Cucina interculturale
Narra una leggenda, ma a volte le leggende sono più vere della realtà, che in una scuola di Bologna per insegnare l’intercultura ai bambini si organizza un pasto con cibi di diversa origine e tra questi un cuscus magrebino. Chiedendo un parere ai bambini, uno di questi, di origini tunisine, afferma che quello della sua mamma è migliore, perché dentro ci mette dei tortellini. Considerando che il cuscus è un piatto italiano da antichi tempi (Pellegrino Artusi docet con la sua ricetta Cuscussù), in un futuro più o meno lontano potrebbe esistere un Cuscus Bolognese ai tortellini, come da tempo esistono i cuscus siciliani e sardi con alimenti locali? In tutto il mondo la cucina sta evolvendo, e in questa anche il gusto e l’uso dei formaggi, per cui possiamo anche domandarci quali formaggi dovremo produrre per un futuro oggi già iniziato. Per rispondere a queste domande sono necessarie alcune considerazioni sulla tradizione in cucina e gastronomia che non si articola nelle strettoie di un tema o di una ricetta, ma in un linguaggio gustativo che manipola la materialità degli ingredienti, la loro incorporazione, presentazione e uso per esprimere una identità e mantenere una memoria. A questo riguardo almeno due sono le tendenze o atteggiamenti.
Tradizione in cucina
Secondo un primo modo di intendere, tradizione è la trasmissione di un certo modo di saper fare la cucina appreso nella cucina stessa, di famiglia, di trattoria o ristorante, e dal repertorio di esperienze gustative talora tradotte in taccuini, quaderni familiari o ricettari, ma sempre soggetti a trasformazioni. Tradizioni sono le ricette della mamma o della nonna, ma anche i piatti di locali celebri del passato.
Secondo un altro modo d’intendere, la tradizione gastronomica sarebbe un meccanismo espressivo che si nutre di formule convenzionali con la possibilità, anzi la necessità, di mettere allo scoperto, attualizzandolo di continuo, il nucleo gustativo adeguandolo ai cambiamenti di gusto, di taluni contenuti e di uso. Tradizione divengono gli gnocchi di patata quando dall’America arriva questo nuovo vegetale, e sempre tradizione divengono le paste ripiene quando da contorno a carni divengono un primo piatto, o i citati pasticci di tortellini.
La tradizione va vista non soltanto in un ristretto tempo di due o tre generazioni e in una memoria individuale – la cucina della mamma o della nonna o di un mitico ristorante soprattutto se comparso – ma come un deposito identitario di una memoria culturale di lungo periodo e di ampio respiro. In cucina e gastronomia, come in altre arti, la tradizione non è un sepolcro da conservare e venerare, ma un luogo dal quale far risorgere una nuova vita nella quale accogliere il presente e inglobare e perpetuare una memoria culturale.
Tradizioni ieri e oggi
In entrambi i modi d’intendere l’innovazione, questa è l’ingrediente essenziale per tenere viva la tradizione. Inoltre, tradizione e innovazione non sono solo problemi di oggi, ma di sempre. Oggi però la ricerca gastronomica è più intensa e le innovazioni sono più violente perché siamo in un momento di forte cambiamento, come furono quelli del passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale e barocca, o da quest’ultima alla cucina borghese ora in disfacimento. L’arte gastronomica contemporanea, forte della disponibilità di nuove conoscenze e soprattutto di nuovi strumenti, nella sua ricerca spesso reinterpreta e rilancia formule gustative e visive, sperimentazioni stilistiche, strategie compositive e condizioni di uso evocandole da un lontano vicino o remoto, ma anche da contaminazioni o imitazioni da altre cucine, vicine o lontane. Queste contaminazioni sono a volte espressamente citate – come il Raviolo aperto di Gualtiero Marchesi – altre volte manipolate o occultate per eclissarne l’origine – come il presente ritorno delle zuppe della nonna citate anche come asiatiche o viceversa.
