Bracciano (RM) domina l’omonimo lago dal lato sud-ovest con il suo bellissimo Castello Orsini Odescalchi, un pentagono di cinque torri dalle quali la vista sulle acque del lago è mozzafiato. La vita intorno al castello è vivace, soprattutto la sera ed in particolare durante la stagione estiva. Si esce per una passeggiata nel borgo, fatta di vie strette, gatti e angoli incantevoli, per una bevuta lungo la via verso il Belvedere della Sentinella (altro punto dove la vista sul lago è qualcosa di magnifico), per una buona cena in piazza Mazzini, sotto al Castello (atmosfera magica!) e, dal 2019, per un gelato artigianale da Picchio. È proprio qui che ci vogliamo fermare, per raccontare la storia di chi il gelato lo fa ogni giorno.
La storia di Gianluca Patrizi mi piace particolarmente perché è una di quelle persone coraggiose che ad un certo punto della loro vita decidono di cambiare le cose e di sfidare non solo i pregiudizi, i luoghi comuni e le difficoltà del mondo imprenditoriale, ma anche se stessi. È il 13 aprile 2019 il giorno di apertura ufficiale della gelateria Picchio apre a Bracciano, e se questa data può sembrare un inizio, in realtà è un passo più avanti dell’inizio. A 17 anni, Gianluca compra la sua prima macchina per fare gelato in casa: è una Gaggia, e con questa inizia a fare gelato in modo estemporaneo. Nel tempo, con la moglie Silvia Olivieri inizia a viaggiare ed a cercare gelaterie, seguendo i consigli delle guide e curiosando nel mondo legato al cibo, in particolare delle buone produzioni alimentari. Nel 2014, Gianluca segue un corso di un giorno tenuto da un famoso gelatiere romano per produrre gelati a casa: qui inizia a capire che può personalizzare le ricette. Gli spunti sono moltissimi, tanti da far partire un meccanismo (a macchia d’olio, come lo definisce Silvia) che lo porta a studiare ed approfondire tutto ciò che riguarda il mondo del gelato. Il passo successivo è il corso da gelatiere professionale, proprio nel momento in cui inizia questo processo di cambiamento di vita. “Per 25 anni, Gianluca ha lavorato in una società di consulenza informatica per il mondo della finanza. Il suo era un ruolo interessante perché coordinava più gruppi di lavoro di assistenza alle banche per tutta una serie di operazioni di borsa… quindi arrivavano telefonate notturne da parte delle banche clienti perché magari erano saltate transazioni di borsa con il resto del mondo” ci racconta Silvia, che è una carica di entusiasmo unica. “Arrivato alla soglia dei cinquant’anni ha deciso che forse era il momento di agire: dopo aver conosciuto un altro gelatiere che ora è un punto di riferimento importante per lo scambio di informazioni, ha iniziato il percorso di formazione, nel frattempo ha dato le dimissioni e, dopo il lungo periodo di preavviso previsto, è uscito ed ha provato per una settimana a lavorare in gelateria. Da quel momento in poi, ha deciso che era ora di aprire una gelateria tutta sua”. Dalla decisione al momento di apertura ufficiale della gelateria Picchio sono passati quattordici mesi, interamente dedicati al business plan e ad allestire il tutto.
La premessa di Gianluca è essenziale per capire la sua idea di artigianalità. La gelateria picchio non si chiama artigianale perché in Italia non esiste una legge che definisca il termine “gelato artigianale”: questo lascia ampio spazio sul mercato per cui chiunque può facilmente fare gelato e definirlo artigianale. Come avevamo anticipato nell’articolo di sicurezza alimentare, succede che laboratori che utilizzano semipreparati per gelateria definiscano il loro gelato artigianale e, dunque, il consumatore non risulta realmente tutelato, a meno che non conosca e sia pienamente consapevole di quello che sta per consumare. In ogni caso, questo non significa che i gelati preparati in questo modo non siano di qualità o siano meno buoni rispetto a un gelato fatto con le attenzioni che Gianluca presta ogni giorno al suo prodotto: “Per me gelato artigianale è quello che si fa partendo da una materia prima di base, che è zucchero, anche acqua, poi noce, nocciola, pistacchio… ma il risultato è un gelato vero. Sta a noi consumatori conoscere cosa si sta mangiando, perché per lo più il gelato è prodotto industriale, fatto con semilavorati e basi pronte. Per me, fare un gelato artigianale vuol dire preparare tutti gli ingredienti: se voglio proporre un gusto caramello, dovrò preparare anche il caramello. Ogni cosa che si trova qui da noi è fatta così. Purtroppo, la fetta di gelaterie che propone un gelato di questo tipo è piccola, ma per fortuna sta rinascendo: io mi sono inserito in questa rinascita come “giovane gelatiere””.
