Origini formaggi grana
Nella pianura padana, lungo la direttrice che da Milano arriva a Piacenza e che da qui accanto alla Via Emilia arriva fino a Bologna, dopo l’Anno Mille una serie di Abbazie Cistercensi produce un formaggio vaccino di grandi dimensioni e a lunga stagionatura durante la quale compaiono delle precipitazioni di calcio in forma di granellini che portano alla denominazione di formaggio grana. Questi formaggi in Italia Settentrionale sono identificati dal luogo di provenienza (Formaggio Lodigiano, Piacentino, Parmigiano, Reggiano ecc.) mentre in talune città prevalgono altre denominazioni (a Reggio Emilia in formaggio grana era denominato Forma). Nel resto dell’Italia, e soprattutto all’estero, prevale la denominazione di Formaggio Parmigiano o Parmesan e talvolta, soprattutto in Francia, di Formaggio Milanese. Queste due ultime denominazioni (Parmigiano – Parmesan e Milanese) sono d’origine prevalentemente commerciale e non da collegare al luogo di produzione del formaggio. Da non dimenticare inoltre che gli emigrati italiani giunti nelle Americhe e anche in Australia hanno qui cercato di riprodurre i formaggi italiani, tra cui il quartirolo e soprattutto il formaggio grana dandogli denominazioni quali Parmigiano, Parmesan, Reggianito e altre. In tempi relativamente recenti, e con l’istituzione dei Consorzi di produzione del formaggio grana, sorgono le denominazioni protette di Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Trentingrana, e marche estere quali Gran Moravia e altre.
Denominazioni dei formaggi grana
Il formaggio ottenuto da solo latte bovino e con lunga stagionatura risale almeno al XIII secolo quando i monaci di Chiaravalle, come riferisce Besana, “salirono in fama di riformatori dell’agricoltura, perché dal 1150 al 1200 estesero l’irrigazione dei prati, allo scopo d’aumentare le vacche da latte”. È a quest’epoca che bisogna far risalire le origini del formaggio di latte bovino, a lunga stagionatura, definibile anche come grana.
Le diverse denominazioni del formaggio grana in relazione anche al luogo e alle tecniche di produzione fin da tempi lontani hanno portato a dispute, diatribe e contestazioni, che riguardano anche la qualità del prodotto, oggetto di diverse pubblicazioni e anche dell’interesse di linguisti come Angelo Stella (Stella A. – “Povere cene” di Lombardia – La Linguistica in Cucina – I nomi dei piatti tipici – Edizioni Unicopli, Milano, 2005) che tra le altre citazioni sulle diverse denominazioni locali del formaggio grana riporta quanto detto da Francesco de Lemene (F. de Lemene – Della discendenza e nobiltà de maccaroni – Modona, Soliani Stampatori Duc., 1690?), come segue:
Volle un giorno Formaggio scompagnarsi
Per qualche dì dal suo Buttur germano,
che gli venne desio d’immortalarsi
mandando il nome in clima anco lontano.
Andò in Parma a lo studio a dottorarsi,
ed a l’hora fu che fu detto Parmeggiano,
ma non è Parmeggiano poco o niente,
e (sangue d’un Boccal) chi ‘l dice mente.
Il nome del Parmigiano Reggiano
Come si chiama il Parmigiano Reggiano? Ohibò direbbe qualcuno, che domanda è questa? Si dimentica invece che il significato delle parole, soprattutto di quelle di uso comune, come i nomi dei cibi, cambia con la storia e la geografia e questo avviene anche per il formaggio di latte bovino a lunga stagionatura. Formaggio, cacio, formadio, forma, grana, granone e altre denominazioni, ma quale per quello che è stato detto Re dei Formaggi?
Formaggio, perché ottenuto da una cagliata di latte composta in una forma (l’attuale fascera, perché fascia la cagliata). Forma, che deriva dal greco formòs, indica il paniere di giunco ove era posta la cagliata, per essere separata dal siero ed asciugata. Il termine passò al latino e da qui all’italiano, dove compare per la prima volta nel 994 dell’era corrente, come formatico, da cui formaggio o semplicemente forma. Cacio, invece, é un termine che deriva dal latino caseus.
Di formaggi ve ne sono tanti quanti i luoghi di produzione, senza dimenticare le denominazioni che si rifanno ai modi di produzione e alle loro caratteristiche di commercializzazione.
Formaggio parmigiano lo troviamo a Firenze citato da Giovanni Boccaccio nel Decamerone (1354 circa), anche se prima a Genova si conoscevano i casei parmensi (1254) e nel 1159 nella pianura padana già si parlava di un formadio ritenuto suo antenato. Su come fossero questi formaggi sappiamo poco, ma il Boccaccio ci dice che era grattugiato, quindi era un formaggio stagionato, e ci fa intendere che era di alta qualità, perché si conveniva al Paese di Bengodi.
