Allevamenti e formaggi nel miracolo economico italiano
Alla fine dell’aprile del 1945 la stalle della pianura padana sono quasi vuote, prima per le requisizioni e poi per le razzie del bestiame, ma subito, anche con il recupero degli animali nascosti nelle città, incomincia la faticosa ricostruzione del patrimonio animale che è allevato secondo i metodi tradizionali. Passano alcuni anni e tra il 1953 e il 1958 l’Italia conosce un periodo di espansione economica senza precedenti che inizia a trasformare un paese agricolo in una delle potenze industriali del pianeta. La popolazione contadina si sposta nelle fabbriche delle città e negli allevamenti cambiano la vita e il lavoro. Nelle stalle dove vigeva l’imposizione sindacale di un mungitore ogni dodici vacche, la sempre maggiore diminuzione della mano d’opera rende obbligatori gli abbeveratoi automatici alla posta e la mungitura meccanica. L’aumentato benessere sociale cambia l’alimentazione degli italiani e richiede sempre più latte, non più alimento solo per bambini e vecchi, ma per tutti e, soprattutto in pianura padana, per la produzione di formaggi, in particolare di Parmigiano e Reggiano. In pochi anni il bestiame non è più destinato solo al lavoro nei campi, dove è sostituito dai trattori e altre macchine agricole, ma è soprattutto da latte. Per soddisfare la crescente richiesta di questo alimento, nelle stalle un processo di cambiamento vede la sostituzione degli animali di razze tradizionali con animali di razze straniere, come la frisona olandese che sarà poi sostituita da quella americana. Soprattutto cambiano i metodi di allevamento, alimentazione e raccolta del latte. Non si distribuisce più il sale pastorizio, come fin dal milleottocento aveva preconizzato Pietro Del Prato, ma vi sono i Rulli SIVAM, l’uno o due chilogrammi di pietanza di cereali destinata alle bovine dopo il parto sono sostituiti da sempre più raffinate formulazioni alimentari personalizzate per ogni categoria di animali e si diffondono nuove materie nutritive e integratori alimentari appositamente studiati. Dal parto stagionale gradualmente si passa alla riproduzione uniformemente distribuita nel corso dell’anno e da un’alimentazione verde estiva e di fieno invernale via via si passa ad un’alimentazione uniforme tutto l’anno e nella quale il fieno diminuisce a favore dei concentrati. Nell’area del Parmigiano Reggiano, il periodo di produzione del latte e del formaggio non è più stagionale, da San Giuseppe (19 marzo) a San Martino (11 novembre): prima la produzione è distinta in Parmigiano Reggiano e Vernengo, poi il Parmigiano Reggiano è prodotto tutto l’anno.
Tutte queste e anche altre trasformazioni non mancano di provocare cambiamenti nel latte che si riflettono sull’attività dei caseifici, e soprattutto di quelli che producono formaggi a lunga stagionatura come il Parmigiano Reggiano. Non solo cambia il colore e la composizione del latte, ma anche la qualità dei suoi grassi e delle sue proteine, in particolare delle caseine, con importanti riflessi caseari. Molte, troppe, continuano a essere le forme di formaggio con anomalie e difetti di consistenza, colore e sapore e ne compaiono anche di nuove. Nelle mucche che producono sempre maggiori quantità di latte spuntano disturbi e malattie della mammella che negli anni ’60 sono curate con gli antibiotici prearati dall’industria farmaceutica veterinaria, antibiotici i cui residui provocano gravi incidenti nella produzione dei formaggi, con forme che scoppiano per anomalie nelle delicate fermentazioni della maturazione. Soprattutto però, diviene evidente che nei caseifici la necessaria conoscenza e sapienza tradizionale del casaro non è più sufficiente per fronte ai cambiamenti che avvengono nel latte e in tutta la filiera.
