Gli animi si sono accessi una mattina di febbraio, quando la prima cisterna, carica di latte e diretta verso un’azienda casearia nel territorio di Villacidro è stata svuotata in strada sotto le pressioni al conducente fatte da due individui incappucciati. Motivo: un prezzo del latte pagato al litro veramente troppo basso per sostenere i costi di produzione, figuriamoci per avere un ricavo. Da lì, il fenomeno è partito diffondendosi rapidamente in tutta l’isola, inducendo gli allevatori ovini a versare il latte di raccolta per protesta, chi per strada, chi negli scarichi dei propri locali di stoccaggio del latte in attesa del giro di raccolta, suscitando la solidarietà di molti colleghi, allevatori ed agricoltori, sparsi in tutta Italia, e generando una caccia alle streghe ed ai responsabili molto intensa. Ed è tra le pressioni da parte di organizzazioni e sindacati agricoli e l’avvio di un’istruttoria nei confronti di produttori del Pecorino Romano DOP che l’attenzione si è focalizzata su un importante attore della filiera del Pecorino Romano DOP, ovvero il relativo Consorzio di Tutela, anch’esso coinvolto nell’istruttoria.
La situazione attuale è di apparente calma. A distanza di un paio di mesi, vale la pena chiedersi a quale punto si è arrivati, dopo l’accordo del 9 marzo scorso in cui è stato deciso il prezzo da corrispondere per febbraio (0,72 cent/L) e da marzo fino a fine campagna (0,74 cent/L), per il 2019. A novembre verrà calcolato il conguaglio sulla base dei prezzi medi ponderati del Pecorino Romano della Borsa di Milano per il periodo novembre 2018 – ottobre 2019. Ma il settore del latte ovino in Sardegna ha bisogno solo ed esclusivamente di una stabilizzazione del prezzo per fare solidi passi avanti in fatto di qualità e competitività?
Noi di Ruminantia abbiamo seguito la questione con solidarietà ed attenzione, cercando di capire le reali ragioni alla base del movimento di protesta. Le istituzioni hanno investito tempo nella faccenda. In Commissione XIII Agricoltura sono avvenute numerose audizioni con associazioni di categoria, Consorzi di Tutela, sindacati agricoli ed organizzazioni nei giorni immediatamente successivi alla protesta. Sono stati portati vari dati e numeri in Commissione, spesso contrastanti tra di loro, come anche evidenziato dai deputati nella sessione dedicata alla discussione in audizione.
Tra i vari interventi in Commissione Agricoltura, quello di Salvatore Palitta, presidente del Consorzio di Tutela del formaggio Pecorino Romano, merita una parentesi, anche per il suo inserimento nella tabella di marcia della Commissione, dopo le audizioni di altri attori di filiera e di organizzazioni e sindacati agricoli. Palitta ha portato all’attenzione della Commissione una panoramica della situazione di protesta e i numeri esatti della filiera DOP del Pecorino Romano. Oltre a dare un quadro preciso delle dimensioni e capacità reali della filiera, Palitta ha anche aperto un inciso su quelle che sono le funzioni dei Consorzi di tutela.
I compiti dei Consorzi di tutela sono definiti a livello normativo (fonte: MiPAAFT). I Consorzi nascono come associazioni volontarie, senza finalità lucrative e regolamentate dal Codice Civile, promosse dagli operatori economici coinvolti nelle singole filiere con il preciso ruolo di tutelare le produzioni agroalimentari DOP e IGP, prodotti inseriti in specifici regimi di qualità istituiti e regolamentati dalla normativa dell’UE. Ai Consorzi di tutela riconosciuti dal MiPAAFT sono attribuite funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e cura generale delle Indicazioni Geografiche.