Per rispettare fedelmente questa scelta, gran parte del lavoro è dedicato alla ricerca degli ingredienti. Ogni cosa è selezionata con estrema attenzione, prediligendo piccoli produttori locali. Quando è la filiera stessa a non consentirlo (si pensi alla selezione del cacao e del cioccolato: sarebbe bello poter disporre di coltivazioni di cacao nazionali), Gianluca si concentra su intermediari che siano in grado di dare un prodotto di qualità, con profumi e sapori non piatti ed anche attenti sul profilo sociale. Un esempio è JoyFlor srl dal quale la gelateria acquista i derivati del cacao. La ricerca impone anche attenzione alla stagionalità dei prodotti: il gusto fragola lo troviamo solo nel periodo estivo, quando la nostra agricoltura è nel momento giusto per consentire a questi deliziosi frutti di essere raccolti. E così via. Come ci dice Gianluca, è una fatica enorme produrre gelato in questo modo perché ci sono ingredienti difficili da trovare sul mercato, come succede per le arachidi o per le noci: “Il fornitore è centrale nella nostra produzione e noi lo mettiamo sempre in evidenza quando facciamo comunicazione sulla lavagna dei gusti. Lavorando in questo modo è chiaro che c’è molta variabilità nel gusto del prodotto artigianale, che non è mai uguale. Un esempio è il nostro gusto caramello salato: non è mai uguale da un giorno all’altro proprio perché il caramello lo produco io, ma questa è l’artigianalità del prodotto! Ciò non vuol dire che sia bello solo così, ma per me l’artigiano lavora così”. Il risultato che Gianluca ottiene nel suo laboratorio ha un valore aggiunto perché ogni gelato è personalizzato.
Un dettaglio della produzione di Picchio ci sta a cuore, ovvero la scelta dei fornitori di latte (e panna). Nella gelateria Picchio non si usa latte crudo: è una scelta di sicurezza alimentare. Il laboratorio non dispone di attrezzature per la pastorizzazione tecnologica del latte, sebbene un trattamento simile si possa avere nel pastorizzatore per le miscele da mantecare. Gianluca vuole un latte pastorizzato perfettamente per una questione di sicurezza alimentare e ha scelto un fornitore laziale. Purtroppo non si tratta di piccoli produttori perché questi non sono attrezzati per la pastorizzazione, pertanto si affida ad un distributore che lavora latte laziale.
Quanti gusti ha proposto Picchio fino ad oggi e quale è il più particolare? Centocinquanta sono i gusti che la gelateria ha proposto al pubblico. La fantasia non manca e, come dice lui, l’artigiano può fare qualsiasi gusto, purché sia edibile. Il gelato deve essere equilibrato ed accettato da parte dei clienti, anche se le occasioni per proporre gusti particolari non mancano: ad esempio, in questi giorni è stato proposto il gusto peperone, mentre l’anno scorso un curiosissimo burro ed alici, servito con pane di segale prodotto in laboratorio. Quest’anno è stato creato il gusto mediterraneo, composto da un pesto di mandorle, pistacchio basilico ed olio con i profumi tipici del nostro amato bacino. Libertà all’utilizzo del basilico, così come i gusti che ricordano i cocktail (Bellini con pesca e Prosecco è un esempio), ma anche i gusti delle ricorrenze (a Pasqua la proposta è il gusto con Colomba, Panettone o Pandoro e Prosecco per Natale) e quelli che ricordano chiaramente dolci e dessert (uno per tutti, il gusto Sacher, con confettura di albicocche preparata in laboratorio). E poi ci sono i gusti studiati appositamente per i ristoranti della zona, come quello destinato alla Trattoria del Castello di Erika e Giancarlo: un particolarissimo gelato con tè affumicato. Quella di Erika e Giancarlo è un’altra bella storia, ma direi che portarsi sul campo e concedersi una bella cena sia una soluzione giusta e di amor proprio. “Abbiamo proposto cose al di fuori dei gusti soliti: la clientela all’inizio era un po’ sorpresa, poi ha capito quale era la nostra filosofia e che il gelatiere, come chi sta in cucina, può inventarsi di tutto!”, ha commentato Gianluca.
