Equini produttori di latte 

Non solo i ruminanti producono latte, ma anche gli equini e l’uomo non ha mancato di trasformarlo in prodotti caseari: latti fermentati inebrianti per il latte di cavalla e formaggi per il latte d’asina. 

Fin dall’antichità, ma soprattutto nel Medioevo, la società umana è suddivisa tra bellatores, oratores e laboratores e cioè tra i signori combattenti a cavallo e che comandano, gli ecclesiastici che pregano e il popolo che lavora. Ai primi sono riservati i cavalli, agli ultimi gli asini e alla classe di mezzo i muli, ottenuti dall’incrocio tra cavalli e asini e che non producono latte. La diversa collocazione degli equini nella società umana determina anche il significato e il ruolo del loro latte e delle trasformazioni casearie. 

Latte di cavalla bevanda inebriante maschile 

Nell’ VIII secolo a. C., il poeta Esiodo nel suo poema Le opere e i giorni, cita il latte di giumenta come cibo quotidiano e Omero nell’Iliade scrive che i mungitori di cavalle si nutrono con il latte di questi animali. Si narra che il Kublai-Khan, sovrano della Mongolia, ogni sera beva il kumis ottenuto dalla fermentazione del latte di cavalla e che, per la produzione del latte destinato a lui e ai suoi figli, allevi un’intera mandria di cavalle bianche. Il kumiss o koumiss è una bevanda importante per i popoli delle steppe dell’Asia centrale, di origine ungaro-bulgara, turca e mongola: Bashkiri, Kalmys, Kazakh, Kirghiz, Mongoli, Uiguri e Yakuts. Questi popoli sono ghiotti di latte fermentato di cavalla perché una fermentazione non solo acida, ma anche alcolica, permette di avere una bevanda con concentrazione di alcol che varia dal quattro al sei per cento, simile quindi a quella della birra. Ancora oggi si stima che in Asia circa trenta milioni di persone consumino latte di cavalla, la quale, ogni anno, può produrre dai mille ai milleduecento litri di latte. A causa dei suoi continui spostamenti, poiché l’uomo guerriero ha difficile accesso ad altre bevande inebrianti derivate da vegetali coltivati, come la birra prodotta dai cereali o il vino dall’uva, inizia a prendere il via la trasformazione del latte di cavalla in bevanda alcolica con analogo effetto inebriante.

Latte d’asina elisir di bellezza femminile

Fin dall’antichità, il latte di asina è ritenuto simile al latte umano, adatto come sostituto del latte materno e ritenuto un rimedio contro varie patologie, soprattutto contro quelle della pelle. I Romani lo considerano una bevanda prelibata e Galeno, sostenitore delle sostanze naturali in medicina, prescrive cure con latte di asina. Il latte d’asina, per le sue caratteristiche cosmetiche, è particolarmente gradito dalle donne e, la regina d’Egitto Cleopatra è solita fare bagni nel latte d’asina per mantenere morbida la pelle. Le romane Poppea e Messalina, imitando Cleopatra, fanno bagni di giovinezza nel latte di asina che, Plinio il Vecchio ritiene renda la pelle più morbida e bianca. Anche nel Medioevo il latte di asina è considerato elisir di giovinezza e rimedio per la salute di malati, anziani e ricchi borghesi: Francesco I° di Francia lo usa contro l’affaticamento e lo stress. Nel XVIII secolo, in Francia, sono costruite molte stalle asinine, si sperimenta l’allattamento dei neonati direttamente alla mammella dell’asina e il latte d’asina è prescritto come farmaco a Madame de Pompadour. Nel XIX secolo, a Parigi e Londra, il latte d’asina è munto e venduto porta a porta e, verso la fine del secolo, in Germania, Austria e Svizzera, a seguito di sperimentazioni effettuate nelle Università di Basilea e di Magdeburgo, nascono centri di cura con il latte di asina. Una targa ricorda a Palermo la casa dove don Gaetano Vitale (1880–1952) ha prodotto il latte d’asina per le esigenze dei bambini bisognosi. 