Un’innovazione gastronomica è possibile per l’uso delle nuove attrezzature arrivate in una cucina sempre più di precisione. L’innovazione diviene inoltre necessaria per il cambiamento della qualità degli alimenti e la disponibilità di nuovi, come per esempio è avvenuto nella cucina del pesce dove vi è stata la drastica riduzione, se non quasi completa scomparsa, di quello d’acqua dolce di grande tradizione sostituito dalla sempre maggiore disponibilità di quello di mare, un tempo ridotto a poche specie e spesso solo secco o salato.
Altrettanto importanti sono i rapporti di scambio e di contaminazioni con cucine e gastronomie di altre culture, fenomeno non nuovo – basta pensare al ruolo delle cucine arabe e iberiche nella formazione delle cucine tradizionali dell’Italia meridionale e centrale e delle cucine francesi e austriache in quelle dell’Italia settentrionale – ma oggi straordinariamente più intensi e soprattutto veloci.
Innovazioni un nuovo vocabolario
Che i rapporti tra tradizione e innovazioni gastronomiche non siano oggi facili è documentato dal ricco vocabolario con il quale i cuochi oggi si rapportano con le fonti tradizionali: oltre che di interpretazione oggi si parla di allusione, appropriazione, citazione, confronto, influenza, ispirazione, parafrasi, prelievo, prestito, ripresa, alla moda di e così via. Questa proliferazione di termini, con la sua vasta gamma di sfumature, nasconde la difficoltà di ammettere un principio unificante che possa collocare la gastronomia moderna in una più precisa posizione nell’evoluzione della cucina, e cioè nella tradizione gastronomica.
Una situazione per altro molto importante per la cucina che in Italia, bisogna riconoscere, sta passando da una cucina delle regioni italiane a una cucina italiana, con l’intermediazione della sempre più importante presenza e intermediazione culturale di una gastronomia industriale.
Anche i più espliciti riusi di formule gastronomiche consacrate acquistano, a una diagnosi ravvicinata, qualche cosa di sfuggente, ma al tempo stesso testimoniano la vitalità del modello tradizionale, come è il caso di molte paste ripiene nelle quali si nota un grande fermento inventivo del quale l’Italia si sta rivelando un laboratorio gastronomico di riferimento mondiale. Un esame dei diversi campi e settori dell’arte gastronomica – dai cibi alle bevande, dai piatti salati ai dolci, da quelli caldi ai freddi e via dicendo – nonostante le grandi diversità di componenti, tecniche di produzione e usi, mette in evidenza la presenza di un unico spazio storico. In questo spazio, l’arte gastronomica del passato, in Italia oltretutto molto diversificata per un forte passato regionale, ancora viva è una memoria sociale che si fa agente di innovazione e tensioni del nostro tempo, non solo ripercorrendo antiche mappe e sentieri, ma anche antiche e indimenticabili impronte che si collegano alle nostre terre, suoli, coltivazioni e allevamenti, che stanno anche alla base di paesaggi gastronomici.
Innovazione e sperimentazione
Il settore alimentare si stima sia quello nel quale vi è la maggiore quantità e diversità di sperimentazione, ma di questa solo una piccola percentuale diviene innovazione, della quale solo una altrettanto minima percentuale ha la possibilità di divenire tradizione, in un processo che non cancella, anzi valorizza il passato, stabilendo un ponte di cultura gustativa tra un passato e la costruzione di un futuro. Come valutare allora le innovazioni che soprattutto nei tempi recenti stanno invadendo la cucina e la gastronomia?
Non è certamente un caso che mai come oggi, in una cultura avida di novità solo pochi decenni fa inimmaginabili, rimane sempre una tenace e ostinata presenza di un passato riscoperto e soprattutto valorizzato. Oggi nessuno vuole dimenticare, e soprattutto abbandonare, i monumenti del passato, abbattendo le cattedrali medievali e barocche o mettendo in cantina Raffaello o Leonardo perdendo il godimento di una loro visione, come forse avrebbe voluto fare il Futurismo. Ma accanto a questi monumenti culturali è necessario imparare a conoscere l’arte architettonica e visiva del tempo, arrivando a visitare le mostre non in diligenza, ma con un’Alta Velocità. Allo stesso modo nessuno deve abbandonare i piatti della tradizione che hanno reso celebre l’Italia, ma al tempo stesso accanto a questi monumenti gastronomici bisogna imparare a conoscere il procedere di un’evoluzione gastronomica che non è di oggi, ma ha antiche radici, soprattutto partecipando a una critica gastronomica necessaria per sceverare il buono dal meno buono e dal falso, come certamente avvenuto anche nel passato. Una critica gastronomica che non può basarsi solo sul personale giudizio del “mi piace o non mi piace”. Se oggi abbiamo in Italia per esempio tanti tipi di pasta è perché sono stati inventati e sperimentati, e solo quelli attualmente presenti hanno superato la selezione critica eseguita da coloro che ci hanno preceduto.
