Le produzioni ovine e caprine ricoprono un ruolo marginale nell’economia agricola nazionale, rappresentando poco più dell’1% del valore della produzione agricola complessiva. La sopravvivenza degli allevamenti è tuttavia determinante per la sua funzione sociale e ambientale di mantenimento e presidio del territorio in aree in cui altrimenti non sarebbero possibili altre attività produttive. Con una forte concentrazione territoriale ed una diffusione al Centro-Sud della nazione, in alcune regioni la filiera ovicaprina riveste un ruolo rilevante nelle performance economiche: questo è vero per la Sardegna con un’incidenza pari a oltre il 18% sul valore totale dell’agricoltura regionale) e, anche se in misura minore, per la Toscana ed il Lazio (rispettivamente con una quota del 3% e del 2%). (Fonte: Ismea, 2018).
È proprio del Lazio che vogliamo parlare in questo articolo, concentrandoci su una delle aziende dell’Agro Romano che sta cercando di supportare, attraverso sinergie e condivisione, la filiera ovicaprina: si tratta della Formaggi Boccea, caseificio di Roma che guarda lungimirante al futuro senza dimenticare le proprie origini, con l’entusiasmo di chi desidera fare di meglio per il proprio territorio. Esempio concreto di questo carattere dinamico è la vicenda che vede Formaggi Boccea sui banchi dei tribunali a difendere il marchio d’impresa Cacio Romano, avviato qualche anno fa all’iter di registrazione come prodotto DOP. La vicenda è lunga e merita una piccola parentesi perché vede questa potenziale produzione di qualità, tutta laziale, in un confronto legale con un “colosso” delle produzioni agroalimentari DOP: il Consorzio del Pecorino Romano DOP. Emanuele Marella, amministratore della Formaggi Boccea, ci ha riassunto brevemente la vicenda, spiegandoci quali fossero le intenzioni della registrazione come DOP per il Cacio Romano, per poi raccontarci cosa è Formaggi Boccea oggi al di là di questo prodotto.
“Il marchio Cacio Romano è usato da oltre trent’anni: nel 1986 abbiamo provveduto a depositarlo. Come potete vedere, è antecedente al sistema europeo a tutela dei prodotti agroalimentari di qualità delle DOP e IGP, per il quale il primo regolamento risale al 1992. Nel 2016, con l’idea di registrare Caseus Romae come DOP, abbiamo messo a disposizione della regione Lazio il nostro marchio. Da Bruxelles ci è arrivata la segnalazione che, per Caseus Romae, non c’era documentazione storica sufficiente, mancando fatture con la dicitura Caseus Romae, pertanto si è deciso di procedere con l’iter di registrazione di Cacio Romano che, essendo lavorato e venduto da trent’anni dalla nostra azienda, aveva una sua storicità ed importanza. Nella trasformazione da Caseus Roma a Cacio Romano, il Consorzio del Pecorino Romano si è sentito minacciato per l’utilizzo del termine “romano”. Ci siamo quindi ritrovati nel mirino del Consorzio, prima con sequestro in azienda delle forme e sanzione amministrativa da parte del Nucleo Anticontraffazione peraltro costituito da Carabinieri sardi, intervento di per sé anomalo perché non era stato interpellato l’ICQRF a riguardo; poi, attraverso le vie legali” ci racconta Emanuele. “Il Cacio Romano non ha nulla a che fare con il Pecorino Romano, è un prodotto diverso: stiamo parlando di una forma di 3 kg di formaggio da taglio contro forme da 30 kg di prodotto principalmente da grattugia, e peraltro di qualcosa che è romano al 100% e non prodotto per la maggior parte in una regione diversa, come la Sardegna, che può tuttavia usare il termine “romano”. Il sequestro è avvenuto anche su un altro prodotto, il Rugantino Romano, per lo stesso motivo. Abbiamo avuto diversi danni perché il prodotto è stato sequestrato anche presso i nostri clienti. La nostra risposta è stata un ricorso al quale ICQRF ha fatto seguito dando ragione a noi e consentendo il dissequestro del formaggio. A quel punto, avevamo ragione su tutta la linea a livello amministrativo”. La vicenda non si conclude qui, perché il Consorzio del Pecorino Romano sposta la questione in sede civile, contestando nuovamente l’uso del termine “romano”. Nella prima sentenza, il Tribunale Civile di Roma dà ragione al Consorzio, annullando di fatto la registrazione del marchio Cacio Romano, ordinando il ritiro di tutte le forme dal mercato e la loro distruzione. “Grazie ai nostri avvocati, anche loro perplessi dalla sentenza, abbiamo subito richiesto la sospensiva della sentenza rapidamente concessa e fatto rapidamente ricorso alla Corte d’Appello, visto che non c’erano i presupposti per l’annullamento della registrazione. Finalmente, la Corte d’Appello ci conferma che la denominazione d’insieme “Cacio Romano” non crea confusione rispetto al prodotto “Pecorino Romano” ed imputa al Consorzio il pagamento delle spese del primo e del secondo caso.”
