Nell’articolo di Mirko Galliani sull’acidificazione della mozzarella abbiamo visto che il processo di acidificazione può essere eseguito utilizzando acidi organici, colture starter ad inoculo diretto o innesti (siero innesto o latto fermento). L’obiettivo è raggiungere bassi livelli di pH, che garantiscano la precipitazione delle proteine: se da un lato l’aggiunta di acidi organici consente ciò, dall’altro avremo il metabolismo fermentativo dei microrganismi a carico del lattosio che produrranno principalmente acido lattico (ed altri acidi organici correlati) con conseguente abbassamento di pH. Lo stesso vale ad esempio nella produzione dello yogurt, dove fondamentale è la produzione di acido lattico da parte dei fermenti lattici per avere la formazione del coagulo. Pertanto, in un processo lattiero-caseario che ruota principalmente intorno alla fermentazione lattica, la crescita dei batteri lattici e le attività metaboliche da essi condotte devono poter procedere senza ostacoli per garantire un prodotto finale di alta qualità. La salute dei fermenti è inoltre importante ai fini della sicurezza, consentendo anche un eventuale controllo sui batteri patogeni contaminanti.
I fattori che influenzano la crescita dei fermenti lattici impiegati nel settore lattiero-caseario sono molteplici; tra questi, si riconoscono come importanti la qualità del latte crudo di partenza, l’eventuale presenza di residui di antimicrobici, le interazioni tra microrganismi e la presenza di fagi. Questi ultimi, sui quali ci concentreremo in questo articolo, sono virus specifici dei batteri e non costituiscono un rischio per la salute del consumatore, ma hanno un peso a livello tecnologico proprio per la capacità di bloccare o rallentare il processo fermentativo condotto dai batteri lattici. I fagi sono difficili da eliminare poiché vengono disseminati rapidamente nell’ambiente di lavorazione, possono persistere su diverse tipologie di superfici e si diffondono negli ambienti di produzione come particelle dell’aria. E’ quindi possibile controllare il rischio di infezione fagica a carico dei batteri lattici in un caseificio, ma non eradicarlo.
I fagi sono presenti negli ecosistemi in cui si trovano i batteri, tra cui nicchie ecologiche artificiali come le caldaie per la coagulazione del latte, fatto che determina una loro certa ubiquità nei caseifici. L’industria lattiero-casearia affronta questo fenomeno biologico ormai da molti anni facendo affidamento a vari approcci pratici per il controllo: un layout degli ambienti di lavorazione adatto, un controllo igienico-sanitario meticoloso, un management dell’aria negli ambienti di lavorazione efficace, scelte produttive diverse a livello di processo, colture starter ed applicazione della pratica di rotazione nell’utilizzo delle colture fermentative. Nonostante tutti gli sforzi, il rischio di infezione da fagi nelle colture fermentative lattiero-casearie rimane ancora una sfida per i ricercatori ed i tecnologi dell’industria alimentare.
Per un buon controllo delle infezioni fagiche in uno stabilimento di trasformazione del latte, è bene conoscere le fonti di contaminazione al fine di mettere in atto un corretto sistema preventivo dell’ingresso dei fagi nell’impianto di produzione. Il latte crudo è il primo e probabilmente più importante veicolo di contaminazione da fagi, che possono così entrare facilmente nell’area di lavorazione ed accumularsi rapidamente durante il processo fermentativo. Data anche la loro resistenza ai trattamenti termici, sia il latte termizzato che quello pastorizzato possono contenere fagi. Per evitare dunque che eventuali fagi contaminanti entrino all’interno del processo produttivo, è importante individuare le partite di latte in ingresso contaminate attraverso opportune analisi, che considereremo più avanti nel testo. Oltre alla contaminazione diretta del latte crudo, ci sono altre vie che consentono ai fagi di raggiungere il latte, come le salamoie, l’aria nell’ambiente di lavorazione, l’ambiente di lavorazione stesso e le colture starter, nonché i sottoprodotti della lavorazione del latte. In condizioni igieniche precarie, i fagi vengono dispersi nell’ambiente attraverso la dispersione e la formazione di aerosol a partire dal siero di latte.