Formaggi tra tradizione e innovazione
I formaggi sono figli di un’innovazione nella conservazione del latte e di una lunga serie d’innovazioni divenute tradizioni passate di generazione in generazione, e ancor più oggi la loro produzione deve tener conto dell’evoluzione tecnologica, delle esigenze di mercato e degli stili di vita e ritmi della società che cambia. Nel giro di pochi decenni e con il maggiore impiego di macchinari vi è stata la sostituzione degli utensili in legno con quelli in alluminio, plastica e acciaio inossidabile perché poco igienici ma ancora presenti nelle piccole strutture artigianali. Contemporaneamente, le stalle sono cambiate, come cambiata è l’alimentazione degli animali che producono quantità sempre maggiori di latte influenzando molto le tradizioni casearie. Profondamente cambiato è il fattore umano perché, con la crescente automatizzazione, diminuisce l’occupazione e si rischia di perdere la maestria dei casari del passato, la passione che solo le mani delle persone sanno imprimere ai prodotti e il passaggio della tradizione alle nuove generazioni. Se le innovazioni nella produzione sono senz’altro positive per la competitività nel mercato che richiede formaggi con caratteristiche igieniche e di sicurezza assolute, e una qualità del prodotto costante, bisogna stare attenti a non perdere quanto contenuto in una tradizione millenaria e quel tocco artigianale, pieno di conoscenza, che possiede tutti gli aromi della tradizione.
Tradizione e innovazione oggi
Se da una parte i formaggi hanno una forte connotazione tradizionale, non manca un’altrettanto marcata spinta d’innovazione, in un contesto di mercato che si prevede in crescita sul fronte produttivo e su quello dei consumi e con l’attuale pandemia che ha accelerato alcune tendenze da tempo in atto. Nel settore formaggi, per i prodotti senza lattosio, funzionali e ricchi di gusto, si prevede un’ulteriore espansione e la sfida dell’industria è rispondere in maniera proattiva alla richiesta di servizio, garantendo una shelf life prolungata capace al tempo stesso di mantenere le caratteristiche proprie di un prodotto fresco. Al tempo stesso sono necessarie innovazioni per rispondere alle richieste per una filiera sostenibile che ottimizzi le risorse senza generare sprechi e, nel mondo dei formaggi, l’innovazione si sta anche indirizzando verso soluzioni di confezionamento intelligenti e a basso impatto ambientale.
Stiamo vivendo un periodo che costringe a stare in casa e quindi favorisce le meditazioni sui cibi e sui riti di passaggio d’anno. In Italia oggi convivono tre generazioni di italiani trentenni, sessantenni e novantenni con diversi stili di vita e alimentari, in presenza anche di circa il 9% di stranieri che in buona parte si stanno italianizzando, come la mamma della leggenda che prepara il cuscus ai tortellini. Per questo è inevitabile che in Italia vi sia chi pende più per una solida difesa delle tradizioni del passato e chi è interessato alle innovazioni. Da qui la possibilità, anzi la certezza che sulle tavole italiane di Natale e Capodanno vi saranno i monumenti gastronomici tradizionali della cucina italiana e tra questi i formaggi in tutte le loro declinazioni di uso in cucina e in tavola, ma non mancheranno le innovazioni gastronomiche, per accontentare tradizione e innovazione, come è giusto che sia.
Indispensabile è però che soprattutto ora si apra e si sviluppi un dibattito sull’inevitabile evoluzione della cucina italiana.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti ed originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia ed in particolare all’antropologia alimentare e danche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e 50 libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.