Fieni, erbe aromatiche e formaggi di una volta
Nel passato le attività casearie erano strettamente collegate e integrate con le attività agricole e di allevamento degli animali. Non di rado infatti la maturazione e la conservazione dei formaggi avveniva nei fienili dove si conservavano i fieni che avevano una composizione e subivano procedimenti ben diversi dagli attuali. Oggi i fieni sono in prevalenza costituiti da un’unica o da pochissime specie vegetali mentre nel passato, soprattutto in montagna, contenevano le erbe spontanee dei prati stabili e tra queste l’achillea, la pulsatilla, il genepì, le ranuncolacee, il raperonzolo, la prugnola, l’alchimilla e la genziana. Inoltre, quando il fieno era raccolto non completamente essiccato subiva fermentazioni con temperature che raggiungevano i quaranta e anche i settanta gradi centigradi che contribuivano a rilasciare i principi attivi contenuti nelle erbe. Durante le fermentazioni nei fieni si sviluppa una microflora molto diversificata, diversa da luogo a luogo e anche da stagione a stagione, costituita principalmente da funghi, tra cui Aspergillus glaucus, Aspergillus fumigatus, Absidia spp., Mucor pusillus, Humicola lanuginosa e Actinomycetes, e da batteri che aumentano l’acidità e l’azoto volatile. Messi a maturare e conservati nel fieno, i formaggi si mantengono a lungo, acquistando una maggiore morbidezza alla pasta perché il fieno consente di trattenere più umidità, unitamente a gusti e aromi che derivano dalle erbe aromatiche presenti nei fieni.
Da questi brevi cenni si comprende l’origine di formaggi che hanno la caratteristica di essere prodotti con una maturazione e stagionatura nel fieno, e in particolare come questi siano prodotti prevalentemente in aree di montagna. Allo stesso modo, nella produzione dei formaggi sono state usate piante aromatiche contenenti sostanze di odore gradevole, ovvero aromi ricchi di oli essenziali la cui funzione biologica si ipotizza possa essere di difesa dagli insetti per i quali risultano repellenti, di stimolazione del metabolismo o con altre funzioni. Alcuni di questi formaggi italiani sono tutt’ora esistenti, sia pure con variazioni e adattamenti delle primitive e ancestrali metodiche di conservazione nel fieno, o sono prodotti con piante aromatiche come il mirto o la felce, meritando una breve descrizione.
Formaggio del fieno
Prodotto in Piemonte, e in particolare nel torinese e nel cuneese, da latte vaccino intero e crudo, il Formaggio del fieno deve le sue specifiche caratteristiche a una stagionatura nella quale le forme sono completamente avvolte nel fieno proveniente dagli alpeggi delle zone di produzione, sfalciato ed essiccato direttamente sui pascoli. Durante la maturazione e stagionatura del formaggio, che dopo la salatura dura due mesi, il fieno trasmette al prodotto un’evidente nota erbacea. Il Formaggio del fieno ha una pasta semidura, è di media stagionatura ed ha una forma cilindrica irregolare per effetto della formatura che avviene in tela; con facce abbastanza piane di un diametro compreso tra i 25 e i 35 centimetri, uno scalzo convesso di circa 10 centimetri ed un peso compreso tra i 6 e gli 8 chilogrammi. La forma ha una crosta sottile, morbida ed elastica, di colore paglierino o marrone chiaro tendente al nocciola, mentre la pasta semidura e morbida è di color avorio o paglierino chiaro, con un profumo dolce di latte che si fonde con le note erbacee delle erbe di montagna.
Saras (Seirass) del fen
Dalle origini antiche che alcuni fanno risalire alla seconda metà del 1400, il seirass o saras (dal latino serum, siero del latte) è una ricotta di breve stagionatura avvolta in fieno di montagna del genere Festuca. Prodotta in Piemonte e di derivazione valdese, questa ricotta è tipica della Val Pellice e si ottiene riscaldando il siero di latte vaccino, ovino e caprino, in purezza o misto, ottenuto dalla mungitura di animali allevati ad una quota superiore ai 600 metri di altitudine. Per coagulare il siero bollito, tradizionalmente si usa un siero acidificato denominato bouno, una miscela che deriva dalla macerazione in siero di oltre venticinque erbe e radici, tra cui ginepro, gemme di larice, timo serpillo, radice di ortica, acetosella e macis. La ricotta, pressata e salata, è posta a stagionare per un periodo variabile da 25 a 30 giorni, ma che può arrivare ai 3 mesi, avvolta nel fieno di Festuca flavescens. Il Saras, detto anche Seirass, Seras, Serè, già noto nel tardo medioevo come Seracium, ha una forma tonda, una pasta compatta e finemente granulosa di colore bianco-avorio e profuma di freschi pascoli montani.