James Pivetti e la fisica della cagliata
La qualità del latte e dei formaggi fin dalla fine del 1800 sono oggetto di studio da parte della microbiologia e della chimica. Durante il periodo di trasformazione della seconda metà del secolo scorso continuano a occuparsene i ricercatori delle Università, dei laboratori di imprese industriali e di Consorzi come quello del Parmigiano Reggiano, ma i contatti di assistenza tecnica con i casari e con gli allevatori non sempre sono sufficienti. Molti sono inoltre i problemi ancora da affrontare e risolvere, e i quesiti che rimangono senza adeguate risposte riguardanti importanti aspetti caseari, come quello della coagulazione del latte e, di conseguenza, anche della resa del latte in formaggio.
Il casaro, nel suo lavoro giornaliero e in base alla tradizione, compie valutazioni empiriche quando ad esempio introduce la mano dito nella massa di latte in coagulazione per valutarne il grado di consistenza e stimare il momento più adatto per iniziare il taglio, usando anche termini vaghi come tempo di presa, tempo di rassodamento, consistenza della cagliata. Sono queste le condizioni nelle quali ogni giorno i casari si trovano a operare con la coagulazione del latte e soprattutto con problemi che condizionano la quantità e la qualità del formaggio se questi parametri non sono ottimali: problemi ai quali la microbiologia e la chimica non danno risposte soddisfacenti.
In questo ampio campo di problemi pratici dei casari che lavorano il latte e degli allevatori che lo producono, nella bassa reggiana, e in particolare a Castelnovo di Sotto, negli anni ’70 del secolo scorso, il tecnico James Pivetti, unitamente alla moglie biologa Ornella Alberici, danno vita a una piccola impresa, che oggi sarebbe definita una start up. Lavorando anche a contatto con il Laboratorio del Parmigiano Reggiano diretto da Sergio Annibaldi, James Pivetti, oltre a dare assistenza tecnica tradizionale a casari e allevatori, si lancia sul mercato con una nuova tecnologia di studio della coagulazione del latte, tecnologia non microbiologica e chimica, ma fisica.
Il problema della coagulazione di liquidi organici non riguarda soltanto il latte ma anche il sangue. La medicina umana, a proposito delle malattie da alterata coagulazione del sangue, nel secondo dopoguerra ha affrontato con successo il problema con un nuovo strumento, il tromboelastografo, inventato dal fisico Helmut Hartet nel 1948 e che ancora oggi è il solo metodo di misura della coagulazione globale del sangue. James Pivetti con una serie di prove arriva a costruire un apparecchio che misura e trasforma in un grafico i fenomeni fisici che avvengono durante la coagulazione di un campione di latte e che è definito lattodinamografo.
Rilevando che accanto a condizioni normali esistono anche condizioni di anormalità, Pivetti dimostra l’importanza del metodo per individuare problemi di caseificazione e quindi anche studiare gli effetti d’interventi correttivi. La scoperta del metodo ha una risonanza che supera i confini nazionali e alla fine degli anni ’70 James Pivetti prende contatti con l’impresa danese FOSS ELECTRIC, specializzata in attrezzature analitiche e diagnostiche nel campo degli alimenti, e in particolare del latte, che nel 1980 mette in commercio il primo apparecchio che può analizzare contemporaneamente cinquanta campioni mediante un modulo di servizio e cinque moduli di lavoro da dieci campioni ciascuno.
L’analisi dei processi di coagulazione determinata con l’attrezzatura di James Pivetti, commercializzata dalla FOSS ELECTRIC e divenuta nota come Lattodinamografo, è stata aggiunta ai parametri per il pagamento latte a qualità ed è ancora oggi utilizzata nei laboratori di analisi del latte e di ricerca in tutto il mondo, permettendo agli allevatori, mediante il controllo del latte delle singole bovine, di selezionarle anche in base alla migliore capacità del latte di coagulare con il caglio, e alle Università di trovare le cause della coagulazione lenta al caglio.
