Burro e malattie
Le linee guida dietetiche raccomandavano di evitare cibi ricchi di grassi saturi, tuttavia, prove crescenti stanno dimostrando i benefici cardiometabolici dei prodotti lattiero-caseari e dei grassi da latte. Fino a poco tempo fa il ruolo del burro, con il suo alto contenuto di grassi da latte saturi, nella mortalità e, in particolare, nelle malattie cardiovascolari e il diabete di tipo 2 era poco chiaro. La necessità di accurate ricerche deriva infatti dall’incertezza e dalle mutevoli opinioni sul ruolo del burro nelle malattie cardiovascolari, ed in parte anche dalle controversie sull’utilità di concentrarsi su macronutrienti isolati, come i grassi saturi, per determinare il rischio di malattie croniche. Prove crescenti indicano infatti la necessità di spostare l’attenzione e la ricerca dai singoli macronutrienti verso paradigmi alimentari complessi. In questo orientamento sono da situare le prove crescenti che supportano i potenziali benefici metabolici di alcuni prodotti lattiero-caseari, come lo yogurt e i formaggi, sul rischio di diabete di tipo 2, da correlare al grasso del latte.
Una revisione sistematica delle prove della relazione tra consumo di burro e salute a lungo termine è di considerevole importanza, sia per comprendere l’impatto del cibo sulla salute sia per informare medici e responsabili politici, considerando anche che negli Stati Uniti negli ultimi 40 anni vi è stato un considerevole aumento nel consumo di burro ma una diminuzione delle malattie cardiovascolari. Per questo motivo si sono rese necessarie indagini per stabilire l’effettivo ruolo del burro nelle principali malattie croniche con una revisione sistematica e una meta-analisi di potenziali studi osservazionali o studi clinici randomizzati che hanno esaminato il consumo di burro e la mortalità per tutte le cause, le malattie cardiovascolari, ictus e diabete di tipo 2. Importante è stata la ricerca di Laura Pimpin, Jason H. Y. Wu, Hila Haskelberg, Liana Del Gobbo, Dariush Mozaffarian (Is Butter Back? A Systematic Review and Meta-Analysis of Butter Consumption and Risk of Cardiovascular Disease, Diabetes, and Total Mortality – PLOS ONE, June 29, 2016) che hanno studiato e analizzato sistematicamente l’associazione del consumo di burro con la mortalità per tutte le cause, le malattie cardiovascolari e il diabete nelle popolazioni. Da questa revisione sistematica e meta-analisi risulta una relazione relativamente piccola o neutra tra il burro e le malattie considerate e la necessità di dare maggiore enfasi alle linee guida dietetiche sull’aumento o sulla riduzione del consumo di questo alimento, rispetto ad altre priorità dietetiche meglio stabilite, ma anche l’importanza di ulteriori indagini sulla salute e sugli effetti metabolici del burro e del grasso da latte.
Ci eravamo sbagliati quindi a criminalizzare il burro e a toglierlo dalla nostra dieta.
Gli italiani mangiano poco burro
Quasi nessun alimento è stato bandito come il burro dalle nostre tavole, quasi fosse un criminale colpevole dei peggiori omicidi. Oggi invece è riabilitato un suo corretto consumo e, nel quadro di una dieta equilibrata, non mancano pure gli elogi, confermando il vecchio e saggio detto che dice che, anche in alimentazione, quando hai un dubbio su qualche novità, pensa a cosa e come mangiava tua nonna e, se l’hai conosciuta, anche la tua bisnonna. Anche in cucina non di rado vale il principio che il progresso sta anche nel tornare all’antico.
Di molti grassi, e in particolare del burro, si sono detti ogni sorta di mali, senza considerare le quantità e le condizioni d’uso, mentre bisogna partire dal concetto che in una corretta nutrizione dal 30 al 33% delle calorie devono provenire da questi nutrienti. Anche per evitare un eccesso di cereali, diversi dei quali sono diabetogeni, in una dieta di 2000 – 2500 kcalorie, da 600 a 800 kcalorie devono derivare da grassi, pari a circa 66-90 grammi di grasso.
Anche per i grassi vale inoltre la regola che nessuno è perfetto (neppure l’olio vergine d’oliva!) e che in una saggia e corretta alimentazione è importante che ne siano presenti diversi tipi, senza eccedere in nessuno. Per questo oggi, cosa che fino a ieri sarebbe stata quasi impossibile da credere, c’è chi afferma che stiamo mangiando poco burro! Di fronte a un consumo annuo per italiano di circa 22 chilogrammi e mezzo di olii commestibili, dei quali 12 d’olio d’oliva, i consumi del burro sono tra i 2 e i 2,5 chilogrammi, pari a 5-7 grammi giornalieri. Considerando che in media il burro ha 7,17 kcalorie per grammo, il consumo medio giornaliero di burro apporta 36-50 kcalorie, un valore che contribuisce in misura molto limitata, se non irrisoria, nell’apporto di grassi in una corretta dieta equilibrata.
