Linguaggio dei colori
I colori fanno parte degli elementi attraverso i quali i sensi ci trasmettono la realtà, non soltanto relativamente a caratteri connessi all’ambito visivo e sensoriale ma anche segnali di sicurezza o paura che svolgono un ruolo culturale, morale ed estetico. Se le percezioni cromatiche avvengono all’interno dell’occhio, il colore è un segnale che si svolge ed è elaborato a livello mentale ed immaginativo e diviene un codice che si configura come un linguaggio simbolico particolare, fatto anche di suggestioni che non provengono dalla sola osservazione razionale e che per alcuni diviene immaginale e corrisponde a una vera e propria facoltà dell’anima. I colori arrivano così a costituire un codice vivente della natura con il quale si può stabilire un rapporto di comunicazione e un’esperienza interpretativa nella quale il colore parla e in ogni cultura assume significati che dobbiamo sforzarci di comprendere.
Colore degli alimenti
Il linguaggio dei colori da sempre riguarda gli alimenti: già in epoche antiche le culture umane dividono gli alimenti per colore, separando quelli poco appetibili da quelli desiderabili in base a contrasti bianco-nero e al colore rosso-bianco e rosso-verde. Il pane bianco serve a sfamare i ricchi e quello nero i poveri. Le carni rosse sono simbolo di forza, potere, carattere guerriero, maschile e le bianche sono associate a debolezza, indigenza e femminilità. I ricchi sono mangiatori di carne rossa e i poveri mangiatori di verdure. Queste distinzioni sostanzialmente si basano su fattori cromatici naturali degli alimenti e si arricchiscono d’interpretazioni simboliche, sociali e culturali, oltre che antropologiche ed economico-commerciali, come è il caso del colore giallo che richiama l’oro e pertanto all’incorruttibilità.
Con lo sviluppo delle ricerche scientifiche alle colorazioni naturali degli alimenti si sono aggiunte le colorazioni artificiali, ma soprattutto si sono scoperti i rapporti che esistono tra il colore e il sapore, un’area di ricerca oggi molto interessante con centinaia di lavori scientifici che dimostrano come il colore modifichi il gusto in molti cibi (cioccolata, burro, bistecca, formaggio, marmellata e bevande). Per esempio, aumentando la colorazione rossa di una bevanda cresce la percezione di dolcezza. Nell’apprezzamento dei colori degli alimenti vi sono però anche discrepanze che dipendono dai contesti culturali, da precedenti esperienze e dalla età, senza dimenticare i diversi effetti fisiologici dei colori caldi e freddi. Il rosso e il giallo sono detti colori caldi che aumentano la pressione arteriosa e il ritmo cardiaco, mentre il verde e il blu sono detti colori freddi rilassanti: già questo permette d’intuire la diversa risposta all’alimentazione di cibi colorati. Senza entrare in altri dettagli, anche per i formaggi importanti sono le diverse colorazioni che meritano un breve cenno.
Colore dei formaggi
Considerando i colori dei formaggi è opportuno iniziare dai “non colori” del bianco e del nero, così considerati dopo che Isac Newton (1642 – 1726) con le sue ricerche di scomposizione della luce attraverso un prisma di vetro mette in discussione l’idea che la luce bianca sia elementare e dimostra che è la composizione di tutti gli altri colori messi insieme e che il colore non è una qualità dei corpi bensì della luce stessa. Per questo il bianco è oggi considerato un non colore, come il nero è l’assenza di ogni colore.
