Astinenza dalla carne
Durante la Quaresima e considerando le vigilie, i cattolici per circa centoquaranta giorni l’anno si dovevano astenere dalle carni. Almeno in teoria, per i cristiani non dovrebbero esistere cibi permessi e proibiti (salvo le carni di animali sacrificati agli dei e di animali soffocati e quindi morti), tutti i cibi sono uguali e le restrizioni alimentari dovrebbero essere disposte solo per penitenza. Nel corso dei secoli, in rapporto a condizioni sociali e ambientali, e nelle diverse forme di cristianesimo, sono però comparse restrizioni alimentari al fine di fare penitenza e per agevolare lo spirito a mantenersi casto compare la penitenza della carne, un cibo ritenuto favorire la lussuria. Per questo nell’VIII secolo Carlo Magno in un editto infligge la pena di morte a chi, disobbedendo ai precetti della Chiesa, mangia carne nei giorni proibiti.
Durante il Medioevo, i giorni proibiti e di penitenza sono tutti i venerdì e i giorni di vigilia e di Quaresima. Le penitenze alimentari consistono nel non consumare latte, formaggio e uova, mentre per la carne la penitenza è più rigorosa e comprende anche il sabato. Con la Controriforma e il Concilio di Trento (1545 – 1563) le regole alimentari diventano più severe, con una serie di precetti che riguardano il mangiar di magro, l’astinenza e i digiuni. Di conseguenza la cucina di magro, detta anche di precetto, diviene una sorta di viatico per l’anima, affina le tecniche culinarie e i cibi divengono puri e beatificanti, con una sempre netta distinzione tra carne proibita e pesce permesso. La carne è il cibo per eccellenza, privilegio delle classi abbienti, e se i medici sostengono che sia il cibo in assoluto più nutriente, gli ecclesiastici dicono che la carne nutre la carne, con chiari riferimenti sessuali, in quanto cibo riscaldante e quindi stimolatore di impulsi erotici. Il pesce invece non solo è permesso ma favorito, essendo il cibo per il quale Cristo compie il miracolo della pesca miracolosa, lo moltiplica con un altro miracolo e lo distribuisce alle folle che ascoltano la sua parola. E’ inoltre il cibo che mangia sulla riva del lago di Tiberiade e che diviene il suo simbolo. Infatti, la parola greca ichthýs (pesce) è un acronimo usato dai primi cristiani per indicare Gesù Cristo e per questo motivo il simbolo del pesce è molto comune nelle catacombe di Roma.
Carne, pesce e formaggio nell’arca di Noè
Con l’istituzione delle regole alimentari il cristianesimo romano ha la necessità di fare delle precisazioni e di definire che cos’è la carne, distinguendola dal pesce. Per fare questo fa ricorso all’arca di Noè: certamente Noè e la sua famiglia durante il diluvio e nel lungo periodo di permanenza nell’arca non mangiano gli animali che hanno salvato per ripopolare la terra e quindi questi animali sono “carne”, mentre possono cibarsi degli animali che sono fuori dall’arca e che quindi sono “pesce”. Tra i pesci sono compresi anche i delfini, le balene, le folaghe e altri uccelli acquatici, e le lumache. Per questo nei paesi europei settentrionali dalla balena si estrae il lardo di quaresima e a fine milleottocento Pellegrino Artusi cita la folaga come uccello-pesce, mentre i monaci dell’abbazia di Pomposa durante la quaresima si nutrono di anitre migratrici catturate nelle valli coperte di acque e quindi fuori dall’arca. Ovviamente, Noè e la sua famiglia possono alimentarsi con il latte e i formaggi ottenuti dalla coppia di mucche, pecore e capre imbarcate sull’arca. L’astinenza dalle carni al termine del periodo invernale, che coincide con quello della quaresima e che termina con l’equinozio primaverile della Pasqua, ha anche il ruolo di preservare gli animali domestici (mucche, scrofe, galline ecc.) dalla fame delle popolazioni e salvarli per una loro ripresa riproduttiva con l’arrivo della buona stagione.
Latticini e formaggi quaresimali
Nel Medioevo inizia un lento percorso di nobilitazione del formaggio come cibo di magro, sostitutivo della carne nei giorni di astinenza infrasettimanale, di vigilia e anche di quaresima (dal XIV-XV sec). Inoltre, durante il medioevo si iniziano a superare lentamente le perplessità suscitate dai misteriosi meccanismi della coagulazione e della fermentazione dei formaggi che avevano portato la Scuola Medica Salernitana a sentenziare che solo il formaggio mangiato a piccole dosi non fa male alla salute.
L’interdizione per la carne e la scarsità del pesce, soprattutto nei monasteri, sollecitano la fantasia e fanno nascere apprezzabili preparazioni a base di formaggio e verdure, che però rimangono tra gli alimenti umili associati a una cucina povera, al mondo contadino e dei pastori, disdegnati dai signori e dai potenti perché ritenuti cibi sostitutivi di quelli di pregio come le carni. I formaggi che sostituiscono le carni variano in relazione al periodo dell’anno. Durante la primavera e l’estate prevalgono i formaggi freschi, mentre durante l’autunno e soprattutto l’inverno i formaggi stagionati.
I formaggi dei monaci rispettosi delle regole religiose
La riabilitazione del formaggio per l’esigenza del regime alimentare di magro da parte dei monaci come sostituto delle carni nei giorni d’astinenza favorisce la nascita di diverse tipologie di questo prodotto. Iniziando dal XII secolo circa, dai monasteri cistercensi della pianura padana italiana vengono alla luce i formaggi grana come il Lodigiano, il Piacentino e il Parmigiano, dalla abbazia di Moggio Udinese il Montasio, e da quella di San Lorenzo di Capua la Mozzarella. Il formaggio stagionato, unitamente al pane, diviene inoltre il cibo dei pellegrini che si dirigono a Gerusalemme, Roma, Santiago e altre mete religiose, e questo non è solo un fenomeno italiano ma europeo, e dall’Alsazia ai Pirenei i pellegrini trovano ristoro nei monasteri con i pani e formaggi più diversi. Durante i periodi d’astinenza della carne, oltre ai formaggi anche il burro sostituisce i grassi animali, mentre le erbe aromatiche suppliscono le costose spezie. Quando durante l’inverno il latte è scarso compaiono suoi sostituti: dalla mandorla si ricava un ottimo succedaneo del latte, come suggerisce Maestro Martino nel Libro de Arte coquinaria (XV secolo) al punto da confezionare il butiro contrafacto in Quadragesima. In sintesi, il Medioevo rilancia l’immagine del formaggio, a dispetto delle indicazioni mediche, come sostituto delle carni durante i giorni d’astinenza imposti dalla religione cattolica e questo per merito dei più obbedenti alle regole religiose, i monaci dei monasteri.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.