Il lattodinamografo e l’attitudine casearia del latte
Per poter valutare scientificamente la caseificazione nel corso degli ultimi anni sono stati sviluppati strumenti che a seconda della tecnologia utilizzata sono meccanici, ad ultrasuoni, ottici, a raggi infrarossi o che sfruttano la conducibilità elettrica. Uno degli strumenti più utilizzati e sempre di riferimento rimane però il lattodinamografo che parte dall’invenzione di James Pivetti. Questo strumento elettro-meccanico è formato da un pendolino d’acciaio che registra le variazioni che avvengono all’interno di campioni di latte nei quali è stato inserito il caglio e che, lavorando in condizioni standard, fornisce un tracciato a forma di campana chiamato lattodinamogramma dal quale si ricavano tre parametri importanti: tempo di coagulazione, velocità di formazione del coagulo (chiamata anche tempo di rassodamento o tempo di presa) e consistenza del coagulo. Un latte considerato ottimale secondo la classificazione di Zannoni e Annibaldi (1981) dovrebbe coagulare entro 11,5 – 18 minuti e avere un tempo di rassodamento compreso tra i 9 e i 5 minuti. Ancora oggi, per l’analisi dell’attitudine casearia, la misura con il Lattodinamografo, con il quale è simulata una vera e propria caseificazione in cui si realizza il passaggio del latte stesso da stato di liquido a quello di gel, rimane il sistema di riferimento.
Attitudine casearia
La resa casearia è la quantità di formaggio (in chilogrammi) che si ottiene da cento chilogrammi di latte. Molti sono i fattori che la influenzano e tra questi la tecnologia di trasformazione riveste il ruolo principale. Non sono però meni importanti le proprietà di coagulazione del latte, che giocano un ruolo fondamentale nella trasformazione in formaggio incidendo sulla resa e sulla qualità. Secondo la teoria di base, il latte ha un’efficienza elevata alla trasformazione se coagula in tempi brevi e raggiunge un’elevata consistenza del coagulo. Questa teoria è dimostrata da diversi studi scientifici effettuati a partire dagli anni ’80 (Pecorari e Mariani, 1987; Aleandri et al., 1989; Ng-Kwai-Hang et al., 1989) che mettono in evidenza come la resa in formaggio aumenti con la diminuzione del tempo di coagulazione e l’aumento della consistenza del coagulo, e nello stesso tempo diminuiscono le perdite sul siero di grasso o proteina. La resa casearia è un elemento importante per la selezione degli animali da latte e rappresenta un parametro di valutazione del latte conferito ai caseifici. Per questo sono state elaborate delle metodiche per effettuare delle valutazioni indirette, considerando le proprietà coagulative del latte (MCP) che hanno un ruolo importante nella valutazione di quello destinato alla produzione di formaggi, soprattutto nel caso di formaggi a pasta dura e a lungo periodo di maturazione, come fin dal 1973 individuato da Sergio Annibaldi.
Al giorno d’oggi esistono diverse metodiche di laboratorio mirate a valutare l’attitudine casearia del latte, basate su sistemi meccanici, ottici, oscilloscopici, ultrasonografici, di conducibilità elettrica ecc. Alcuni studi scientifici dimostrano che l’utilizzo di dispositivi basati sulla spettroscopia nel vicino e medio infrarosso (NIR-MIR), tecnologia che si basa sulla capacità che ogni sostanza biologica ha di assorbire in modo caratteristico la luce, in questo caso nel medio infrarosso, e utilizzata per l’analisi dei caratteri del grasso, proteina e cellule somatiche, permette anche una buona predizione dei caratteri di attitudine casearia. Tuttavia, la tecnica lattodinamografica rimane il metodo utilizzato per la valutazione complessiva dell’attitudine casearia, individuando diversi tipi di latte: latte rapido, latte buono, latte discreto, latte “lento”, latte di scarso valore tecnologico, latte troppo rapido e latte non idoneo alla caseificazione. Ricerche sull’attitudine casearia del latte riguardano i bovini, bufalini, ovini e caprini, mettendo in luce le molte condizioni che ne stanno alla base e che contribuiscono alla sua espressione.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.