Il latte di asina, sia per l’allattamento infantile che per la cosmesi, ha una chiara connotazione femminile. Oggi inoltre è considerato un alimento funzionale a basso contenuto di grassi, ricco di grassi polinsaturi soprattutto omega 3 e 6, integratore della dieta degli anziani, utilizzato contro l’invecchiamento della pelle per la sua capacità di favorirne l’idratazione stimolando l’attività dei fibroblasti e la produzione endogena del collagene. Per questo l’industria cosmetica lo utilizza per preparare saponi capaci di conferire maggiore lucentezza e morbidezza (Perna A., Intaglietta I., Simonetti A., Gambacorta E. – Donkey Milk for Manufacture of Novel Functional Fermented BeveragesJ Food Sci. 2015 Jun; 80(6): 1352-9). Tra le proteine funzionali rilevate nel latte d’asina si segnalano in particolare il lisozima e la lattoferrina, note per la loro attività antimicrobica. Il contenuto di lattoferrina del latte di asina è intermedio tra il valore riportato per il latte di vacca e quello più alto riportato per il latte materno. La lattoferrina inibisce la crescita di batteri ferro-dipendenti presenti nel tratto gastrointestinale. Il lisozima è presente in grandissime quantità: intorno a 1,0 mg/mL o 4 mg/mL, a seconda del metodo analitico utilizzato (chimico o microbiologico). Questa sostanza è presente anche nel latte umano (0,12 mg/mL), ma solo in tracce nel latte vaccino e caprino. Il lisozima nel latte d’asina è altamente termostabile, molto resistente agli acidi e alle proteasi, può svolgere inoltre, un ruolo positivo nella risposta immunitaria intestinale. L’attività del lisozima è intensa soprattutto contro i batteri Gram-positivi, promuove anche la crescita di una flora intestinale benefica e ha funzioni anti-infiammatorie. 

In Italia, dopo la stasi del dopoguerra nel 1990, nascono allevamenti asinini dedicati alla produzione di latte, alimento accolto dal mercato in modo positivo al punto da diventarne prodotto di nicchia. La produzione di latte d’asina potrebbe rappresentare, inoltre, una valida alternativa all’abbandono delle terre, diventando anche oggetto di trasformazione casearia

Formaggio di latte d’asina 

L’elevata disponibilità di latte d’asina ha portato alla sua trasformazione in formaggio, come quello che nel 2012 è stato presentato alla Fiera del Turismo di Belgrado, non troppo stagionato e prodotto in  Serbia, dov’è conosciuto come Pule. Esso è prodotto nella riserva naturale di Zasavica per opera di Slobodan Simic, direttore della riserva stessa. E’ forse il formaggio più caro al mondo, ma anche il più raro ed anche molto proteico. Per produrre una forma da un chilo servono ben venticinque litri di latte,  tutto quello che l’animale produce in due anni. Se il latte è valutato 40 euro al litro, il prezzo del formaggio arriva a 1000 euro al chilo. 

La produzione di un formaggio di latte d’asina in Italia avviene grazie alle ricerche di un tecnologo alimentare, Giuseppe Iannella, che individua il caglio più adatto a questa lavorazione. In seguito alla collaborazione tra Iannella e Davide Borghi Montebaducco a Quattro Castella, in provincia di Reggio Emilia viene prodotto il formaggio Asinino Reggiano, presentato a Expo 2015. Si tratta di un formaggio magro ottenuto da latte non pastorizzato, con gusto particolare e, a seconda del grado di stagionatura, si può avere nella tipologia a pasta tenera o semidura. Nell’azienda di Montebaducco vi sono ottocento asini che producono latte per l’alimentazione, principalmente dei neonati con problemi di intolleranza alimentare, e per una linea di cosmetici.

Recenti ricerche di Faccia e coll. (Faccia M., Gambacorta G., Martemucci G., Natrella G., D’Alessandro A. GTechnological attempts at producing cheese from donkey milkJ Dairy Res. – 2018 Jun 20:1-4) affrontano la possibilità di produrre il formaggio regolando opportunamente i parametri del caseificio, usando latte d’asina, da solo o misto a latte di capra e utilizzando caglio di vitello in diverse condizioni tecnologiche (pH, concentrazione di calcio solubile, quantità di caglio e temperatura di coagulazione). Così si ottiene una cagliata sufficientemente consistente in condizioni tecnologiche “estreme” e si può verificare come l’aggiunta di latte di capra migliori la coagulazione, sviluppando un protocollo di caseificazione per la produzione di formaggi freschi che la valutazione sensoriale dimostra essere accettabili anche per le loro caratteristiche aromatiche. 

Ovviamente il formaggio di latte d’asina non deve esse confuso con il formaggio di vacca nato sul Mònt d’Ás, nella Val d’Arzino, territorio della Pieve d’Asio dalla quale ha preso il nome, e cioè il formaggio Asìno caratterizzato da un gusto sapido che in Friuli definiscono salmistrà. Un formaggio antico che, nel 1659, lo storico Enrico Palladio definisce in latino: “Qui Asinum vocant ab Aso pago …”, e cioè “che chiamavano Asìno dal paese Asio…”, forse uno dei più antichi formaggi friulani. 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.