Come accennato sopra, le colture starter impiegate nelle fermentazioni lattiche possono essere fonte di contaminazione da fagi. Vi sono alcune colture che contengono ceppi di batteri lattici specifici e ben definiti, impiegate nella produzione di probiotici e di starter per la caseificazione, che, sebbene vengano preparate in condizioni asettiche da aziende specializzate, possono essere fonte di contaminazione fagica. Vi sono poi le colture non definite in quanto i ceppi che le compongono appartengono a diverse specie, quali S. thermophilus, L. helveticus, L. delbrueckii (colture termofile) e lattococchi (colture mesofile). Queste colture sono frequentemente utilizzate per la produzione di molti formaggi italiani, francesi e svizzeri e sono prodotte artigianalmente. Tra queste possiamo includere il siero innesto, che si ottiene incubando una parte del siero della lavorazione precedente, possibilmente in condizioni controllate (nel caso dei formaggi a pasta filata, meglio se la temperatura viene mantenuta a fra 39 e 45°C, più bassi per la mozzarella, più alti per formaggi a lunga stagionatura e se l’incubazione è interrotta quando il pH scende a valori inferiori di 4, porta a temperature di refrigerazione la coltura per impedire un’acidificazione eccessiva ed eventuali shock a carico dei batteri). Il siero innesto viene quindi riutilizzato il giorno successivo con inoculi del 3-5% (anche in funzione del pH iniziale del latte richiesto e della velocità di acidificazione desiderata). Si tratta di una pratica che comporta difficoltà nell’ottenere performance costanti, ma non solo: il rischio di infezione da fagi è piuttosto elevato. La composizione delle colture varia molto con la temperatura d’incubazione e con il pH finale raggiunto: a temperature più basse è dominante Streptococcus thermophilus ed è talvolta presente Lactococcus lactis. Alle temperature più alte possono essere presenti in proporzioni crescenti lattobacilli termofili (progetto Qualiform). Un aspetto importante nella gestione delle colture termofile selezionate sono le rotazioni, che tratteremo nella parte dedicata alle misure di controllo. Diverse combinazioni di ceppi devono essere utilizzate in rotazione poiché S. thermophilus possiede pochi meccanismi geneticamente trasferibili di resistenza ai fagi. Va detto che le infezioni fagiche risultano in genere più specifiche che in Lactococcus per la presenza di un particolare meccanismo di resistenza, il sistema CRISPR-CAS. Benché esista la possibilità di selezionare ceppi di S. thermophilus resistenti attraverso diverse tecniche, rimane fondamentale mettere in atto le misure di monitoraggio delle infezioni da fagi e tutte le azioni preventive per l’igiene nelle aree di lavorazione dello stabilimento lattiero-caseario.
Quando un fago entra in un batterio, la riproduzione può avvenire attraverso due vie: attraverso il ciclo litico oppure il genoma fagico può integrarsi nel cromosoma batterico e seguire la moltiplicazione batterica. Quando i batteri trasportano tale profago, la cellula viene chiamata lisogeno e si ha quindi un particolare tipo di associazione tra il virus batterico ed il suo batterio ospite, detta lisogenia. La peculiarità del lisogeno è la cosiddetta “immunità alla superinfezione” ed è stata osservata in lattococchi e S. thermophilus (Garneau e Moineau, 2011). I fagi temperati possono alterare il normale decorso delle fermentazioni quando, per mutazione, diventano fagi virulenti, superando così questa forma di immunità. Un altro problema è l’induzione di profagi spontanea o attivata da fattori esterni, come calore, sale o antimicrobici, che porta al rilascio di nuovi fagi virulenti che possono potenzialmente infettare i ceppi sensibili ai fagi presenti nella coltura (Briggiler Marcò et al., 2012). Le conseguenze di questo fatto sono evidenti nel momento in cui si utilizzano starter commerciali, proprio per l’elevata selezione di ceppi batterici specifici.
In uno stabilimento di trasformazione, i livelli sui quali intervenire preventivamente per il controllo di infezione da fagi sono essenzialmente: ambiente, materie prime, sottoprodotti, gestione degli scarti e le colture starter. L’ambiente di produzione deve essere adeguatamente progettato, separando fisicamente le aree di lavorazione dei prodotti finiti dalle aree di gestione dei sottoprodotti e degli scarti di lavorazione. È altresì importante un’igiene efficace degli ambienti (superfici, attrezzature, strutture), assicurandosi di non impiegare le stesse attrezzature, a meno di una pulizia preventiva, per formaggi e per il siero di latte. Gli interventi di disinfezione sono condotti al fine di eliminare la carica microbica, ma non direttamente i fagi. Diverse sostanze attive impiegate nell’industria lattiero-casearia e procedure di pulizia sono state testate per valutare l’efficacia su diversi fagi che infettano i ceppi di batteri lattici. I prodotti contenenti acido peracetico e ipoclorito di sodio hanno dimostrato di essere i più efficaci per l’inattivazione delle particelle di fagi, mentre l’etanolo e l’isopropanolo non sono risultati generalmente efficaci. La combinazione di questi prodotti con il calore o con condizioni di pH estreme ha dimostrato di dare i migliori risultati. I prodotti di cui stiamo parlando sono definiti biocidi e sono disciplinati, a livello europeo, dal Reg. (UE) n. 528/2012; si tratta di prodotti e preparazioni contenenti disinfettanti autorizzati all’uso ed attivi su qualsiasi organismo nocivo. Sulla gestione dell’aria nell’ambiente di lavorazione avevamo già discusso in un precedente articolo: anche per il controllo dei fagi, che si diffondono grazie agli aerosol ed alla movimentazione dell’aria non adeguatamente filtrata, è importante un accurato management dell’aria.