Dal 2019 ad oggi, la soddisfazione per Gianluca e Silvia è tanta, per diversi motivi: primo fra tutti, lavorare su Bracciano era una scommessa, e Gianluca sembra particolarmente contento per aver sfatato alcuni falsi miti: “Vivo a Bracciano da tanti anni ed i luoghi comuni sono molti. Se te li scrolli dalla testa riesci a farcela. Un luogo comune è dire che Bracciano è una piazza difficile: assolutamente no! Bracciano è una piazza come un’altra, se lavori bene, in modo costante, il cliente è in grado di riconoscere i tuoi sforzi”. Un cliente in particolare ha dato parecchie soddisfazioni alla gelateria Picchio: i bambini. I bambini sono schietti e senza mezzi termini, esprimono chiaramente ciò che gli piace e non. Poi la scelta di non usare vetrine a vista ma pozzetti (per un gelato così instabile, perché contiene solamente un neutro molto naturale – farina di carrube – è fondamentale che la matrice sia immersa nel freddo, al buio per tutto il periodo di esposizione, fino al consumo) avrebbe potuto, a detta di alcuni, non favorire i bambini come clienti. Anche senza colori vivaci, anche senza vetrina, i bambini assaggiano il gelato di Picchio, e lo apprezzano. Il gelato, poi, può essere pretesto educativo, e lo dimostra il progetto fatto con i bambini di due classi di 2° elementare di Bracciano, tema la stagionalità. E così gli alunni hanno potuto fare il gelato, proprio nel laboratorio di Picchio, e capire cosa significa stagionalità attraverso un percorso multidisciplinare ben progettato (chapeau anche alle insegnanti che hanno ideato e realizzato questo percorso).
Infine, il periodo di quarantena di marzo ed aprile è stato per Gianluca e Silvia un’esperienza, oltre che commerciale, anche sociale. Hanno chiuso qualche giorno prima del primo DPCM, dandosi il tempo di organizzare la logistica delle consegne a domicilio. Da lì, tutto ha preso il via: oltre ad essere una tra le poche attività commerciali attive, la gelateria è diventata una sorta di presidio sociale. È Silvia che ci racconta questa parte: “Siamo stati custodi di emozioni, sentimenti, paure… preparavano il gelato per famiglie separate e lontane, che cercavano di stare vicine con un po’ di gelato”, e Gianluca aggiunge: “Lo abbiamo fatto sì perché siamo un’attività commerciale, ma c’è anche un altro motivo: il gelato è alimento a tutti gli effetti. Posso farci pranzo, cena, posso alimentare una persona inappetente e malata… se il gelato è fatto bene, è un alimento completo, e lo mangio anche con più soddisfazione!”.
Essere artigiani è un lavoro faticoso: va fatto con amore e dedizione, affinché nulla sia lasciato al caso. Se passate in piazza sotto al Castello, affacciatevi da Picchio. Ma attenzione: un gusto tira l’altro, e ad arrivare a centocinquanta ci vuole poco.
Nella serie di articoli per il topic del mese “Gelato artigianale e agricolo” abbiamo pubblicato anche un interessante approfondimento su soluzioni di business per quando si decide di produrre gelato con il latte prodotto nella propria azienda. Leggi l’articolo disponibile qui.
Ringraziamo “Gelateria Picchio” per averci concesso l’utilizzo dell’immagine in evidenza.