Additivi negli alimenti
Le diciture “senza additivi”, “niente chimica”, “prodotto tutto naturale” sono sulle etichette e nella pubblicità di un numero sempre più ampio di alimenti, e tra questi anche i formaggi. Vogliamo alimenti perfetti e ci fanno paura quando hanno una sia pur minima alterazione, un colore un poco diverso o una macchiolina di muffa, mentre la muffa era invece quasi un marchio di qualità del mitico salame del contadino. Dimentichiamo però che la gran parte degli alimenti è un fertile terreno di moltiplicazione batteri e muffe che possono essere contrastati con un accurato controllo dell’acqua libera, dell’acidità, della temperatura e umidità ambientali o con l’aggiunta di sostanze capaci di inibire lo sviluppo o la crescita di microrganismi anche pericolosi, i cosiddetti additivi. Aggiunti agli alimenti da quando ancora non si chiamavano additivi, parola che oggi per molti ha un significato negativo, e tradizionalmente usati fin dai tempi più lontani, sono il sale e il salnitro, e le spezie esotiche (pepe per esempio) e nostrane (aglio, cipolla ecc.), che troviamo anche nei formaggi.
Odiernamente gli additivi alimentari sono sostanze deliberatamente aggiunte (e da qui il termine additivo) ai prodotti alimentari per svolgere determinate funzioni tecnologiche, come ad esempio per colorare, dolcificare o conservare. Nell’Unione europea gli additivi alimentari sono identificati da un numero preceduto dalla lettera E, e devono essere indicati nelle etichette degli alimenti dove sono presenti riportando anche la loro funzione nell’alimento finito, per esempio colorante, emulsionante, conservante, etc.. Gli additivi più comunemente usati sono gli antiossidanti, che prevengono il deterioramento dell’alimento da ossidazione, i coloranti, gli emulsionanti, gli stabilizzanti, i gelificanti, gli addensanti, i conservanti e i dolcificanti. Nonostante gli additivi autorizzati in precise condizioni d’uso siano stati studiati per garantirne la sicurezza, non manca chi ha ancora timori, che però non vi sono quando agli alimenti sono aggiunti composti chimici che vantano, se non promettono, poteri salutistici se non quasi magici (omega-3, betaglucani ecc.).
In questo complesso quadro si spiega l’interesse che da qualche tempo vi è per molecole di origine vegetale o estratti vegetali utilizzati come conservanti degli alimenti tra cui anche dei formaggi, un interesse documentato da diverse ricerche sperimentali che di recente sono state oggetto di precise e dettagliate rassegne (Coralie Dupas, Benjamin Métoyer, Halima El Hatmi, Isabelle Adt, Samir A Mahgoub, Emilie Dumas – Plants: A natural solution to enhance raw milk cheese preservation? – Food Res Int – Apr; 130, 108883, 2020. Mena Ritota and Pamela Manzi – Natural Preservatives from Plant in Cheese – Making Animals (Basel), 10 (4), 749, 2020).
Additivi nei formaggi
Il formaggio è suscettibile di contaminazioni da parte di microrganismi che alterano la sua composizione con modifiche nel suo aspetto e sua ridotta durata di conservazione, ma che sono anche un rischio sanitario per i consumatori, per esempio un’infezione da Listeria. Allo stesso tempo i consumatori chiedono sempre più un cibo privo di conservanti sintetici: per questo motivo gli ingredienti naturali stanno ricevendo una particolare attenzione come sostituti degli additivi sintetici, soprattutto quando i composti di origine vegetale possono apportare benefici alla salute dei consumatori nella prevenzione di malattie. Molti composti estratti da vegetali naturali hanno un’attività antimicrobica capace di ritardare o inibire la crescita di microrganismi patogeni negli alimenti, e quindi contrastare le malattie di origine alimentare causate da batteri e funghi che alterano il cibo. Per questo un gran numero di conservanti di origine vegetale è stato studiato per essere usato nell’industria alimentare, non dimenticando la sua azione sulle proprietà sensoriali degli alimenti e dando anche origine ad alimenti con nuove caratteristiche sensoriali e gustative, tra cui i formaggi.
L’utilizzo di conservanti vegetali è di particolare importanza per i prodotti lattiero-caseari suscettibili alla contaminazione, ed in particolare nella piccola produzione agricola dove molteplici sono le fonti di contaminazione derivanti dall’utilizzo di latte crudo e dall’ambiente caseario. Da non dimenticare che i lieviti e le muffe, che hanno un ruolo importante nel deterioramento dei prodotti lattiero-caseari, sono generalmente favoriti dall’umidità nell’ambiente di maturazione. Le muffe che si diffondono nella pasta del formaggio causano difetti, sapori sgradevoli e cambiamenti nella consistenza e nel colore del prodotto, ma possono inoltre avere gravi conseguenze sulla salute dei consumatori anche attraverso le loro micotossine, altamente tossiche. Anche diversi microrganismi possono causare deterioramenti del formaggio, riduzione della durata di conservazione e rischi per la salute dei consumatori, e il trattamento della superficie delle forme con conservanti è quasi obbligato nella produzione di molti formaggi durante la stagionatura. Per questi motivi nell’Unione europea diversi Regolamenti stabiliscono gli additivi ammessi e le loro condizioni di uso nei formaggi, tra cui l’acido sorbico e i sorbati, la nisina, l’acido acetico e l’acido lattico, il lisozima, l’acido propionico e il propionato, la natamicina l’esametilentetrammina e i nitrati.