Bontà del burro
Molte sono le caratteristiche positive del burro, tra cui le sue attività antinfettive e anticancerogene, che derivano dalla composizione della frazione trigliceridica e della frazione dei componenti minori. Altri elementi del burro importanti per la salute sono le sfingomieline, l’acido butirrico, i tocoferoli, lo squalene, i pigmenti carotenoidi, gli steroli, le vitamine liposolubili (vitamina A o retinolo) e soprattutto l’acido linoleico coniugato. Gli isomeri coniugati dell’acido linoleico (c18:3, CLA) hanno dimostrato attività anticancerogena e sono attivi nel controllo di arteriosclerosi, diabete e obesità, svolgendo un’azione anticolesterolemica e di protezione dalle coronaropatie, con effetti positivi anche sulla formazione ossea e come antinfiammatori, in patologie come l’artrite reumatoide.
Fino a poco tempo fa parlare di burro evocava lo spettro del colesterolo, con un’immeritata penalizzazione di quest’alimento che ha contribuito a una contrazione dei suoi consumi. In realtà, un aspetto che molto spesso è omesso, è che il colesterolo presente nel burro è in diretto rapporto, nei soggetti sani, con il colesterolo HDL, più conosciuto come colesterolo buono. Inoltre, un elevato livello di colesterolo nel sangue è dovuto a un complesso di fattori, e la dieta contribuisce solo quando è molto squilibrata, mentre nella maggior parte dei casi sono importanti gli sregolamenti dei sistemi organici di produzione e di sintesi del colesterolo endogeno, che in media é prodotto in una quantità giornaliera che arriva a circa 2500 grammi nelle persone con un’alimentazione vegana.
Superata la falsa paura del colesterolo, senza entrare in una sterile e dannosa competizione tra i diversi grassi alimentari, bisogna ora ricuperare una loro armoniosa e simultanea presenza in una dieta varia ed equilibrata, nella quale il burro trova, o meglio ritrova, il suo giusto posto che fa anche riferimento alle migliori tradizioni della cucina, gastronomia e soprattutto pasticceria italiana.
Consumi del burro
Il consumo alimentare del burro non ha avuto il meritato sviluppo e si mantiene basso non a causa del suo prezzo (circa 5 Euro al kilogrammo nelle confezioni al dettaglio) ma perché è un alimento delicato, con brevi tempi di conservazione e che va consumato fresco. Per questo motivo, gran parte della pasticceria industriale e semindustriale ha sostituito il burro con altri grassi (grassi idrogenati e margarine), mentre solo la pasticceria artigianale continua giustamente a usarlo, come dovrebbero fare la cucina e la pasticceria casalinga.
Nel nostro Paese il burro è utilizzato come condimento o ingrediente e, in misura trascurabile, come vero e proprio alimento (per esempio il classico burro spalmato sul pane, come merenda o spuntino), mentre dovrebbe essere più usato nella cucina, considerando che 100 grammi di olio apportano 899 kcalorie mentre il burro ha un contenuto calorico inferiore del 16%, pari a circa 758 kcalorie per 100 grammi. Utilizzando 20 grammi di burro anziché 20 di olio si risparmiano pertanto 24 kcalorie. Il burro ha anche il vantaggio di essere facilmente dosabile, mentre si tende spesso a esagerare con le quantità di olio. Del tutto infondata è la convinzione secondo la quale l’olio è un alimento più leggero e meno calorico del burro, mentre è vero il contrario. Il burro ha un punto di fumo molto basso, per cui è bene utilizzarlo solo per cotture rapide e delicate, invece crudo o poco cotto ha un’ottima digeribilità.
Il burro è rimasto molto legato alle tipologie tradizionali di prodotto, con scarso grado d’innovazione. La sua presenza nelle famiglie si è stabilizzata intorno all’80% ed è massima al Nord e minima al Sud, con una frequenza di consumo abbastanza bassa (cinque, dieci acquisti sono la media annua), subendo una forte concorrenza mediatica da parte degli oli di oliva e di semi e, per motivi anche economici, della margarina, che sugli scaffali della distribuzione moderna ha un prezzo medio inferiore del 44% rispetto a quello del burro.
Da ultimo, bisogna riconoscere che i bassi consumi di burro sono principalmente il risultato del mutamento di stili di vita (diminuzione dei pasti preparati e consumati in casa) e di nuovi modelli alimentari (tendenze salutiste).
Produzione del burro
Purtroppo la produzione di burro italiano è insufficiente per i consumi, con un’importazione netta annua di circa 18000 tonnellate, perché l’Italia è notoriamente deficitaria nella produzione di latte bovino. Inoltre, il latte italiano è largamente usato per la produzione di formaggi di pregio, grassi o semigrassi, e l’industria lattiero-casearia italiana non considera il burro un prodotto primario e strategico, ma solo un completamento della loro produzione, che, oltretutto, subisce la già citata, forte concorrenza commerciale delle margarine.
Il burro, abbandonata la sua ingiusta e sbagliata demonizzazione, ha tutte le carte per tornare sulle nostre tavole assieme ad altri grassi alimentari di pregio, in una nuova e al tempo stesso antica alleanza con altri grassi, quando esistevano giorni di magro dove imperava l’olio e giorni di grasso dove regnavano il burro per i ricchi e il lardo per i poveri. Anche per il consumo del burro bisogna equilibrare e non demonizzare dunque, cercando di mantenere e ricreare una cultura alimentare ampia, e in questo modo proteggersi anche da alimenti, spesso scadenti, valorizzati da pubblicità fuorvianti.
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.