Siamo in fase di chiusura del mese dedicato al burro, un prodotto che nel tempo è stato piuttosto criticato e che per noi di Ruminantia vale sempre la pena raccontare, in tutte le sue sfaccettature. Con questo articolo, ci soffermeremo sull’importanza della maturazione della crema prima del processo di burrificazione e sui difetti del burro, concentrandoci meglio sul denominatore comune: i microrganismi. Affronteremo anche i trattamenti diretti al controllo microbico, come la pastorizzazione.
In base alla materia prima (crema di latte) impiegata, possiamo distinguere le seguenti tipologie di burro:
- da centrifuga, ottenuto da creme ricavate per centrifugazione del latte. Il processo di centrifugazione del latte fresco separa la parte grassa da quella acquosa (possiamo infatti definire il latte come un’emulsione di globuli di grasso in acqua) in tempi ridotti, con una concentrazione in grasso del 35-40%. Dal punto di vista microbiologico, si tratta della crema “migliore”;
- da affioramento, ottenuto da creme separate sfruttando il processo spontaneo di affioramento dei globuli di grasso. Dal punto di vista microbiologico, si tratta di creme più contaminate perché il processo avviene a temperature superiori a quelle di refrigerazione allo scopo di favorire l’affioramento del grasso, e quindi in condizioni idonee alla crescita di microrganismi. Durante la risalita, i microrganismi aderiscono alla superficie del grasso che trascina con sé anche le spore; inoltre, lo sviluppo microbico comporta la produzione di molecole organiche (acidi) che rendono le creme acide, a differenza delle creme da centrifuga che sono dolci;
- di siero, ottenuto dalla scrematura del siero residuo della lavorazione dei formaggi. Il siero derivante dalla caseificazione contiene percentuali di grasso (0,2-1%) che giustificano il suo recupero mediante centrifugazione. Le caratteristiche di questo tipo di crema saranno determinate principalmente dal tipo di caseificazione e dalla storia del siero prima della sua scrematura. Anche in questo caso, abbiamo una crema acida.
Le condizioni e la durata della centrifugazione o dell’affioramento influenzano diversamente il comportamento dei microrganismi e la loro distribuzione tra fase magra e fase grassa. Scegliere l’affioramento, soprattutto nel caso della produzione di formaggi semigrassi, ha un fondamento nel fatto che la prematurazione biologica, che avviene per tempi lunghi, consente di migliorare l’attitudine casearia del latte, tuttavia a discapito della qualità microbiologica della crema e del burro da essa derivato.
Se pensiamo ai formaggi grana, c’è una fase di notevole importanza tecnologica, detta di maturazione casearia del latte, che intercorre tra la fine della mungitura e l’inizio della lavorazione in caldaia ed è distinta in due periodi differenti: il primo va dalla fine della mungitura alla consegna del latte in caseificio, mentre il secondo prevede che il latte venga distribuito in apposite vasche per favorire l’affioramento della crema (sosta o riposo, che dura 10-12 ore nel Parmigiano Reggiano DOP). Durante la sosta nelle vasche, si sovrappongono processi di crescita microbica, contemporanea riduzione della contaminazione microbica (soprattutto di riduzione dei batteri anticaseari) dovuta alla risalita dei batteri aderenti ai globuli di grasso e complesse modificazioni chimico-fisiche e biologiche del latte. La temperatura e il tempo di conservazione del latte alla stalla, le modalità di raccolta, la sua attitudine all’affioramento e l’altezza dello strato del latte nei contenitori (più è sottile e più è favorito l’affioramento) durante il riposo sono tutti elementi che concorrono a:
- la realizzazione del corretto rapporto grasso/caseina del latte in caldaia;
- l’ottenimento di una buona desporificazione;
- il miglioramento di reattività al caglio e capacità di spurgo della cagliata.
Prima di procedere alla burrificazione, la crema normalmente viene pastorizzata: l’obiettivo di questo processo è quello di inattivare gli enzimi responsabili dell’irrancidimento (lipasi), sia naturalmente presenti nella crema che derivanti dalla microflora, e distruggere i microrganismi patogeni che, se presenti in quantità elevate, possono contribuire al prodotto finito anche con off-flavours, impattando su gusto ed aroma. È dunque cruciale intervenire tempestivamente dopo la scrematura del latte per limitare i rischi di alterazione. La qualità igienica della crema sarà legata alla qualità igienica del latte intero dalla quale proviene: per questo motivo è opportuno che le operazioni svolte nella fase primaria, di trasporto e di preparazione alla trasformazione secondaria siano svolte con l’obiettivo di minimizzare rischi di contaminazione. Il trattamento di pastorizzazione della crema deve considerare il potenziale livello di contaminazione microbica, nonché l’eventualità che la crema sia acidificata (in questo caso si interviene con una disacidificazione preventiva, condotta per via chimica – piuttosto in disuso – con sostanze basiche oppure per via fisica, eseguendo ripetuti lavaggi in grado di rimuovere gli acidi organici prodotti da fermentazione). Nel caso di crema di buona qualità, le temperature vanno da 90° a 95° C per 15‐20 secondi; nel caso contrario la temperatura può essere portata a 105‐110° C.