Bianco
Il colore bianco dei formaggi vaccini riguarda la loro pasta e superficie. Questa tonalità è data dal calcio ma soprattutto dal grasso e dal diverso indice di rifrazione dei grassi dispersi in emulsione rispetto a quello dell’acqua. Per questo se il latte è intero è anche di un bianco acceso mentre se è scremato tende ad essere incolore. In modo analogo, più intenso è il bianco dei formaggi grassi rispetto a quelli magri. I formaggi di capra e di bufala sono bianchi, mentre quelli di pecora hanno un colore fra il grigio e il verdino per la presenza nel latte di luteina. Altre tonalità del bianco dei formaggi dipendono dalla presenza nel latte dei flavonoidi, e fra questi gli antociani, responsabili del colore nei vegetali di cui si nutrono gli animali e dalla capacità di questi di assorbirli e passarli al latte. Molti formaggi di vacca sono bianchi perché il livello dei carotenoidi è basso quando l’alimentazione degli animali è basata su grandi quantità di mangimi e poca erba. Nel latte di capra non è presente il beta-carotene di colore giallo ma altri carotenoidi come la luteina, la zeaxantina e la criptoxantina. I formaggi di capra francesi sono per la quasi totalità bianchi perché provengono da un allevamento intensivo. In generale, quindi, per i formaggi non esiste una sola tonalità di bianco bensì diverse, e da queste si può risalire all’alimentazione degli animali ed alla qualità del prodotto. Anche i metodi di lavorazione possono rendere il bianco di un formaggio più intenso e brillante o più sbiadito.
Per questi motivi un formaggio può avere un colore bianco marmo sia perché gli animali non sono stati alimentati con erba ma con fieno di bassa qualità sia perché è a coagulazione lattica e l’acidità ha sbiancato il colore originario. Alcuni formaggi hanno una superficie bianca che gli viene conferita da muffe che riflettono la luce e che sono fondamentali per dare al formaggio profumo e sapore favorendone la maturazione. Muffe bianche del genere Penicillium ricoprono la crosta di formaggi Camembert, Brie, Caprice des dieux e talune robiole italiane, conferendo alla crosta una consistenza soffice e una colorazione biancastra che ricorda un prato fiorito o uno strato di brina e sono decisive nel rendere il formaggio maturo dando alla pasta una consistenza burrosa e aromatica.
Nero
Il colore nero riguarda la crosta dei formaggi ed è la conseguenza di un trattamento molto antico applicato ai formaggi a media e soprattutto lunga stagionatura e conservazione per contrastare l’azione di agenti parassitari quale le mosche e soprattutto gli acari (Tyrolichus casei e Acaus sirus). La superficie dei formaggi neri deriva dal trattamento con olio o grassi addizionati di cenere e soprattutto di nerofumo o ossido di ferro ottenuti dai camini delle case o dalle officine dei fabbri ferrai e dei maniscalchi. Un altro possibile trattamento delle forme è la cappatura, ottenuta con argilla (terra d’ombra ocra), olio di vinaccioli e carbone di legna (nerofumo). Oggi, e richiamandosi all’antica tradizione, alcune partite di pregio dei più importanti formaggi DOP, tra i quali Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Asiago, Provolone Val Padana, Pecorino Romano ecc., sono messe in commercio con la crosta nera ottenuta con cere e coloranti ammessi dalla legge (ossido di ferro – E 172). Anche i migliori pecorini toscani e sardi stagionati sono commercializzati con la crosta nera e sono diversamente chiamati dalle Aziende produttrici: Pecora Nera, Crosta Nera, Testa Nera, Riserva nera, Re Nero, ecc. La crosta di queste forme è trattata secondo l’usanza contadina con cenere, nero fumo, pepe nero macinato e olio d’oliva, oppure con moderni sistemi di una pellicola protettiva trattata con coloranti all’ossido di ferro (E 172).
Rosso
Rossa e con molte sfumature verso l’arancione può essere la pasta del formaggio. Rossa è anche la crosta di alcuni formaggi italiani tra cui il pecorino rosso, in siciliano picurinu russu, di latte di pecora a pasta filata, stagionato con il sugo di pomodoro spalmato sulle forme quando il formaggio ha circa due mesi e la sua pasta è ancora tenera e fresca. Questo particolare latticino è stato inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T). Altri formaggi sono chiamati con lo stesso nome in Toscana e in Sardegna e sono pecorini ai quali durante la produzione si aggiunge zafferano o peperoncino. Sempre rossa è la crosta lavata o crosta rossa di formaggi come lo Chaumese o il Rollot, la cui superficie è lavata con acqua salata o anche birra, brandy o altre soluzioni, e spazzolata per eliminare le muffe, lasciando crescere un particolare tipo di batteri che conferiscono alla crosta una colorazione rosso-marrone che incide sul sapore e sull’aroma del formaggio. Il formaggio DOP italiano a crosta lavata più famoso è il Taleggio. Anche alcuni tipi di muffa possono causare nei formaggi colorazioni rosse. Per altri formaggi margarinati, più che di crosta rossa, fiorita o brinata prodotta da una fermentazione microbica, bisogna parlare di rivestimento costituito da materiali diversi, come cere o paraffine che per legge devono essere colorate di rosso. I formaggi margarinati sono prodotti con latte centrifugato magro al quale sono addizionati grassi estranei quali margarina, grasso di cocco, oleomargarina, ecc. Per evitare pericolose confusioni con formaggi completamente naturali, il Regio decreto-legge 15 ottobre 1925, n. 2033 – Repressione delle frodi nella preparazione e nel commercio di uso agrario e di prodotti agrari (Convertito in legge con legge 18 marzo 1926, n. 582), all’Art. 83 statuisce che i formaggi margarinati debbano essere colorati esternamente e su tutta la loro superficie con la materia colorante detta Rosso Vittoria.
