Alimenti, da stagionali a destagionalizzati

Un tempo, la produzione di alimenti vegetali e di origine animale era stagionale e il loro consumo era ben marcato da ben precisi elementi astronomici solari, e in particolare dai due solstizi e dai due equinozi. Sulle tavole vi era il tempo dell’agnello o dei galletti di primo canto, del formaggio marzolino, delle uova pasquali, delle fragole, delle pesche estive, degli asparagi e di tanti altri alimenti, e quindi anche dei piatti stagionali. La vita degli animali seguiva i ritmi stagionali: le mucche, pecore e capre partorivano all’inizio della primavera, quando per loro e per i giovani nati vi era una disponibilità alimentare. Durante l’inverno il latte era quindi scarso o quasi assente mentre diveniva abbondante in primavera e in estate. Per questo nella pianura padana i caseifici aprivano per San Giuseppe (19 marzo) e chiudevano per la Commemorazione dei Defunti (2 novembre). Anche la qualità del latte e dei formaggi era stagionale, perché dipendeva dai foraggi o dai pascoli che alimentavano gli animali e variava secondo le stagioni. Il formaggio primaverile, soprattutto di marzo, era diverso da quello estivo o autunnale. Odiernamente la produzione agricola è sempre più destagionalizzata, anche con l’uso di serre o di tecniche idroponiche, e lo stesso vale per allevamenti, grazie ai programmi d’illuminazione, alimentazione ecc. Gli animali sono infatti nutriti in modo uniforme tutto l’anno con foraggi essiccati mentre i parti avvengono in ogni mese con una produzione del latte uniforme per quantità e qualità. Per questo ora i caseifici sono aperti tutto l’anno, con una produzione di formaggi destagionalizzata.

Stagioni e alimentazione

Nel passato la vita umana, prevalentemente rurale, era marcata dalle stagioni e vi era un’alimentazione stagionale che oggi nella vita urbana va sempre più rapidamente attenuandosi, fin quasi a scomparire, anche perché l’intensità dei commerci permette di superare la stagionalità delle presenze alimentari. Nel passato i servi del Principe, dotati di una borsa piena di denari e di un cavallo veloce, in ogni stagione portavano sulla sua tavola cibi freschi, alimenti esotici e tutte le primizie, che potevano essere conservate nelle ghiacciaie di cui erano dotati i loro palazzi, mentre il popolo era obbligato a mangiare secondo i ritmi stagionali ed al più utilizzare alimenti conservati con il sale. Oggi siamo tutti come i signori del passato, anzi in condizioni nettamente migliori e quasi completamente svincolati dai ritmi stagionali. Le mucche producono il latte e le galline depongono le uova tutto l’anno e gli alimenti che si trovano sugli scaffali dei supermercati non seguono il ritmo delle stagioni. Sono inoltre scomparse le primizie ed ogni alimento vegetale è disponibile per tutti e per tutto l’anno a basso prezzo. Gli alimenti surgelati permettono di superare ogni barriera di spazio e di tempo, con un’altissima efficienza di conservazione d’ogni loro caratteristica. Questo avviene anche per i formaggi: se un tempo il formaggio parmigiano era soltanto primaverile, estivo e autunnale, e in seguito si arrivò a produrre un formaggio invernale denominato vernengo, l’attuale Parmigiano Reggiano è unico per tutto l’anno, senza distinzioni stagionali. Allo stesso modo, nel passato vi era un formaggio di pecora che si faceva in primavera, soprattutto nel mese di marzo, denominato marzolino, come diceva anche il proverbio “cacio di marzo e ricotta di maggio”, che oggi è prodotto tutto l’anno.

Marzolino: da formaggio pasquale a formaggio destagionalizzato

Il marzolino è un formaggio toscano di antiche origini pastorali, che si possono far risalire ad allevamenti ovini, e in minore misura caprini, del tempo degli Etruschi e poi dei Romani, che di secolo in secolo è arrivato fino ai giorni nostri. Con la primavera arrivavano i parti delle pecore e delle capre e la nascita di agnelli e capretti: mentre le femmine erano mantenute per l’allevamento, gran parte dei giovani maschi, non necessari per la riproduzione, era macellata, portando alla nascita del rito primaverile dell’agnello nel pranzo di Pasqua. Un rituale antichissimo di millenni considerato propizio alla fertilità del gregge e che, quasi per prefigurare una risurrezione dell’agnello, non doveva comportare la rottura delle ossa.

