L’allevamento della specie bufalina rappresenta una potenzialità per l’economia nazionale e regionale. È noto che le attività che gravitano attorno all’allevamento del bufalo in Italia stanno contribuendo in maniera fondamentale a creare occupazione in territori con elevati tassi di disoccupazione. Le finalità strategiche future, per sostenere un incremento dell’indotto e della filiera bufalina, dovranno mirare allo sfruttamento di queste peculiarità. Ciò potrà avvenire sia attraverso attività mirate al raggiungimento di elevati livelli qualitativi, attraverso tecniche di conservazione e maturazione dei prodotti utili ad aumentare l’indice di gradimento del mercato, sia attraverso l’aumento della shelf-life, utile a garantire una penetrazione costante dei prodotti anche in mercati lontani.
Già in passato numerose ricerche hanno dimostrato che l’allevamento del bufalo per la produzione di carne può essere ritenuto un’attività complementare alla produzione del latte o una valvola di sfogo per eventuali crisi di mercato del latte. In Italia, l’allevamento del bufalo da carne veniva prima effettuato dai latifondisti che utilizzavano i terreni marginali per i vitelli. Tali animali erano svezzati tardivamente (circa 4-5 mesi) al peso di 60-70 kg, ricevendo in una seconda fase fieno scadente per poi essere lasciati al pascolo dopo i 6 mesi: queste condizioni di allevamento esitavano nella produzione di soggetti di qualità scadente, che presentavano facilmente infestazioni da parassiti e crescita stentata. Inoltre, l’abitudine degli animali di immergersi in pozze di acqua e fango (cd. tonzi o carammoni) era responsabile dell’odore di muschio spesso registrato in queste carni. Questi bufali venivano di solito abbattuti ad oltre due anni di età e la loro carne non era ovviamente apprezzata dal consumatore. D’altro canto, la carne derivante da soggetti in buono stato di nutrizione veniva venduta come bovina mentre quella degli stessi bovini, ma di qualità scadente, veniva proposta ai consumatori come carne di bufalo. Ciò non ha incentivato i consumi di tale derrata, in special modo nelle zone tradizionali di allevamento. A ciò si aggiunga che il bufalo fa comunque registrare minore resa al macello (60.5 vs 56.6%, rispettivamente per bovini e bufali) a causa della maggiore incidenza del cosiddetto quinto/quarto (pelle, testa e porzioni distali degli arti, ecc.).
Tutto ciò a dispetto delle ottime caratteristiche qualitative e nutrizionali della carne di bufalo: rispetto a quella bovina, la carne bufalina contiene meno grasso d’infiltrazione e una notevole quantità di grasso di copertura, facilmente separabile dal magro. Il bufalo, infatti, rispetto ad altre specie, deposita il grasso al di fuori ma non all’interno del tessuto muscolare, perciò l’infiltrazione di grasso nella carne è scarsa. La carne bovina con queste caratteristiche risulta asciutta, dura e poco sapida, mentre quella di bufalo non presenta i suddetti difetti, a patto che lo stato d’ingrassamento dell’animale sia ottimale. L’assenza d’infiltrazione anche in un soggetto grasso comporta la possibilità di escludere dal consumo il grasso perché questo è ben delimitato all’esterno del muscolo. Ciò costituisce un vantaggio per il consumatore che può separare il grasso di copertura dalla carne, ma uno svantaggio per il commerciante.Infatti, a parità d’ingrassamento, o meglio ancora di maturità del soggetto, poiché nel bufalo si verifica un accumulo del tessuto adiposo in determinati distretti anatomici (loggia renale, omento, pelvi e mesentere) piuttosto che nel tessuto muscolare, e a parità di peso della carcassa, si ha uno scarto maggiore e quindi una resa minore sotto il profilo economico. I parametri reologici, determinati con l’ausilio del “texturometer” (strumento simulatore dell’azione masticatoria umana) in indagini comparative tra carne proveniente da vitelli bufalini e vitelli frisoni, macellati a 20 – 36 – 52 e 64 settimane di età, hanno posto in evidenza che la carne bufalina è in ogni caso più tenera e richiede, quindi, un minore lavoro di masticazione. La maggiore tenerezza viene imputata al contenuto di idrossiprolina [64,6 ± 15,1 mg/100 g di muscolo fresco, sensibilmente minore di quanto registrato in vitelloni Bruni (93,8 mg/100 g), Frisoni (109,1 mg/100 g) e Charolaise (75,7 mg/100 g)]; questo amminoacido è incluso per il 13-14% nel collagene e quindi viene utilizzato come parametro per stimare indirettamente la tenerezza delle carni. La carne bufalina, inoltre, presenta un maggiore potere di ritenzione idrica, risultando quindi più succosa. Mediante cottura su piastra, le perdite di liquido registrate per la carne bufalina sono state del 31%, contro il 33,7% e il 35,7% riportato da altri autori rispettivamente per vitelloni Charolaise e Chianini.
Altro punto importante da tenere in considerazione riguarda gli aspetti salutistici della carne bufalina, ed in particolare il colesterolo. Il contenuto di colesterolo del grasso intramuscolare bufalino è infatti risultato pari a 41,3 ± 10,3 mg/100 g, valore nettamente inferiore a quanto registrato per diverse razze bovine (60-90 mg/100 g). Sono invece praticamente sovrapponibili nelle carni bovine e bufaline i valori di pH e il tenore in protidi. L’ottimale livello di aminoacidi solforati registrato nella carne bufalina, infine, potrebbe farla preferire nel caso di diete miste a prevalente contenuto di alimenti di origine vegetale, per i maggiori contenuti di acido stearico ed oleico, neutri nei riguardi della colesterolemia umana, nonchè di acido linoleico che, in quanto polinsaturo, può agire efficacemente nella riduzione della colesterolemia stessa.