Arancione
Diversi tipi di formaggi hanno una pasta di color arancione che deriva dall’aggiunta di vari tipi di carotene di diversa provenienza, e in particolare di quello estratto dalla Bixa orellana e denominato annatto, uno dei coloranti conosciuti da maggior tempo e usato da più di un secolo per colorare margarina e formaggi. L’impiego come colorante alimentare è consentito nell’U.E. (E 160b) e negli USA e s’impiega per ottenere tonalità dal giallo al giallo-rosso. Formaggi con pasta colorata con caroteni derivati dalla carota, e soprattutto con l’annatto, sono gli inglesi Cheddar, il similare Leicester e il Gloucester, il Mimolette prodotto nel nord-est della Francia nella regione di Lille e lo spagnolo Queso de afuega’l pitu roxo, tipico delle Asturie.
Giallo
Il latte, la panna, il burro e la pasta dei formaggi possono assumere una colorazione gialla se contengono pigmenti che originano dall’alimentazione degli animali. I principali pigmenti che colorano di giallo i formaggi sono i carotenoidi, circa seicento composti tra i quali i più importanti sono le xantofille, il carotene e il licopene. Il 90% dei caroteni è costituito da β-carotene, precursore della vitamina A o retinolo. I carotenoidi che colorano in giallo i formaggi e presenti nei vegetali dei quali si nutrono gli animali sono molto diversi a seconda delle specie vegetali, del loro grado di maturazione, della modalità di raccolta e della conservazione. Esiste inoltre una grande differenza tra le varie specie (bovine, bufale, capre e pecore) nel trasferimento dei carotenoidi alimentari al latte, e quindi ai formaggi. Tra le razze bovine, la Guernsey è quella che produce il latte con una maggiore concentrazione di β-carotene, se confrontata alla razza Jersey e Brown Swiss, mentre la razza Frisona e suoi derivati (Pezzata Nera) producono un latte con concentrazioni di β-carotene tendenzialmente inferiori, ed ancora più basse sono le concentrazioni di carotenoidi nel latte dei bovini di razza Ayrshire. Altri fattori, come lo stadio di lattazione, il numero di parti, lo stato di salute e il livello di produzione di latte, influenzano la concentrazione di carotenoidi nel latte e quindi il colore dei formaggi. Se la vacca assimila facilmente il β-carotene e le xantofille, assicura al latte, e soprattutto ai formaggi, tonalità gialle più o meno intense, che talvolta virano all’arancione. Nelle pecore invece è la luteina che conferisce ai formaggi colorazioni giallo chiare e in alcuni casi verdastre, mentre capra e bufala producono formaggi dal colore bianco perché nel loro latte non vi è alcun trasferimento di carotenoidi. Il colore dei formaggi cambia molto anche in relazione alla stagione. Negli animali al pascolo e che si nutrono di foraggi freschi primaverili o della prima estate che contengono maggiori quantità di carotenoidi, i formaggi hanno un colore più vicino al giallo mentre i formaggi prodotti nel periodo autunnale o invernale, o tutto l’anno da animali alimentati con fieni essiccati o con insilati, sono bianchi. Per questo taluni formaggi erano, e continuano ad essere, valutati secondo il loro colore e il periodo stagionale di produzione (formaggio marzolino, maggengo, vernengo ecc.) o secondo il periodo di lattazione, come sembra essere per lo stracchino, formaggio prodotto da vacche stracche e cioè a fine lattazione o a fine transumanza. Da qui l’uso di aggiungere un colorante durante la caseificazione, in particolare lo zafferano e l’annatto, per dare al formaggio un colore giallo più o meno carico. Colorare di giallo cibi e vivande per i cuochi medievali è un modo di elevarli a livello dell’oro, un metallo nobile e incorruttibile, e portare in tavola la felicità e il calore del sole, ma