Additivi vegetali nei formaggi
Numerosi sono i rapporti che i formaggi hanno con i vegetali ma non è ben chiaro quando e come questi si siano stabiliti: questo molto probabilmente è avvenuto in modo differente nelle diverse culture, in rapporto anche con le condizioni climatiche e ambientali. Indubbiamente, le prime trasformazioni del latte operate dall’uomo sono stati i latti acidi e la separazione del grasso con la produzione del burro; solo in tempi successivi vi è stata la coagulazione caseinica indotta da sostanze di origine animale (caglio) e vegetale, e una maturazione condizionata anche da foglie vegetali. Per la produzione di alcuni tipi di formaggio tradizionalmente si utilizza come caglio il lattice che esce dai tagli delle parti verdi dell’albero del fico, mentre molti formaggi, italiani, portoghesi e algerini impiegano un estratto ottenuto dai fiori del Cynara cardunculus, comunemente noto come cardo selvatico. Molto diffuso fin dall’antichità è l’uso di erbe, spezie e loro oli durante la maturazione del formaggio, generalmente impiegate per lo sfregamento delle forme. Tra i formaggi trattati con erbe aromatiche in Italia vi sono il Casoperuto, il Marzolino, il Romano pepato e il Piacentinu Ennese, e la pratica è presente anche in formaggi di Svizzera (Swissalp Panorama, Bellevue), Francia (Le Roule, Boulette d’Avesnes), Olanda (Kanterkass), Egitto (Karish), Siria (Shankalish), Marocco (Jben e Raib) e Turchia (Otlu, Surk e Carra). Assai usate in Italia sono le foglie di vite, fico, castagno, ciliegio, noce e cavolo (Ballarini G. – Formaggi affinati con le foglie – Ruminantia 20 settembre 2020).
Nonostante la diffusione di questi trattamenti, poco noti sono i loro meccanismi d’azione. Molto probabilmente l’uso di erbe e foglie aromatiche nella produzione di formaggio è da riportare alla presenza di molecole antiossidanti e soprattutto antibatteriche, e alla flora microbiologica presente sulla superficie delle foglie delle piante. L’azione antiossidante dei composti di origine vegetale è dovuta principalmente all’elevata concentrazione di composti fenolici, ma anche ad altri composti antiossidanti come i carotenoidi, i diterpeni fenolici, i flavonoidi, antocianidine, etc.. Molecole con attività antimicrobica che si trovano nelle piante sono i composti fenolici (terpenoidi, sesquiterpeni e diterpeni) presenti nel timo e i derivati del benzene che sembrano avere un importante ruolo antimicrobico nell’olio essenziale di varie specie di Pimpinella anisum L. Le attività antimicrobiche delle diverse specie di Allium sono attribuite a composti contenenti zolfo e in particolare ai diallilsolfuri, mentre l’attività antimicrobica dell’olio essenziale di menta verde è correlata al suo contenuto in terpenoide, carvone e limonene. L’eugenolo e il timolo con attività antibatterica e antimicotica sono contenuti negli oli di chiodi di garofano e di timo, mentre l’attività antimicrobica dello zenzero è correlata a diversi composti tra cui il gingerolo, il gingerdiolo e lo shogaolo.
L’attività antimicrobica dei composti di origine vegetale nel formaggio si svolge contro i batteri e i funghi o muffe; per questo, nonostante i conservanti autorizzati siano sicuri e largamente utilizzati nell’industria alimentare, la percezione negativa dei consumatori nei confronti degli additivi sintetici porta a un crescente interesse l’uso di composti a base vegetale anche nella produzione lattiero-casearia.
Conservanti vegetali del formaggio: presente e futuro
Come rilevano anche Mena Ritota e Pamela Manzi, l’uso di conservanti naturali è una tendenza seguita da un sempre maggiore numero di produttori di alimenti caseari, soprattutto formaggi. Particolare interesse è rivolto all’uso di oli essenziali contenenti polifenoli vegetali usati come antimicrobici e molecole bioattive con attività antiossidante. Estratti vegetali aromatizzanti possono migliorare l’aspetto e l’attrattiva dei formaggi migliorandone anche il valore nutritivo perché erbe e spezie possono sostituire ingredienti meno desiderabili, come zucchero, grassi saturi e soprattutto sale, quest’ultimo uno degli ingredienti principali di molti formaggi.
Il sale è fondamentale nella caseificazione perché aggiunge sapore al formaggio, aiuta ad asciugare la cagliata, è essenziale nello sviluppo di una buona crosta ed esercita attività antimicrobica quando è utilizzato in salamoia o come salatura a secco, ma è un ingrediente che deve essere ridotto nella dieta dei paesi occidentale. Ridurre il contenuto di sale a meno di cinque grammi al giorno, secondo le raccomandazioni dell’OMS, è importante per ridurre lo sviluppo di malattie come l’ipertensione e malattie cardiovascolari, legate ad un suo consumo eccessivo. Produrre formaggi a basso contenuto di sale usando conservanti vegetali potrebbe quindi essere una prospettiva di sviluppo molto importante per l’industria casearia.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti ed originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia ed in particolare all’antropologia alimentare e danche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e 50 libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.