Il 2018 ha visto Listeria monocytogenes, il batterio patogeno responsabile della listeriosi, protagonista di contaminazioni importanti in verdure surgelate e salmone, ma non sono mancati casi di ritiro dal mercato anche per prodotti lattiero-caseari, in particolare formaggi a latte crudo. I casi più gravi, che hanno portato a listeriosi alcuni sventurati consumatori, sono legati al salmone affumicato a freddo prodotto da un’azienda sita in Polonia e, caso ben più esteso, alle verdure surgelate che, tra il 2015 e il 2018, a causa di una contaminazione persistente, hanno causato un’epidemia di listeriosi arrivata fino in Australia, con 54 contagi, 10 morti ed il richiamo dei surgelati su scala mondiale. A livello operativo, l’industria produttrice delle verdure surgelate, sita in Ungheria, ha bloccato la commercializzazione di tutti i prodotti surgelati e congelati, ordinandone il ritiro dal mercato.
I casi di listeriosi sono associati solitamente all’ingestione di alimenti fortemente contaminati, al contrario di altri patogeni alimentari che provocano danno sulla salute anche a bassi livelli di contaminazione. Le fonti alimentari di infezione sono quasi esclusivamente gli “alimenti pronti”, i quali non necessitano di ulteriore manipolazione (es. cottura) prima del consumo. Tra gli alimenti associati a listeriosi, vi sono anche i prodotti lattiero-caseari, nello specifico latte non pastorizzato, gelato e alcune tipologie di formaggi (a pasta molle, pastorizzati, con muffe).
L. monocytogenes è ubiquitario in natura, e si trova frequentemente nel suolo, nelle acque, sulle piante, negli ambienti chiusi. Anche gli animali, inclusi bovini, ovini e caprini, possono esserne portatori e la contaminazione fecale costituisce altra fonte di diffusione. Per l’uomo, la via principale di trasmissione è data dall’ingestione di alimenti contaminati. Un aspetto critico legato alla sua tolleranza ambientale è la capacità di tollerare ambienti ad elevate concentrazioni di sale (circa il 25% di salinità), pH bassi (il limite di crescita è 5,3-5,5, ma può sopravvivere in condizione prossime a pH 4) e temperature fredde (+2-4°C, alle quale può anche moltiplicarsi). Tuttavia, questo batterio risulta sensibile ai trattamenti termici e ai disinfettanti utilizzati nella sanificazione industriale. La presenza nel latte crudo o non correttamente pastorizzato, ma anche le ricontaminazioni a valle del trattamento termico, comportano rischi sia al momento del consumo di latte fresco sia nella produzione di formaggi che non richiedono lunghi periodi di stagionatura (Mucchetti e Neviani, 2006).
Il sistema di allerta rapido per alimenti e mangimi (RASFF) europeo ha messo in luce nel suo report per il 2017 un totale di 11 notifiche in prodotti lattiero-caseari associate alla Francia, per contaminazione da L. monocytogenes. I prodotti coinvolti sono stati spesso prodotti ottenuti da latte crudo. Nonostante l’attenzione da parte delle aziende nei confronti di questo rischio biologico, questo batterio non è facilmente eradicabile dagli impianti di produzione lattiero-casearia proprio per le sue caratteristiche di ubiquità.
La strategia di minimizzazione del rischio in stalla e in caseificio: prevenzione, sempre
All’interno di allevamenti di animali da latte, le principali fonti di contaminazione sono suolo, acqua e alimenti zootecnici (Sauders & Wiedmann, 2007), ma anche la contaminazione fecale.
Vi sono alcune strategie da adottare per evitare di riportare in stalla il batterio e, quindi, di contaminare il latte che si raccoglie. Oltre a intervenire con procedure di pulizia in stalla, è importante la corretta gestione di liquami e letame che s’intende sfruttare per la concimazione del suolo. Infatti, la maturazione del letame può portare all’inattivazione dei patogeni contaminanti; lo spargimento di letame fresco o minimamente trattato direttamente sui terreni coltivati aumenta il rischio di trasferimento di L. monocytogenes alla fase post-agricola (Santorum et al., 2007). Il fatto che Listeria non sopravviva per più di un mese in letame tenuto in cumuli, nei quali le temperature salgono sopra i 55 °C (EFSA, 2009a; Kim & Jiang, 2010), è un vantaggio utile ad evitare spargimento di concime contaminato in campo. Le deiezioni animali contenenti qualsiasi forma di lettiera hanno una minor prevalenza di Listeria spp. (Hutchison et al., 2005a). Pertanto, l’uso della lettiera come trattamento del letame è una misura di controllo semplice che potrebbe essere raccomandata per il controllo di L. monocytogenes in azienda agricola.
