Pandemia da coronavirus e alimentazione
La pandemia da coronavirus che ha investito il mondo intero e modificato gli stili di vita degli italiani interessa anche l’alimentazione. In questo contesto è interessante rilevare come tra gli alimenti che sono più largamente acquistati vi siano quelli che hanno una maggiore tradizionalità o che sono destinati a essere trasformati dalla cucina familiare che sta vivendo un inaspettato periodo di successo, peraltro tipico di tutti i periodi difficili. Vi è ora da chiedersi se si tratta di una condizione che scomparirà con il ritorno a condizioni di una anche relativa normalità o se invece il futuro sarà diverso, e con quali conseguenze sui prodotti caseari. Indubbiamente fare previsioni, soprattutto economiche, è il modo migliore per sbagliare, ma in una certa misura per cercare d’immaginare un possibile futuro, e soprattutto dirigerlo, un aiuto può venire dall’antropologia, scienza ardimentosa che studia e considera i comportamenti umani nelle diverse condizioni sociali.
In condizioni di paura, e soprattutto d’insicurezza, l’antropologia insegna a considerare i consumi alimentari anche come un sensibile termometro dell’inconscio individuale e collettivo. In modo particolare vi sono alimenti, come i formaggi, il cui possesso e uso, al di fuori del semplice soddisfacimento nutrizionale, sono un istintivo e importante rimedio a condizioni di incertezze e insicurezza. Significativo è l’antico proverbio presente in diverse regioni che dice: “A far la barba (o a lavarsi i piedi) si sta bene un giorno, a prender moglie si sta bene un mese, ad ammazzare il maiale (con i suoi salumi) si sta bene un anno”. Lo stesso si può dire per i formaggi che con la loro media e lunga conservazione possono dare cibo per uno e più anni.
Italiani consumatori di formaggi più che di latte
Il comparto lattiero-caseario italiano ha un fatturato annuo di oltre 16 miliardi di Euro, circa il 12% di tutta l’industria alimentare, con una crescita negli ultimi cinque anni del 10%, contro il 6% dell’industria alimentare nel suo complesso, e con un export che fra il 2014 e il 2019 è cresciuto del 42% (da due miliardi e mezzo a tre miliardi e mezzo di Euro). Il consumo pro-capite di latte fresco, che storicamente era intorno ai cinquanta litri all’anno, negli ultimi cinque anni ha registrato un calo del 25-30%: oggi in media un italiano beve poco più di 40 litri di latte, circa 115 millilitri al giorno, ben al di sotto dei 375 millilitri (tre bicchieri) consigliati. Al tempo stesso, l’italiano mangia in media ben 23 chilogrammi di formaggio, un primato che si contende con francesi e olandesi. I motivi di questa preminenza sono la lunga tradizione casearia italiana, la grande varietà (si calcola che i formaggi italiani superino il numero di 600), l’alta qualità e i loro numerosissimi usi in cucina. Il fenomeno di meno latte e più formaggi si correla ad altri fenomeni simili, come quello di meno pane e più prodotti da forno (fette biscottate, cracker, biscotti salati ecc.) o meno vino e più liquori, in una generale tendenza di un passaggio dal prodotto semplice al prodotto alimentare trasformato. Questa tendenza, per il latte, la si vede anche nella crescita delle vendite di latte UHT biologico (+32,8%), latte fresco biologico (+9,5%) e latte ad alta digeribilità (+9,4%).
Formaggi alimenti rassicuranti
Tutti gli alimenti devono essere sicuri, e cioè non avere caratteristiche negative per la salute umana nelle normali condizioni d’uso, ma vi sono alimenti che sono rassicuranti e cioè capaci di suscitare nei consumatori sentimenti e pensieri di sicurezza, anche come espressione di tradizioni e di imprinting alimentari individuali ma soprattutto collettivi. Acquistare cibo, possederlo e ancora più trasformarlo in piatti identitari sviluppa fiducia e tranquillità – si dice anche che a pancia piena si ragiona meglio – così si spiega il ritorno al pane e a quello fatto con le proprie mani e la particolare propensione a una cucina cucinata, e non semplice assemblaggio e riscaldamento di cibi preconfezionati. In modo analogo, diviene più chiaro perché gli alimenti più richiesti nei periodi difficili sono quelli con particolari caratteri rassicuranti.
Tra gli alimenti dotati di un potere rassicurante vi sono quelli dell’infanzia, come il latte e i dolci, il pane e quelli che fanno riferimento alle tradizioni e ai territori d’origine, come i formaggi DOP e IGP italiani, e i formaggi di marche che nel corso dei decenni hanno acquistato la fiducia degli italiani. È così comprensibile come, in controtendenza con il crollo generale dei consumi nel marzo 2020, vi sia stato un aumento della spesa alimentare e come (analisi Coldiretti su dati Ismea) l’aumento delle vendite abbia fatto segnare incrementi del +20% per latte e derivati. A spostare i consumi alimentari è stata anche la chiusura forzata di bar, trattorie e della ristorazione nel suo complesso, per cui si può dire che vi è stato un ritorno al pane e formaggio, entrambi cibi rassicuranti.
Formaggio e nuovi stili di vita
Passata la fase acuta della pandemia si deve pensare che per un più o meno lungo periodo di tempo la congiuntura economica cambierà le abitudini di spesa delle famiglie, non solo per le ragioni legate all’incertezza sul futuro e al calo del reddito disponibile, ma anche a seguito di un ripensamento più generale nelle scelte di consumo. Le crisi sono sempre occasione di rinnovamenti e anche questa volta sarà necessario considerare la necessità di uno stile di vita e di alimentazione più sostenibile, senza dimenticare il ruolo che hanno gli alimenti rassicuranti dei quali l’agroindustria italiana è una grande produttrice. In alimentazione avranno spazio gli alimenti più essenziali e rassicuranti, scartando il superfluo e privilegiando ciò che è indispensabile o che assicura benessere, salute e rassicura. Prevedibile è un ritorno alle preparazioni fatte in casa, con una riduzione delle merendine industriali a favore del tradizionale pane e formaggio, e con una buona tenuta, se non espansione, dei prodotti DOP, IGP, tipici e con attenzione all’origine geografica. Non bisogna infatti sottovalutare che nel periodo pre-crisi i consumatori italiani erano attenti all’origine geografica degli alimenti nell’88% dei casi, superati solo dai greci (90%), mentre gli spagnoli si fermano al 66%, i tedeschi al 74%, i francesi al 75% e gli inglesi al 52%. Nel futuro, il comparto agroindustriale italiano, che a livello mondiale è già in testa nelle produzioni a denominazione d’origine, tra cui quelle casearie, e considerando il potere rassicurante delle sue produzioni, ha tutte le possibilità di mantenere e anche sviluppare questo primato.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.