La fase di maturazione della crema avviene per inoculo di colture starter. I batteri selezionati sono rappresentati da batteri lattici mesofili appartenenti alle specie Lactococcus lactis, cremoris, lactis var. diacetalis (omofermentanti) e Leuconostoc citrovorum e dextranicum (eterofermentanti), miscelati in proporzioni diverse a seconda della casa fornitrice. Generalmente, le proporzioni utilizzate sono del 50% dei due Leuconostoc, il 25% di Lactococcus lactis e il restante 25% delle altre due specie. L’inoculo porta allo sviluppo dell’aroma di burro (diacetile ed acetaldeide) e consente di raggiungere un’acidità ideale per la fase successiva di burrificazione. Quest’ultima è di fatto un’inversione di fasi, (nel burro la fase continua è rappresentata dal grasso mentre la fase dispersa è il plasma), che confina le goccioline di acqua negli interstizi tra le grandi porzioni di grasso e, di conseguenza, confina anche i microrganismi, ulteriormente allontanati da successive operazioni quali il lavaggio del burro con acqua e ghiaccio. Per questo operazioni, ricordiamo che è importante utilizzare, come sempre, acqua potabile, come definita dal D. Lgs. 2 febbraio 2001, n. 31 – “Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano”, modificato e integrato dal D. Lgs. 2 febbraio 2002, n. 27.
La maturazione della crema può essere distinta in fisica e biologica. La maturazione biologica è data dall’attività degli starter ed è finalizzata a permettere la corretta acidificazione grazie alla fermentazione lattica operata da colture di batteri lattici mesofili, selezionati sulla base della capacità acidificante e di utilizzazione dei citrati. La maturazione fisica ha invece la funzione principale di pilotare la cristallizzazione del grasso che determinerà la consistenza del burro. Complessivamente, il processo di maturazione dovrebbe poter seguire profili di temperatura ben definiti e finalizzati a stabilire un equilibrio tra le condizioni ideali alla crescita dei microrganismi acidificanti ed aromatizzanti e quella di indurre una cristallizzazione corretta del grasso. Per evitare il difetto di burro molle, che si verifica nel caso di creme con elevato contenuto di acidi grassi insaturi (creme bassofondenti), e conferire maggiore consistenza, va favorita la formazione nella crema di centri di cristallizzazione, che origineranno pochi cristalli di grandi dimensioni: in questo caso, si può raffreddare la crema a 19-20°C, dopo aver inoculato di un’elevata dose di starter (5%), mantenendola a tale temperatura per circa 5 ore o comunque fino al raggiungimento di 5.2 di pH, dopodiché la crema viene raffreddata a 6-8 °C, temperatura alla quale verrà burrificata. Nel caso di creme ricche in acidi grassi saturi (altofondenti), il burro tende ad avere una consistenza eccessivamente dura, dovuta al basso rapporto tra grasso liquido e cristallizzato. Per avere una consistenza più spalmabile, è necessario favorire la formazione di un grande numero di piccoli cristalli nella crema, raffreddandola rapidamente a circa 7-8 °C e rallentando così (o addirittura impedendo) la maturazione biologica.
Il burro finito contiene circa il 15% di acqua e l’81% di grasso e solitamente presenta un contenuto di carboidrati e proteine inferiore allo 0,5%. Sebbene non sia un prodotto altamente deperibile, ma comunque deperibile, è suscettibile all’attacco di microrganismi, in particolare da parte delle muffe. Il processo di trasformazione della crema a burro determina una riduzione del numero di tutti i microrganismi presenti, fino a raggiungere qualche centinaio di UFC/g nel burro salato. Quest’ultimo può contenere fin al 2% di sale che si concentrerà nelle gocce d’acqua (massimo 10%), rendendo il prodotto ancora più ostile nei confronti dei batteri alteranti.
I batteri causano due tipi principali di alterazioni nel burro: la prima, detta “odore di putrido”, è provocata dallo sviluppo in superficie di Pseudomonas putrefaciens, microrganismo che di norma si sviluppa a 4-7 °C, causando un’alterazione che diventa evidente dopo 7-10 giorni. L’odore caratteristico sembra dovuto alla liberazione di alcuni acidi organici. Lo stesso difetto, accompagnato dallo sviluppo di un aroma di mela, è anche causato da Chryseobacterium joostei. Il secondo tipo più frequente di alterazione del burro è l’irrancidimento, dovuto fondamentalmente all’idrolisi di grasso con la liberazione di acidi grassi liberi; questo difetto può essere causato anche da lipasi di origine non microbica. Il microrganismo responsabile di questo processo è Pseudomonas fragi, sebbene anche P. fluorescens sia stato in qualche occasione rinvenuto. Tra gli altri difetti del burro causati dai batteri, si riconosce l’aroma di malto, difetto causato dallo sviluppo di Lactococcus lactis var. maltigenes. Un odore sgradevole e ripugnante è stato descritto ed associato in relazione a Pseudomonas mephitica, mentre P. nigrifaciens è responsabile dell’annerimento del burro. Il burro inoltre è soggetto piuttosto frequentemente ad alterazioni di natura fungina da parte di specie appartenenti ai generi Cladosporium, Alternaria, Aspergillus, Mucor, Rhizopus, Penicillium e Geotricum, in particolar modo da G. candidum, microrganismi che possono svilupparsi anche visibilmente sulla superficie del burro, producendo colorazioni diverse a seconda del colore delle loro spore. Anche i lieviti, in particolare del genere Torula, sono implicati nei fenomeni di alterazione del colore di questo prodotto.
Leggi gli altri due articoli del mese tematico dedicato al burro:
- l’articolo tecnico: Burro o non burro: questo è il dilemma
- il case history: Storie di successo: Accademia Italiana del Latte incontra Caseificio Azzoni Azienda Agricola
Bibliografia
James J. Jay,Martin J. Loessner,David A. Golden, 2009. Microbiologia degli alimenti. Springer
CRPA, 2007. Conservazione e maturazione del latte per Parmigiano-Reggiano.
Germano Mucchetti, Erasmo Neviani, 2006. Microbiologia e tecnologia lattiero-casearia. Qualità e sicurezza. Tecniche nuove
Camera di Commercio di Cuneo. Burro e panna di vacca – Analisi per l’apertura del mercato telematico.