soprattutto dare l’impressione di allontanare la corruzione, e quindi allungare la vita, richiamando immagini di luce e di eternità, e già in tempi antichi molte sono le ricette che prevedono l’impiego di zafferano per fare gialla la vivanda. Nei formaggi e in Italia lo zafferano entra nella produzione del Bagoss, del Piacentinu Ennese D.O.P. e di altri formaggi siciliani e nel passato, ora non più, nei formaggi grana padani dal Parmigiano al Grana Piacentino. In Francia il formaggio Boule de Lille è colorato con l’annatto (E 160b) che è usato anche per il Red Leicester e per lo Stilton d’oltre Manica, e altri formaggi del mondo. Da ultimo, è da ricordare che nei formaggi un colorito giallo cupo è segno di irrancidimento dei grassi (ossidazione).
Verde
Formaggi verdi erano quelli che oggi sono detti erborinati, termine che deriva da erborin, il prezzemolo nei dialetti lombardi, ma verdi sono anche altri formaggi ai quali sono aggiunte foglie di questo colore, come la salvia, o sono colorati con la clorofilla, per esempio il Derby marmorizzato inglese. I formaggi erborizzati hanno una caratteristica formazione di venature interne di colore verdastro dovute a un processo biochimico-batteriologico e tecnologico-alimentare che prevede la formazione naturale o l’inoculo di spore di muffe del Penicillium roquefortii nel latte durante la caseificazione o direttamente nella pasta del formaggio. In Italia, formaggi erborinati sono il Gorgonzola e il Castelmagno, in Francia il Roquefort e da questi formaggi ne sono nati molti altri che hanno conquistato il mercato e i consumatori.
Blu e azzurro
Le diverse tonalità del verde sconfinano con le differenti tonalità del blu e dell’azzurro: per questo alcuni formaggi con striature bluastre verde-blu rientrano nella categoria dei formaggi erborinati con il nome di bleu, o blu, usato soprattutto per le tome caprine come i Bleu di Montegalda. Formaggi bleu prodotti con muffe bluastre (Penicillium glaucum) sono il Bleu d’Aoste in Italia, l’inglese Blue Stilton e in Spagna il Cabrales. Diverso è il caso di formaggi che assumono una colorazione bluastra diffusa come avvenuto nel 2010 fa con le mozzarelle che dopo qualche giorno dall’apertura prendono una colorazione azzurrognola. Le mozzarelle blu, verdastre o di altri colori, e talvolta fluorescenti, sono dovute ai pigmenti prodotti da batteri del genere Pseudomonas che crescono nei formaggi freschi poco acidi, con scarso ossigeno (quindi confezionati), con il favore di sbalzi termici. Gli Pseudomonas producono diversi pigmenti: piocianina, di colore verde blu, piorubina rossastra – marrone e fluorescente, pioverdina giallo – verde o giallo – brina e fluorescente all’ultravioletto. Gli Pseudomonas si sviluppano di preferenza nei biofilm aderenti a superfici umide, come nelle moderne confezioni commerciali di formaggi. Il colore blu o verdastro sulle mozzarelle si forma più facilmente quando questo formaggio, dopo apertura della confezione, è consumato solo in parte e nella rimanenza, lasciata in frigorifero, i batteri si sviluppano con facilità. Un altro fattore importante è la temperatura di conservazione: a + 8°C il colore si può formare dopo una settimana, a temperatura ambiente + 20°C il colore si forma dopo 48 ore. I batteri del genere Pseudomonas sono tra i meno pericolosi ma comunque le mozzarelle blu, verdi o di altro colore non sono adatte al consumo perché hanno un’anomala carica batterica.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti ed originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia ed in particolare all’antropologia alimentare e danche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e 50 libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.