, e dire che si fa il formaggio con i manici di ombrello.” Il 3 ottobre 1962 l’on. Truzzi ribadisce il concetto dicendo che si narra anche che nel formaggio vi sono le unghie d’asino e che è uno spettacolo spassoso vedere gente cavare unghie ai poveri asini per cavarne formaggio, per poi invocare pene severe per chi diffonde calunnie e false dicerie su stampa e televisione. Nonostante l’intervento di giornalisti competenti che spiegano bene il rapporto tra caseina e le plastiche usate per la produzione di bottoni, pettini e altro, rimane la leggenda che i manici di ombrello possano essere trasformati in formaggi, sia pure di bassa qualità come i formaggini, che proprio allora stanno godendo di un enorme successo commerciale.

Manici d’ombrello nel formaggio parmigiano

La leggenda del formaggio fatto con i manici d’ombrello colpisce l’immaginazione, si fa strada ed esce dai confini nazionali.

Nel mondo anglosassone nel 1969 la leggenda non riguarda più i formaggi fusi e i formaggini ma è trasferita al più noto formaggio Parmigiano. Si narra infatti di un immaginario italiano che è scoperto a fare e a vendere un formaggio Parmigiano grattugiato fatto con manici di ombrelli sminuzzati. La leggenda sembra diventare una realtà e si perpetua in alcuni libri, tra cui The Science of Cheese di Michael Tunick (2014), Professional Cooking di Wayne Gisslen (2010), Terrors of the Table: The Curious History of Nutrition di Walter Gratzer (2006) e The Food System di Geoff Tansey e Anthony Worsley (2014).

Inutile dire che è praticamente impossibile contrastare efficacemente la diffusione di questa come di altre leggende metropolitane e che a poco servono le pur necessarie smentite, se non a consolarsi che, ironia della sorte, oggi si torna a guardare alla caseina del latte per fabbricare bioplastiche biodegradabili e non inquinanti e che una fibra di latte, che si richiama all’autarchico Lanital, è utilizzata nella produzione di un filato particolarmente morbido, traspirante, assorbente e adatto ai bambini e ai capi di biancheria intima, usato sia per la produzione di capi finiti che nell’aguglieria.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.