Formaggi dai mille nomi
Sterminata è la varietà dei formaggi, ognuno con il suo nome. Talvolta un formaggio ha addirittura più nomi, come lo stracchino detto anche crescenza, con cambiamenti che variano nel tempo e con nomi che sono abbandonati e dimenticati, ma che è piacevole ricordare e anche riscoprire. Il formaggio a lunga stagionatura ottenuto da latte bovino e che da quasi mille anni è prodotto nella Pianura Padana, oltre a essere stato denominato dal luogo di origine (Lodigiano, Piacentino, Parmigiano, Reggiano) o di commercializzazione (Milanese), era anche chiamato Grana per i tipici granellini presenti nel suo impasto, o semplicemente Forma, un termine parte della parola formaggio. Questo formaggio però, come altri, aveva anche molte altre denominazioni che ne specificavano caratteri anche di valore qualitativo.
Ritmi stagionali e denominazioni dei formaggi grana
Dalla più lontana antichità fino all’ultimo dopoguerra le attività agricole sono stagionali: le vacche partoriscono in primavera quando vi è il risveglio della natura e gli erbai iniziano a produrre erba buona e abbondante, le bovine ben alimentate producono quindi molto latte che può essere trasformato in formaggio. Per questo nella Pianura Padana i caseifici iniziano la loro attività e producono il formaggio “grana” secondo l’andamento stagionale, ovvero dalla primavera all’autunno, e nello specifico da San Giuseppe (19 marzo) alla Commemorazione dei Defunti o Festa dei Morti (2 novembre) o San Martino (11 novembre), quando poca o quasi assente diviene la produzione di latte. Terminata la stagione agraria vi è anche il cambio di proprietà dei poderi, spostamento dei mezzadri ecc. e questi cambiamenti sono detti “fare San Martino”. In particolare, fino al 1984 il Parmigiano Reggiano è unicamente quello prodotto tra il 1° aprile e l’11 novembre, date che di fatto aprono e chiudono l’annata agraria.
Durante i mesi i foraggi cambiano di qualità e di conseguenza cambia anche il formaggio e la sua denominazione. Nel passato il grana più pregiato, dal tipico colore giallo che gli deriva dalle infiorescenze dei foraggi, era quello dei primi mesi, denominato maggengo o formaggio di testa (aprile-giugno). Seguiva l’ancor buono formaggio l’agostano (luglio-agosto), mentre il formaggio tardivo o di coda o terzarolo (settembre-novembre) di colore sempre più chiaro e prodotto in autunno chiudeva il periodo produttivo. A partire dagli anni sessanta del secolo scorso, con il miglioramento delle stalle e dell’alimentazione degli animali e con la progressiva riduzione, per poi arrivare alla scomparsa, del parto stagionale, vi è una produzione di latte anche invernale e i caseifici iniziano a produrre un formaggio fra il 12 novembre e il 31 marzo che per il periodo di produzione è detto Vernengo. Nell’area del Parmigiano Reggiano questo formaggio è chiamato Vernengo di Zona Tipica, un termine che specifica la produzione invernale, in contrapposizione a quella primaverile di maggengo, che peraltro nei campi è anche il nome del primo sfalcio d’erba dell’annata. Il vernengo è differente dal maggengo perché prodotto in un periodo in cui le vacche si alimentano esclusivamente con fieno secco che rende il latte, e quindi anche il formaggio, particolarmente bianco e con una percentuale di materia grassa superiore, tale da permettere stagionature più lunghe. Con il continuo miglioramento della produzione, e soprattutto della conservazione dei foraggi, sfumano le diversità dei formaggi prodotti nei diversi mesi e per questo, ad esempio, nel 1984 avviene in Italia una piccola rivoluzione casearia: il Parmigiano Reggiano diventa unico e sparisce dal mercato il vernengo, nome oggi dimenticato come le altre denominazioni stagionali.
Formaggio maggengo dal colore giallo
Un carattere particolare dei formaggi primaverili (maggengo o di testa) è il colore giallo che negli altri periodi dell’anno poteva essere ottenuto con l’aggiunta di zafferano, una pratica già in uso al tempo degli antichi Romani.
L’aggiunta di zafferano durante la produzione è una pratica tradizionale nella produzione di molti formaggi, come i grana di un tempo (oggi non più). Questa pratica è ancora in uso nella produzione di diversi formaggi tra i quali il Formaggio allo Zafferano (formaggio di latte di mucca e di pecora con infuso di zafferano che gli conferisce un retrogusto leggermente saporito) e il Piacentino Ennese DOP (in siciliano piacintinu ennìsi). Quest’ultimo formaggio siciliano è prodotto con latte di pecora e caratterizzato dall’aggiunta di zafferano e di grani di pepe nero che gli conferiscono una inconfondibile colorazione giallo-arancione e un sapore spiccato e lievemente piccante. Ignota è l’origine del nome Piacentino di questo formaggio, anche se alcuni la fanno derivare da piacente nel senso di “gustoso, piccante” e altri da “piangentino”, ossia formaggio che piange e che ha la lacrima, senza tuttavia dimenticare che nel passato il Formaggio Grana Piacentino (di Piacenza) era prodotto con l’aggiunta di zafferano.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.