Come racconta il presidente Palitta nell’audizione in Commissione, una recente attività di tutela del marchio è stata condotta dal Consorzio del Pecorino Romano DOP negli USA, un mercato speculativo in cui sono presenti diversi prodotti (soprattutto il grattugiato) che sono in grado di sostituire il Pecorino Romano e che spesso utilizzano illecitamente il marchio. È proprio in questo contesto che il Consorzio ha portato avanti una serrata battaglia legale a difesa del marchio d’origine Pecorino Romano. Negli USA, la produzione è attualmente in grado di coprire la richiesta del mercato fatta alla filiera lattiero-casearia nazionale. Si tratta però di prodotti industriali, ben lontani dal Pecorino che si configura come specialità ad identità geografica italiana.
Come filiera, quella del Pecorino Romano DOP, fortemente concentrata in Sardegna, risulta un sistema frammentato, con la cultura del “produrre, produrre, produrre”, dove i trasformatori generano più prodotto possibile per ritrovarsi poi con delle giacenze da immettere sul mercato rapidamente, per liberare gli ambienti di stoccaggio. In sostanza, tirare fuori il prodotto dalla cantina ma non impegnarsi per valorizzarlo. Questo è un handicap forte del sistema, caratterizzato da una follia collettiva di rincorsa del mercato che porta il prodotto ad un deprezzamento tale, dovuto alla necessità di liberarsene, da sconsigliare ai trasformatori stessi, tutte piccole e medie imprese, di rimanere sul mercato.
Per dare continuità alla “storia” delle proteste e ad una filiera in crisi, per la quale si sta portando avanti in parallelo l’iter legislativo del DL emergenze in campo agricolo, abbiamo voluto intervistare il presidente Salvatore Palitta, cercando di capire insieme a lui cosa andrebbe fatto, al di là del sostegno da parte dello Stato e degli accordi tra le parti, per portare la filiera ad un regime favorevole a tutti.
Presidente, vorremmo che questa chiacchierata fosse utile soprattutto ai produttori di latte, per un comparto efficiente e redditizio per tutti, soprattutto gli allevatori, lasciando stare i potenziali responsabili di questa situazione molto movimentata, che ha scosso gli animi di molti. Allo stato attuale, quale è la situazione da voi in Sardegna?
La situazione è come la abbiamo lasciata. Una parte di accordi c’è, e le aziende di trasformazione stanno rispettando quanto deciso per l’adeguamento dell’acconto del prezzo del latte, indicizzato sulla base dell’andamento del mercato. In questo momento la situazione stenta a smuoversi perché manca ancora l’intervento promesso da parte delle istituzioni, che si sono spese tantissimo ma con scarsi risultati. Cito ad esempio l’intervento programmato della Regione di vari milioni di euro, replicato anche a livello nazionale, che avrebbe dovuto avere effetto sul monte giacenze. Oltre a questo, siamo in attesa degli istituti di credito, anch’essi coinvolti negli interventi economici. È una situazione di stallo, in cui l’unica azione favorevole certa è stata quella del Consorzio per ritirare 20 mila quintali di Pecorino da destinare al progetto di valorizzazione del prodotto con la realizzazione del marchio riserva. L’operatività del progetto è ferma: dopo la segnalazione del Codacons ad AGCM, il Consorzio ha sospeso questo intervento di alleggerimento dell’offerta sul mercato per evitare di essere accusato di interferire sugli andamenti di mercato. Il punto è che se ogni cosa diventa oggetto di denuncia e discussione, è un problema poter andare avanti.
Dal punto di vista strutturale, più che di prezzo, cosa serve realmente agli allevatori, secondo lei? Pensa che serva più sopporto tecnico da parte di consulenti o figure affini?