Negli ultimi anni l’interesse nei confronti della carne bufalina, molto apprezzata sotto il profilo sia dietetico che nutrizionale, è aumentato. È importante sottolineare come la qualità organolettica della carne venga valutata anche attraverso l’aspetto, la tessitura, la succosità e l’aroma. Tra queste caratteristiche, la tenerezza ottenuta attraverso quel complesso processo denominato frollatura o maturazione, è probabilmente la più importante nel determinare l’accettabilità del prodotto da parte del consumatore. Secondo molti autori (Girolami et al. 2009), con il procedere della frollatura, grazie all’incremento della concentrazione di lattato e alla produzione di composti volatili (ipoxantina, acetaldeide e composti solforati), si verifica un miglioramento delle caratteristiche organolettiche e della soddisfazione sensoriale da parte del consumatore. Come già osservato da altri autori (Campo et al. 1999; 2000), il protrarsi del periodo di frollatura implica complessi cambiamenti nel metabolismo del muscolo, in funzione prevalentemente della proteolisi enzimatica attivata da idonee condizioni climatiche di conservazione (ricetta climatica).
Oggi si parla di maturazione delle carni, un processo dinamico durante il quale vengono gestite continuamente in maniera tecnologica, per mezzo di sistemi telemetrici applicati a specifiche celle di frollatura e/o armadi maturatori, le modificazioni chimico-fisiche e biochimiche. Affinché la maturazione avvenga correttamente tra le caratteristiche fondamentali richieste rientrano: un controllo costante del valore di pH; una efficace ventilazione, fondamentale perché permette di “asciugare” omogeneamente tutta la superficie della carne; la sanificazione dell’aria attraverso, ad esempio, l’inserimento di lampade germicide; e corretta umidità relativa in modo tale da ridurre l’acqua (aw), fondamentale per i microrganismi che necessitano di aw per il loro sviluppo. Anche l’alimentazione animale è un’importante strategia per influenzare queste proprietà, insieme ai processi di frollatura e maturazione. Le attuali tecnologie di allevamento del bufalo mirano ad ottenere un miglioramento delle produzioni. Le tecniche di allevamento perseguite influenzano profondamente il benessere animale. In particolare, l’alimentazione rappresenta uno dei fattori di primaria importanza da tenere in considerazione, sia per l’allevamento degli animali nel pieno rispetto delle loro esigenze, sia da un punto di vista quanti-qualitativo delle produzioni.
In uno studio recente (Marrone et al., 2020) è stato valutato l’effetto sinergico dell’inclusione di foraggi freschi durante il periodo di ingrasso di 16 vitelloni bufalini di razza mediterranea (Bubalus bubalis) ed una specifica ricetta climatica di maturazione con l’utilizzo di un armadio Maturmeat® sulla carne ottenuta. Sono state eseguite analisi fisico-chimiche, colorimetriche e valutata la forza di taglio di due muscoli, Semitendinosus (ST) e Longissimus dorsi (LD), durante due tempi di maturazione (30 e 60 giorni). Gli animali sono stati divisi casualmente in due gruppi di alimentazione e macellati a 540 ± 4,7 e 533 ± 7,0 kg di peso corporeo vivo, rispettivamente, per il gruppo CTL (senza foraggio verde) e FRS (con foraggio verde).
Figura 1 – Variazione di colore (ΔE) durante i primi 30 giorni di maturazione.
Dopo 30 giorni, sono stati registrati cambiamenti significativi (p <0,01) nel colore della carne (ΔE) in entrambi i muscoli del gruppo FRS, mentre non sono stati osservati cambiamenti significativi nel gruppo CTL.
Figura 2 – Effetti dell’interazione tra alimentazione e sistema di maturazione sul colore della carne.
L’uso combinato dell’inclusione di foraggio fresco e del sistema di maturazione hanno influenzato in modo diverso i due muscoli considerati, suggerendo che muscoli diversi potrebbero avere proprietà diverse. Inoltre, il colore della carne (maturata in Maturmeat®) è cambiato in entrambi i muscoli negli animali nutriti con foraggio verde mentre non sono stati osservati cambiamenti significativi nel gruppo CTL.
Figura 3 – Effetti dell’interazione tra alimentazione e sistema di maturazione sulla texture della carne.
La dieta FRS ha avuto un effetto positivo sulle proprietà strutturali del muscolo ST rispetto alla dieta CTL, nonché sulla durezza, la gommosità e la gumminess. Tutte le caratteristiche qualitative sono migliorate nel primo periodo di maturazione ma, mentre LD ha continuato a migliorare, prolungando il periodo di maturazione di ulteriori 30 giorni, il muscolo ST diventava non analizzabile a 60 giorni.
Questo studio ha proposto un nuovo approccio congiunto tra alimentazione a base di foraggi freschi e processo di maturazione in un dispositivo di refrigerazione monitorato, come Maturmeat®, al fine di migliorare l’aspetto e la consistenza della carne bufalina. Questo nuovo metodo ha avuto un effetto notevole sulla tenerezza e sul miglioramento del colore nella carne del gruppo FRS, influenzando la resa e la produttività. L’uso del sistema di maturazione proposto potrebbe consentire la creazione di prodotti “di nicchia” destinati all’alta ristorazione e rappresentati da carne “ready to eat” come la carne macinata cruda, molto richiesta dai consumatori.
Sinossi dell’articolo “Effects of Feeding and Maturation System on Qualitative Characteristics of Buffalo Meat (Bubalus bubalis)“, pubblicato su Animals 2020, 10(5), 899; doi.org/10.3390/ani10050899.
Autori: Raffaele Marrone, Aniello Anastasio, Angela Salzano, Carmela Maria, Assunta Barone.