L’uso di concimi da deiezioni animali contaminati può riportare di nuovo il rischio microbiologico in stalla. Il foraggio contaminato porta il microrganismo di nuovo nell’intestino degli animali, creando così un circolo che sostiene la sua presenza in ambiente agricolo e ne favorisce la diffusione. Listeria spp. è tendenzialmente anaerobia capace di buona resistenza, sopravvivendo bene all’esterno dell’organismo animale (Giaccone et al., 2013). Il fatto che il batterio trovi una nicchia di sviluppo preferenziale nei substrati dove c’è una certa anaerobiosi, come gli insilati, è una criticità anche per quanto riguarda gli alimenti zootecnici. Prediligendo condizioni di pH neutro o poco acido, va precisato che non tutti gli insilati sono a rischio, ma solo quelli mal fermentati, con una non perfetta fermentazione lattica ed un pH superiore a 5 (Giaccone et al., 2013). I ruminanti al pascolo hanno una prevalenza inferiore di L. monocytogenes nei campioni fecali rispetto agli animali alimentati con insilati (Sauders e Wiedmann, 2007; Wesley, 2007). Tutto questo ci fa capire che una buona gestione dei suoli coltivati e dell’utilizzo dei concimi ottenuti da deiezioni animali è fondamentale per il controllo del batterio.
Va poi ricordata l’importanza dell’igiene in fase di mungitura: la contaminazione infatti può avvenire nei locali dedicati a mungitura e sala d’attesa, che dovranno essere lavati e puliti dopo ogni mungitura. In mungitura meccanica, il passaggio dei gruppi di mungitura da una vacca all’altra può costituire una grave fonte di contaminazione e diffusione di batteri tra i diversi animali. Per affrontare il problema, l’immersione del gruppo di mungitura in un secchio contenente acqua e disinfettante che in seguito deve essere risciacquato con solo acqua può essere un approccio utile, tuttavia è una soluzione adottabile in allevamenti molto piccoli con personale responsabile che esegue correttamente le diverse operazioni. In alternativa, si può provvedere all’installazione, sui gruppi di mungitura, del backflushing che permette la disinfezione automatica dei gruppi di mungitura dopo il processo eseguito da una vacca all’altra, e la successiva asciugatura interna delle guaine (Granlatte).
Un’altra criticità legata a L. monocytogenes è la capacità di formare biofilm (Latorre et al., 2010), ovvero aggregati multi-cellulari di batteri, difficili da eliminare, che possono crearsi su pavimenti, pareti, attrezzature e, in particolare, su superfici porose. Prevenire la formazione di biofilm è quindi fondamentale. Inoltre, la contaminazione dei prodotti può avvenire in qualsiasi fase della produzione, anche se la pastorizzazione del latte per la trasformazione è avvenuta correttamente. Essendo molti i veicoli per questo batterio, la contaminazione dei prodotti lattiero-caseari può avvenire anche a monte del processo di pastorizzazione.
Nei locali di trasformazione del latte vanno attivate e mantenute procedure standard di igiene elevate, soprattutto negli impianti in cui la struttura “in avanti” del flusso produttivo non è stata realizzata e, pertanto, non vi è netta separazione tra locali produttivi, stoccaggio, zone di lavaggio delle attrezzature, etc. Poter controllare il rischio in locali progettati secondo la vecchia concezione per cui non si ha separazione tra le varie aree di lavoro può essere molto complicato.
Le fonti di contaminazione per i prodotti lattiero-caseari sono sia all’interno che all’esterno dell’ambiente di produzione. Il personale può essere vettore con scarpe, vestiti, veicoli, etc., ma lo sono anche l’aria, gli animali (uccelli, roditori, insetti) che sfuggono ai sistemi di prevenzione del loro ingresso in area produttiva. Tutto ciò che entra a contatto con la lavorazione, dagli ingredienti forniti da altre aziende fino all’attrezzatura non correttamente pulita, può essere veicolo di contaminazione. Alcuni ambienti nell’area di produzione, inoltre, possono diventare nicchie di sviluppo per L. monocytogenes: è vero per muri, suoli, zone intorno agli scarichi e sotto i piani di lavorazione, ventilatori ed umidificatori, spugne e spazzole per il lavaggio della crosta, scope e materiale per la pulizia. Infine, grande attenzione va posta alla gestione delle salamoie, ricordando la capacità del batterio di sopravvivere a elevata salinità. Per la prevenzione, ci sono alcuni elementi chiave da ricordare (ed applicare):
- la pastorizzazione del latte va correttamente eseguita e va verificato che essa abbia avuto successo. La pastorizzazione può essere ottenuta con un trattamento a temperatura elevata durante un breve periodo (almeno 72 °C per 15 s), temperatura moderata durante un lungo periodo (almeno 63 °C per 30 min) oppure ogni altra combinazione tempo-temperatura che permetta di ottenere un effetto equivalente. L’operatore deve verificare che il trattamento abbia avuto successo: in tal senso, la determinazione dell’attività della fosfatasi alcalina nel latte è considerata il principale indicatore di una corretta pastorizzazione e l’esito dell’analisi deve essere negativo per confermare la buona riuscita del trattamento [Reg. (CE) n. 2074/2005].