Serve una ristrutturazione profonda del sistema. Io credo poco nell’intervento pubblico rispetto al mercato, questo perché la parte più forte devono sostenerla i produttori di latte. Non possono più agire autonomamente nella contrattazione del prezzo, e questo, del resto, vale anche per i trasformatori. Si tratta di 40 trasformatori in concorrenza, di dimensioni medio-piccole. Ognuno dovrà rimboccarsi le maniche, affrontando il sistema insieme. I produttori del latte dovranno affacciarsi sul mercato possibilmente in forma collettiva, e la stessa cosa dovrebbero fare i trasformatori. Gli elementi tecnici sono noti a tutti: quando il prodotto è in equilibrio ed ha valore aggiunto, il mercato dà risultati positivi, ma ogni volta che si va oltre in termini di produzione quantitativa (parlo del 15/20% in più), è chiaro che un’offerta frammentata accentua maggiormente la debolezza del sistema. È un mondo che ha bisogno di resettarsi su molti aspetti, ma c’è questo individualismo, insito nella natura della popolazione sarda, che difficilmente trova momenti di coesione. Sicuramente li hanno trovati i pastori sardi nel periodo di massima crisi, durante la protesta, ma stentano a trovarli nel momento della proposta.
Crede che il DL emergenze in campo agricolo, con le specifiche sulla tracciabilità e l’origine del latte, possa dare un’idea corretta degli scambi ed utilizzi di latte ovino, anche alla luce delle accuse riguardo ai prodotti provenienti dalla Romania?
Non c’è nulla di fondato sulla questione del falso Pecorino Romano prodotto in Romania. È un delitto che si poteva evitare, soprattutto perché ne hanno parlato alcune autorità nazionali. Si è trattato di un atteggiamento negativo e autolesionista, non c’è traccia di questo latte, e lo dice il Ministero della Salute che certifica e verifica i flussi in entrata e in uscita dei prodotti su territorio nazionale. Sono danni a carico di un prodotto con identità nazionale che arrivano da soggetti pubblici, e io non vedo quale possa essere il motivo di denigrare l’autenticità di questa DOP, riconosciuta dallo stesso governo. È un trovare il colpevole rispetto a qualcosa che non si è capito. Per quanto riguarda il decreto legge, penso sia positivo come intervento pubblico, in quanto consentirà il monitoraggio sulla produzione ed in particolare sulle giacenze che finora hanno avuto carattere di comunicazione volontaria. Con il decreto, finalmente c’è un obbligo di comunicare le produzioni esatte e relative giacenze. È importante perché dobbiamo avere una certezza sui numeri reali del sistema. Ciò che invece non è comprensibile è quello che alcuni parlamentari hanno tentato di fare, ovvero provare ad introdurre norme sulla rappresentanza all’interno dei Consorzi di tutela. Al momento, hanno abbandonato questa opzione.
Cosa è stato chiesto di fare al Consorzio del Pecorino Romano dal momento della protesta in poi?
Hanno chiesto di andare oltre le competenze e funzioni legalmente definite. Immediatamente dopo l’istruttoria, il Codacons ha fatto una segnalazione sulle attività del Consorzio all’AGCM, la quale ci ha comunicato di non andare oltre le competenze del Consorzio e di non ostacolare la libera concorrenza, condizionandola. Rispondo che noi, in quanto Consorzio, siamo limitati dai compiti affidati come da disposizioni ministeriali, perciò non possiamo far seguito alla richiesta che ci è pervenuta di occuparci del mercato del latte e dei formaggi. L’AGCM verifica se ci atteniamo o meno alle nostre competenze, perché di fatto è ciò che limita la libertà di impresa, ed è quello che ci chiedevano di fare dalle piazze. Il Consorzio non ha preso quella direzione: ciò che deve fare è tutelare la DOP, quindi il marchio collettivo, sui mercati.
In che modo i vari elementi a sostegno dei produttori agricoli dovranno interagire per migliorare nel futuro?
Qui in Sardegna il sistema dell’organizzazione agricola ha dimostrato tutta la sua fragilità. Gli allevatori nelle piazze hanno dimostrato una capacità di comunicazione rispetto alla protesta senza precedenti, e questo lo hanno fatto rifiutando le varie organizzazioni agricole. Si tratta di un’informazione molto importante, poiché denota che la rappresentanza sindacale non c’è e non viene riconosciuta da chi dovrebbe invece riconoscerla.