Secondo la Corte d’Appello, l’utilizzo della denominazione “cacio”, accompagnata dalla denominazione geografica “romano” – richiama la caciotta a pasta molle di latte anche vaccino e “non determina, per le diverse caratteristiche dei due prodotti alcun rischio di confusione con la denominazione “pecorino romano” che contraddistingue invece il noto formaggio di latte di pecora stagionato”. Inoltre, per i giudici della Corte d’Appello, non vi è alcuna similitudine fonetica e logica tra le parole pecorino e cacio, in quanto il primo individua chiaramente la categoria di prodotto ottenuta da latte di precisa specie, ovvero quello ovino, mentre cacio è una denominazione generica. Emanuele commenta così la vicenda: “È paradossale vedersi contestato l’uso del termine romano quando si produce un formaggio proprio nel comune di Roma, registrato come marchio addirittura prima del primo regolamento europeo sulle DOP. Purtroppo la questione del Pecorino Romano è stato sì un errore politico ma anche dell’industria laziale, perché negli anni ’50 vi erano 30/40 caseifici romani a produrlo: l’allargamento dell’areale è stato fatto per poter comprare e lavorare qui latte sardo, ma gli industriali non hanno pensato che anche in Sardegna si poteva fare il prodotto, soprattutto perché si tratta di una regione più competitiva per costi e capacità produttiva, ma anche per l’autonomia di cui gode. Con l’ultima sentenza abbiamo avuto ragione, ma per ora l’iter di registrazione è fermo, perché in realtà dovrebbe esserci l’audizione pubblica e conseguente invio alla Commissione europea, ma la questione potrebbe essere ribaltata in Corte di Cassazione da parte del Consorzio, per cui è tutto ancora bloccato. Tra tutte le parti che sono intervenute nella vicenda, forte è stato il supporto di Coldiretti, anche della Regione Lazio, sebbene avrebbe potuto dare forse un contributo maggiore“. Emanuele Marella, attuale presidente del Consorzio di tutela della Ricotta Romana DOP, ci sottolinea anche le potenziali sinergie che si sarebbero potute innescare tra le due DOP Laziali.
La Formaggi Boccea da sempre lavora per dare maggiore vigore alla filiera ovina laziale, a prescindere dalle vicende che la caratterizzano. La storia dell’azienda comincia nel 1973, come azienda agricola con un piccolo caseificio aziendale, dall’esperienza di allevatori della famiglia Marella. Data chiave, come anche per la questione Cacio Romano, è il 1986, quando l’azienda assume i tratti di società di capitale, iniziando così il suo percorso di 34 anni sul mercato romano con prodotti tipici da latte di pecora e capra. Oggi l’azienda conta 16 dipendenti più vari collaboratori esterni. Meritevole di menzione è senza dubbio la nuova linea di prodotti I Naturosi, che nasce dalla sensibilità verso la sostenibilità ambientale. Si tratta di prodotti dal contenuto salutistico importante, ottenuti anche da latte di capra oltre che ovino e vaccino, e che annoverano nella linea anche prodotti senza lattosio. Gli elementi fondamentali, che possiamo definire plus, di questa linea sono 5: l’uso di energia verde, l’assenza di conservanti abbinata all’uso di atmosfera modificata per l’estensione della shelf-life su prodotti deperibili come la ricotta fresca, il primo sale e le caciottine, la possibilità di fare prodotti senza lattosio e con latte di capra, fonte naturale di calcio.
Sicuramente, l’attenzione all’ambiente non può che essere un vanto per la famiglia Marella, così come lo sono lo sguardo positivo rivolto al futuro e il forte investimento sul capitale umano, puntando a preparare giovani dipendenti ad un lavoro costante e di competenza. Vediamo quindi in cosa consiste l’attenzione per l’ambiente:
- energia proveniente da biogas prodotto a partire dal siero, che viene sottoposto a processo di concentrazione, con recupero dell’acqua, prima di essere inviato al digestore;
- l’uso di un impianto ad osmosi per il trattamento delle acque ad uso alimentare;
- installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti delle strutture;
- risparmio energetico grazie alla presenza di inverter sui motori dell’impianto produttivo;
- utilizzo di illuminazione a LED;
- impianto di depurazione delle acque reflue;
- letti di essiccamento dei fanghi per la disidratazione e riduzione in volume.
La Formaggi Boccea ha investito in qualità, affidandosi a diverse certificazioni, tra le quali l’International Food Standard IFS, e puntando al km 0. I Marella, allevatori in origine, oggi acquistano latte da circa 50 allevatori ovini dell’agro romano. Per il futuro, la famiglia Marella sta lavorando ad un progetto volto alla realizzazione di una fattoria green per ospitare capre dalle quali ottenere latte 100% a km 0, che oggi in parte proviene anche da allevamenti spagnoli. L’allevamento, che Emanuele ci dice sarà pronto a fine 2020, verrà chiamato Fattoria i Naturosi, per la forte sinergia e affinità con la linea omonima.
Aziende come Formaggi Boccea, che credono molto al territorio nel quale si trovano e che hanno fiducia nel futuro, oltre che attente al tema ambientale ed alla creazione di occupazione lavorativa, sono quelle che più ci piacciono e che vorremmo si moltiplicassero liberamente. Nell’attesa che questo accada, Ruminantia raccoglie testimonianze e le porta con molta soddisfazione ai suoi lettori, affinché trovino la motivazione giusta per seguire le orme dei più virtuosi.
Se vuoi conoscere di più sull’azienda, ecco i contatti:
Formaggi Boccea
Sede Caseificio Via Locana, 97
(Loc. Via Boccea km 12) 00166 Roma
Tel : 06/61597283 – Fax: 06/61597728
Email : info@formaggiboccea.it
Clicca sull’immagine per scoprire la pagina Facebook dedicata alla linea I Naturosi