- Va assicurata un’efficace pulizia di tutte le superfici a contatto prima della lavorazione; per fare questo, è necessario predisporre una procedura di sanificazione adeguata, per contrastare la formazione di biofilm e nicchie. Lo stesso vale per le attrezzature da lavoro, da sottoporre a idoneo lavaggio, utilizzando sempre detergenti, detersivi e disinfettanti a basso impatto ambientale, inodori, facilmente risciacquabili e, chiaramente, adeguati alla buona riuscita dell’operazione;
- L’ambiente interno deve essere opportunamente isolato rispetto all’esterno, al fine di prevenire contaminazioni esterne indesiderate (ad es., l’ingresso di aerosol assenza di impianti di ventilazione o non corretto isolamento di finestre, porte, uscite da e verso l’impianto). È fondamentale che l’accesso all’impianto sia limitato agli addetti alla produzione e che, in caso di necessario intervento di personale esterno (verifiche ispettive, audit, etc.), vengano prese le dovute precauzioni facendo indossare gli indumenti protettivi e imponendo di lasciare qualsiasi oggetto personale (telefoni cellulari, penne, orecchini, etc.) fuori dall’area di produzione;
- assicurarsi che gli addetti alla produzione siano stati preparati ed educati alle buone pratiche di igiene, così come verificare che essi le mantengano, compresi il cambio degli indumenti e degli stivali esterni e il lavaggio delle mani, prima di entrare nell’impianto di lavorazione. Inoltre, anche il lavaggio degli indumenti andrebbe controllato, evitando che siano gli operatori stessi ad eseguirlo (come possiamo essere sicuri che la divisa non venga lavata insieme ad altri indumenti e che il lavaggio sia efficace? Se gli indumenti sono esposti all’aperto, chi assicura che animali non passino e non vadano a toccare gli indumenti?);
- rispettare la catena del freddo, dal momento in cui il latte viene munto in poi;
- separare aree ed attrezzature per la movimentazione di latte crudo (ad esempio spazzole, guarnizioni, raccordi, tubazioni, serbatoi) da aree e attrezzature utilizzate per il prodotto pastorizzato e, quindi, prevenire la contaminazione crociata del latte crudo con quello pastorizzato.
Per quanto riguarda i prodotti a latte crudo, in Europa si ammette il suo utilizzo per formaggi con stagionatura superiore a 60 giorni. Tuttavia, questo limite non è sinonimo di sicurezza poiché la carica microbica totale potrebbe essere ancora molto elevata. L’ideale è portare la stagionatura fino a 180 giorni e, al contempo, avere all’interno del processo operazioni che contribuiscano a ridurre la carica microbica, come cottura della pasta e filatura. La cottura della pasta, abbinata alla lunga stagionatura, è una pratica che comporta una riduzione considerevole della microflora nel corso della maturazione, così come la filatura. L. monocytogenes è problematica nei formaggi erborinati, a crosta lavata o fiorita che, indipendentemente dal fatto che sia stato utilizzato o meno latte pastorizzato correttamente, possono essere oggetto di una contaminazione ambientale a livello della crosta: a causa dell’intenso metabolismo delle muffe, si ha un innalzamento di pH durante la maturazione e questo porta, in presenza di contaminazione, ad una crescita del batterio (Mucchetti e Neviani, 2006).
Infine, il rischio è elevato soprattutto per i formaggi freschi e molli: per questo motivo va utilizzato latte pastorizzato e va posta la massima cura nell’igiene delle salamoie, nella contaminazione degli ambienti di stagionatura e nelle manipolazioni in fase di toelettatura e confezionamento per evitare la ricontaminazione con L. monocytoges, oltre ad eventuali difetti nella pasta. In particolare, i passaggi critici sono spugnature e lavaggi in formaggi a crosta lavata, svolti per favorire una selezione della microflora superficiale, in genere composta da Micrococcacee e Corynebacteriaceae che caratterizzano il prodotto con una colorazione rossastra e partecipano ai fenomeni di maturazione del sottocrosta: condizioni di umidità della crosta, aerobiosi e selezione alofila contribuiscono all’attecchimento di L. momocytogenes. È per questi motivo che alcuni formaggi tipici, come il Gorgonzola, prevedono la non edibilità della crosta (Mucchetti e Neviani, 2006).
Bibliografia
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