Come altri formaggi, il marzolino era una produzione tipicamente primaverile pronta per essere mangiata fresca sulle tavole di Pasqua (da qui la denominazione che richiama la sua stagionalità). In primavera i pascoli risorgono e sono ricchi di erbe aromatiche e di fiori; il latte e il formaggio sono di conseguenza ricchi d’aromi e di sapori. In natura si trova anche il fiore del carciofo selvatico, che un tempo era utilizzato per cagliare il latte e produrre il formaggio marzolino. Oggi anche il marzolino si è destagionalizzato ed è prodotto durante tutto l’anno, pur mantenendo una quota di tradizionalità e artigianalità utilizzando latte ovino proveniente da animali alimentati con le erbe tipiche dei pascoli della zona di produzione che conferiscono un sapore unico alla materia prima. Odiernamente, pochi usano ancora il caglio ricavato dal fiore del carciofo selvatico, che è stato sostituito dal caglio di vitello. Se il marzolino tradizionale era preparato con latte crudo, oggi è in gran parte ottenuto con latte ovino pastorizzato e non manca chi aggiunge piccole quantità di latte vaccino.

Senza alcun dubbio il formaggio a latte crudo, rispetto a quello ottenuto da latte pastorizzato, mantiene gli aromi e i profumi delle erbe dei prati su cui pascolano le greggi, nonché la naturale flora microbica del latte che interviene nella maturazione del formaggio conferendogli i suoi particolari aromi. Dopo una stagionatura che varia da pochi giorni fino a sei mesi, un buon marzolino tradizionale ha una pasta di aroma fragrante, colore bianco tendente al paglierino e struttura compatta, leggermente granulosa; la crosta, con il prolungarsi della stagionatura, è sottile e di un colore bianco che tende al rossiccio per il pomodoro spalmato sulla forma; il sapore, pieno e sapido, tende leggermente al piccante nel formaggio più stagionato; la forma, dal peso compreso tra il mezzo chilogrammo a un chilogrammo e mezzo, è ovale, tonda o cilindrica, a seconda del luogo di produzione, con uno scalzo compreso tra i 9 e i 13 centimetri e un diametro tra i 15 e i 21 centimetri.

Formaggio e non solo agnello sulle tavole pasquali in un’alimentazione stagionale

Vale ancora il concetto di un’alimentazione stagionale, e in particolare primaverile? Un tempo l’alimentazione primaverile si correlava anche all’inizio dei lavori dei campi e dell’edilizia e la mano d’opera riceveva come anticipo di pagamento abbondanti quantità di lardo salato; una cucina che non riguardava i cittadini i quali preferivano altri cibi, tra cui i formaggi che con la primavera iniziavano ad uscire dai caseifici. Oggi sappiamo che l’alimentazione deve essere equilibrata per quanto riguarda la quantità d’energia (calorie), in rapporto al proprio peso reale ed a quello che si vuole raggiungere.

La primavera è la stagione ideale per normalizzare il proprio peso e soprattutto per ridurre eventuali eccedenti depositi di grassi accumulati durante l’inverno. In questa stagione, soprattutto se si vuole migliorare l’aspetto fisico, dobbiamo sfruttare le preziose caratteristiche nutrizionali di una grande varietà di alimenti. Molto utili sono i vegetali ricchi di fibra alimentare che permettono di assumere in modo equilibrato vitamine, sali minerali di tipo organico, importanti fattori nutrizionali quali i caroteni e fattori antiossidanti, capaci di contrastare i dannosi radicali liberi. Questi stessi composti, ma in particolare i caroteni, sono inoltre particolarmente importanti per proteggere la pelle sempre più esposta alle radiazioni solari, riducendone gli effetti dannosi e favorendo al tempo stesso la sempre gradita abbronzatura. Importanti sono le carni magre, ad iniziare da quelle degli agnelli e capretti, o le proteine d’alta qualità dell’uovo e del latte e suoi derivati, tra cui i formaggi del periodo come il marzolino, nella giusta misura con la pasta ed il pane, ricuperando le antichissime tradizioni della tavola.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.