Formaggio parmigiano a Firenze e prima a Genova, e dopo anche a Bologna dove Annibale Caracci (1560 – 1609) raffigura chi vende formaggio parmigiano, che ha una forma larga e bassa, simile all’odierna fontina. Alla fine del milleseicento, tuttavia, alla corte del Duca Ranuccio Farnese, il suo cuoco Giovan Maria Dalli preferisce il formaggio lodigiano.
Qualità del parmigiano
Più che il nome, ci si deve anche chiedere qual era la qualità del parmigiano del passato. Non è facile saperlo, oltre quanto ci dicono le tradizioni spesso orali e talune immagini che sono state tramandate.
Il primo elemento da considerare è che la produzione era rigidamente stagionale. Dopo il periodo dei parti (febbraio – marzo) e l’allattamento dei vitelli, le mucche fornivano il latte che arrivava al casello. Il casello di solito apriva per San Giuseppe (19 marzo) e chiudeva in coincidenza delle Feste dei Morti (inizio novembre). Al di fuori dell’ora citato periodo, le mucche erano “asciutte”, cioè non producevano latte. La quantità, e soprattutto la qualità, del latte dipende dal tipo d’alimentazione ed il formaggio migliore era quello prodotto tra maggio e giugno (erba fresca e soprattutto fieno maggengo) quando le mucche erano nel pieno della lattazione ed il foraggio di massima qualità. La quantità di grasso del latte, e quindi del formaggio, era elevata, con abbondante presenza d’aromi, pigmenti e vitamine. Il formaggio maggengo si caratterizzava da un buon tenore di grasso, colore giallo, buon aroma e si conservava bene per uno, due ed anche tre anni. Fino a metà del secolo XX le forme di Parmigiano Reggiano erano trattate esternamente con grasso (burro) e nero fumo, per preservarle da danneggiamenti parassitari. Oggi il trattamento esterno è stato sostituito da sistemi di pulizia programmata.
Parmigiano denominazione commerciale
É opinione corrente che se il termine formaggio è ben consolidato, l’aggettivo geografico (parmigiano, piacentino, lodigiano e poi reggiano e via dicendo) sia prevalentemente commerciale e soprattutto usato fuori dal luogo di produzione. A Parma, Lodi, Reggio Emilia ecc. il formaggio locale non ha bisogno di denominazione di origine, che invece compare nelle altre città, come Bologna, Firenze, Milano, Parigi e altre. dove lo si acquista da provenienza esterna.
A Parma, Reggio Emilia e altre zone di produzione locale, il formaggio è il formaggio e basta, o al massimo è la forma, termine chiaramente derivato da formaggio. Al più si aggettiva come forma da grattugia, forma stravecchia e simili.
Nell’uso comune, soprattutto nel passato, non vi era soltanto il termine formaggio o forma, ma anche un altro termine: quello di grana.
Nei formaggi vaccini a lunga stagionatura e dove vi è una accentata scissione delle proteine con liberazione di aminoacidi, uno di questi, la tirosina, precipita unendosi al calcio di cui il formaggio è ricco. Compaiono così i tipici granelli che danno il nome di grana a questi formaggi (formaggio grana), testimoniando la loro lunga stagionatura di alta qualità. Grana, quindi, come pregio e non come fastidio o seccatura (Una mattinata piena di grane!).
Quando nel 1934 i produttori di formaggio di Parma e Reggio Emilia, seguiti poi da quelli di piccole parti di Mantova e Bologna, si riuniscono in Consorzio, scelgono la denominazione di Consorzio del Formaggio Parmigiano Reggiano, trascurando quella di grana, forse perché ritenuta equivoca o troppo popolare. Diversamente da questa scelta, in seguito, in altre aree italiane si costituiranno i Consorzi o si depositeranno denominazioni che fanno riferimento ai caratteristici granelli di ogni formaggio vaccino a lunga stagionatura, associando tuttavia il luogo di produzione: Grana Padano, Trentingrana, Granone Lodigiano.
Mentre il termine parmigiano e sue traduzioni come parmesan sono protette, il termine grana in sé non è protetto, e si presta anche a usi equivoci, come quelli usati per i formaggi Gran Kinara e Gran Moravia, dove Gran viene ufficialmente proposto come grande, ma evoca e strizza l’occhio a grana!
Tutti i formaggi vaccini di buona qualità e a lunga stagionatura hanno i granellini di tirosina e calcio e sono quindi grana, come sono anche formaggio o forma, ma ognuno ha le sue caratteristiche e tra tutti, per la sua qualità, il Parmigiano Reggiano è quello più grana di tutti.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.