Paglierina
L’origine del formaggio Paglierina è antica e il suo nome richiama la tradizionale conservazione sul fieno o sulla paglia i cui steli lasciavano caratteristiche striature a graticcio sulla crosta del formaggio. L’attuale nome è stato creato nel 1891 da Cesare Quaglia di un caseificio di San Francesco al Campo, situato a nord dal centro della città di Torino e sul confine tra il Canavese e le valli di Lanzo, in prossimità dell’altopiano della Vauda, termine di origine celtica che significa foresta. L’area di produzione odiernamente comprende le province di Torino e di Cuneo dove si distinguono due aree: Paglierina di Rifreddo della bassa Valle Po e Paglierina di Barge e di Saluzzo. La Paglierina è inclusa tra i prodotti agroalimentari tradizionali (P.A.T.) piemontesi. Il latte ora usato è di bovino mentre in passato era anche utilizzato quello di pecora o di capra, pratica oggi limitata alle aree montuose o collinari piemontesi. La produzione attuale usa latte pastorizzato mentre un tempo il latte era utilizzato crudo. La cagliata è oggi inoculata con Geotrichum candidum per favorire la fioritura della crosta. Dopo una salatura a secco o in salamoia segue una breve stagionatura che però non usa più la paglia o il fieno.
Mozzarella nella mortella
La Muzzarella co’ a mortedda o int’a’murtedda è un tipico formaggio della zona centrale del Cilento, un territorio compreso nel Parco Nazionale del Cilento, e deve il nome all’usanza di essere conservato nel mirto, una pianta aromatica tipica della macchia mediterranea, chiamata anche mortella, dalle foglie lisce e non porose, molto adatta per confezionare il formaggio fresco. Il mirto contiene mirtenolo, geraniolo e altri principi attivi minori che ne fanno un’importante pianta aromatica tradizionalmente usata per aromatizzare alcune carni e nell’arte casearia per produrre, ad esempio, la Mozzarella nella mortella. Per la precisione non si tratta di una mozzarella ma di un caciocavallo freschissimo prodotto con latte vaccino crudo di una o due mungiture, la cui cagliata è tagliata a listarelle filate nell’acqua bollente e poi formate in una piccola sfera che in seguito si allunga e si assottiglia per ottenere una forma di lingua. La mortella serve da copertura del formaggio e allo stesso tempo trasferisce alla pasta aromi e profumi particolari. La mozzarella nella mortella è un prodotto particolare tra le molte paste filate meridionali. Diversamente dalla mozzarella tradizionale, quella nella mortella, oltre ad avere una forma allungata e più o meno piatta, ha una consistenza elastica e più asciutta rispetto alla mozzarella consuetudinaria, e un sapore intenso con un notevole aroma di mirto.
Felciata
La Felciata o filicèta è un formaggio originario del comprensorio di Morano Calabro (Cs), di origini remote legate alle locali tradizioni pastorali, consumato dai contadini e dalle famiglie nobili del luogo e definito anche Pane degli Angeli. Questo latticino prende il suo nome dalle felci che intervengono nella sua produzione. Il latte di capra, e una piccola parte di latte di pecora, è filtrato con le felci, riscaldato nelle caldaie di rame e coagulato con caglio di capretto o di agnello. La cagliata è poi coperta con rametti di felce e dopo circa mezz’ora è trasferita in secchielli di legno di gelso o di noce, avendo cura di alternare strati omogenei di cagliata e felci. Le felci traferiscono un particolare aroma al formaggio grasso, fresco e a pasta molle, spesso adagiato o avvolto in foglie di felce.
Casu in filixi
Casu in filixi è un formaggio di latte caprino o ovicaprino prodotto in Sardegna nel territorio di Seulo, Olzai, Esterzili e Villagrande, il cui nome significa “formaggio in felce” (filixu). Il latte caprino, che può essere mescolato con quello ovino, è filtrato con le felci e successivamente lavorato. La cagliata è poi posta in contenitori nei quali sono stese foglie di felce su un telo di lino o cotone. Alternando strati di questa pianta e strati di cagliata si ripiega il telo posto alla base della forma, chiudendolo alle estremità e appendendolo per far uscire il siero. Dopo qualche ora, sfogliato dalle felci, il formaggio si presenta senza crosta, con superficie esterna marcata dalle foglie di felce, con una pasta morbida, umida, di colore bianco senza occhiatura e rivela un sapore muschiato con forti note erbacee.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.