Per quanto riguarda invece le colture starter, l’ideale sarebbe impiegare inoculi diretti di colture starter concentrate. Indubbiamente, soprattutto nel caso di preparazioni artigianali dei fermenti, la rotazione consentirebbe, con diversi schemi di sensibilità ai fagi, di ridurre notevolmente il rischio di contaminazione. Inoltre, la selezione di colture resistenti ai fagi permette di avere un vantaggio in tal senso. La strategia di rotazione, che si basa sull’uso alternato di colture starter composte da ceppi con diversi profili di resistenza ai fagi ma simili proprietà fermentative, è la base per un efficace controllo biologico della proliferazione dei fagi e un modo semplice per ridurre i fallimenti della fermentazione ed estendere la longevità dei ceppi nell’ambiente lattiero-caseario (Briggiler Marcó et al., 2012). Poiché questa strategia non è adatta a tutti i processi di produzione lattiero-casearia, la ricerca di nuovi ceppi tecnologici e resistenti ai fagi è un compito costante per il settore lattiero-caseario.
Riuscire a rilevare precocemente la presenza di fagi nel latte, nelle materie prime o nei sottoprodotti è estremamente utile per ridurre al minimo le conseguenze dannose degli attacchi di fagi in uno stabilimento di trasformazione lattiero-casearia. Quando si va a selezionare l’approccio con il quale rilevare un’eventuale infezione fagica, vanno considerati: il volume di latte trasformato ogni giorno, il tipo di processo di fermentazione, la coltura di partenza utilizzata, la diversità della popolazione di fagi e il rischio o frequenza di infezioni da fagi. Ulteriori considerazioni includono la necessità di risultati rapidi, il limite di quantificazione e, infine, il costo del metodo applicato. Per la rilevazione di fagi, sono disponibili due tipologie generali di metodi: diretto ed indiretto. Tra i metodi diretti, si annoverano i metodi microbiologici standard, come il saggio delle placche, generalmente applicati al latte o ai prodotti come il latte fermentato. Uno dei vantaggi di questo tipo di metodi è la discriminazione tra inibitori fagici e non fagici. Gli svantaggi includono la necessità di utilizzare ceppi sensibili all’indicatore e il tempo relativamente lungo necessario per ottenere il risultato. A questi metodi si preferisce un approccio molecolare, soprattutto per i più brevi tempi di risposta. Diversi test diretti basati sulla reazione a catena della polimerasi (PCR) sono stati progettati e applicati con successo per rilevare, o persino classificare, i fagi di Lactobacillus, Lactococcus e Streptococcus in diverse matrici lattiero-caseari. Tuttavia, questi metodi molecolari non discriminano tra particelle di fagi attivi e non attivi poiché si basano sulla rilevazione del DNA virale, oltre a risultare troppo costosi e troppo specifici per il monitoraggio di routine. Inoltre, un altro inconveniente comune a tutti i metodi di rilevazione basati sul DNA è che possono individuare solo i fagi le cui sequenze del genoma sono disponibili. Per superare queste limitazioni, metodi basati sulla PCR e saggi microbiologici classici potrebbero essere usati in combinazione per ottenere più dati sui fagi contenuti nel campione (titoli, intervallo dell’ospite, tipo di fagi). Per quanto riguarda i metodi indiretti tradizionali, il test di attività è uno dei più comunemente implementati per l’analisi di routine nelle industrie di trasformazione del latte. Per rilevare la presenza dei fagi in un campione viene valutata una diminuzione della produzione di acido (rispetto a un campione di controllo privo di fagi) da una coltura o ceppo starter in latte sterile, cotto a vapore o pastorizzato. Altri metodi di rilevazione si basano sulla riduzione di un composto indicatore (ad esempio, blu di metilene) per acidificazione delle colture. Se sono presenti fagi nel campione, si osserva un ritardo o un errore nel cambio colore. Come nel test di attività, colture miste possono mascherare la presenza di fagi, producendo falsi negativi. Un altro metodo indiretto proposto prevede l’analisi citometrica di flusso.
Nonostante i significativi progressi compiuti negli ultimi anni per ridurre il problema generale associato alle contaminazioni da fagi, i fagi dei batteri lattici sono ancora oggi un problema importante nell’industria lattiero-casearia, ed i trasformatori lottano costantemente per difendersi da questa minaccia che comporta un rischio a livello tecnologico. E’ stato fatto, e si continua a fare, affidamento sulle misure di controllo di cui abbiamo parlato, puntando al miglioramento. Tuttavia, nonostante questi sforzi, i fagi sono in co-evoluzione rapida con i batteri lattici che li ospitano secondo un meccanismo biologico ben noto e nuove varianti emergono continuamente. In un contesto simile, la ricerca di nuove strategie di controllo ed approcci integrati saranno fondamentali per tenere gli occhi aperti e continuare a difendersi quando l’eradicazione non è possibile.
Questo articolo di sicurezza alimentare si inserisce nel mese tematico dedicato alla Mozzarella di Bufala. Qui è disponibile l’articolo di Paolo Bartolomucci, che racconta la storia di questo prodotto e qui la storia di successo.
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