Clinical Nutrition 37 (2018) 712-718 dx.doi.org/10.1016/j.clnu.2017.02.022
0261-5614/© 2017 Elsevier Ltd and European Society for Clinical Nutrition and Metabolism. Tutti i diritti riservati.
Mohammad Talaei a, *, An Pan b, Jian-Min Yuan c, d, Woon-Puay Koh a, e, ** 
a Saw Swee Hock School of Public Health, National University of Singapore, Singapore  
b Department of Epidemiology and Biostatistics, MOE Key Lab of Environment and Health, School of Public Health, Tongji Medical College, Huazhong University of Science and Technology, Wuhan, Hubei, Cina 
c Division of Cancer Control and Population Sciences, University of Pittsburgh Cancer Institute, Pittsburgh, PA, USA 
d Department of Epidemiology, University of Pittsburgh Graduate School of Public Health, Pittsburgh, PA, USA 
e Duke-NUS Medical School Singapore, Singapore 
*Autore corrispondente. Fax: +65 6779 1489. 
**Autore corrispondente. Duke-NUS Graduate Medical School, Singapore. Fax: +65 6221 7372. 
Indirizzi e-mail: mohammad.talaei@u.nus.edu (M. Talaei), woonpuay.koh@duke-nus.edu.sg (W.-P. Koh). 
Informazioni sull’articolo: ricevuto il 4 Novembre 2016, accettato il 28 Febbraio 2017. 

 

Sommario

Introduzione

Materiali e Metodi

Discussione

Finanziamenti

Contributi degli autori

Conflitto di interessi

Ringraziamenti

Riferimenti

 

 

Parole chiave: prodotti lattiero-caseari, latte, calcio, diabete di tipo 2, studio prospettico di corte, cinese.

Abbreviazioni: BMI, indice di massa corporea; FFQ, questionario sulla frequenza alimentare; IQR, range dell’interquartile; TD2, diabete di tipo 2.

 

Sommario 

Contesto & obiettivi

gli effetti del consumo di latticini totali, di latte e di calcio sul rischio di diabete di tipo 2 (T2D) sono poco chiari, specialmente nella popolazione cinese. 

Metodi

Il presente studio si basava su una coorte prospettica composta da 63.257 uomini e donne cinesi di Singapore di età compresa tra i 45 e i 74 anni al momento dell’arruolamento (1993-1998). Le informazioni sulla dieta sono state ottenute utilizzando un questionario omologato semi-quantitativo di frequenza alimentare basato su 165 elementi. I dati sulle nuove diagnosi di T2D sono state raccolti grazie alle informazioni riportate dagli stessi partecipanti allo studio, nel corso di due interviste di follow-up ( una nel 1999-2004 e una nel 2006-2010). Il metodo di regressione del rischio proporzionale di Cox è stato utilizzato per stimare i rapporti di rischio (Hazard Ratios, HRs) e i loro intervalli di confidenza al 95% (IC) in 45.411 partecipanti considerati idonei. 

Risultati

Il tasso di incidenza (IC 95%) di T2D era 10.5 (10.2-10.8) per 1000 persone/anno. Il consumo di latticini era correlato significativamente ad una diminuzione del rischio di T2D; rispetto al quartile più basso, gli HR (IC al 95%) relativi al consumo di latticini del secondo, del terzo e del quarto quartile erano, rispettivamente, 0.98 (0.91-1.06), 0.96 (0.89-1.03) e 0.90 (0.83-0.98), dopo correzioni per potenziali fattori confondenti al basale (P-trend = 0.01). I bevitori giornalieri di latte avevano una significativa riduzione del 12% del rischio di T2D rispetto ai non bevitori. Mentre il calcio proveniente dal latte era associato ad una diminuzione del rischio di T2D (HR confrontando i quartili estremi 0.84; IC 95% 0.76-0.93, P-trend = 0.001), per il calcio non derivato da prodotti lattiero-caseari non è stata riscontrata alcuna correlazione (HR 1.02, IC 95% 0.92-1.14; P-trend = 0.61). 

Conclusioni

In questo ampio studio di coorte sugli adulti cinesi, il consumo di latticini e quello giornaliero di latte è stato associato ad una diminuzione, sebbene modesta ma comunque statisticamente significativa, del rischio di sviluppare il T2D che potrebbe non dipendere però dal contenuto di calcio di questi prodotti.  

© 2017 Elsevier Ltd e European Society for Clinical Nutrition and Metabolism.

 

Introduzione

Dal 1980 ad oggi, il numero di adulti con diabete di tipo 2 (T2D) è quadruplicato [1]. Mentre la mortalità dovuta ad altre cause è diminuita, in tutto il mondo c’è stato un aumento medio del 9% del tasso di mortalità (standardizzato per età) dovuto al T2D [2]. La grande e crescente influenza del T2D sulla salute a livello mondiale [3] ha reso la prevenzione primaria un imperativo per la salute pubblica. È ben noto come la comparsa del T2D sia legata allo stile di vita (inclusa la dieta) e si è visto, medinate studi d’intervento su larga scala, che la sua progressione si riduce del 40% circa grazie alla promulgazione di una dieta sana e allo svolgimento dell’attività fisica [4]. I latticini contengono molte componenti con potenziali effetti anti-diabetogeni, tra cui calcio, vitamina D, magnesio e proteine del siero di latte [5]. Tuttavia, i benefici apportati da queste componenti potrebbero essere annullati dagli effetti diabetogeni degli acidi grassi saturi presenti nei prodotti lattiero-caseari [6]. I risultati degli studi osservazionali sono stati combinati per quanto riguarda l’associazione tra il consumo di latte e di latticini totali e il rischio di T2D [7,8]. In una meta-analisi di 22 studi di coorte, è stata evidenziata una modesta associazione inversa dose-risposta per quanto concerne il consumo di latticini totali, mentre l’associazione con il consumo di latte non è risultata altrettanto significativa. Tuttavia c’era una grande eterogeneità tra questi studi [8]. Inoltre, un’analisi pooled dei sottogruppi provenienti da tre studi asiatici ha sottolineato un’associazione inversa, ma non statisticamente significativa, tra il consumo di latte e di latticini totali e il rischio di T2D, ma sempre con una grande eterogeneità tra gli studi [8]. Vista la messa in evidenza di un’associazione non lineare tra il consumo di latticini e rischio di T2D [7], lo studio condotto sulle popolazioni asiatiche sull’eventuale presenza di questa correlazione riempirà il vuoto di conoscenza relativo all’intervallo di assunzione più basso, con il gruppo di riferimento rappresentato da individui che hanno nella loro dieta abituale un consumo minimo o scarso di latte. Secondo il database della Food and Drug Administration degli Stati Uniti, il 30% del fabbisogno giornaliero di calcio potrebbe essere soddisfatto da una tazza di latte [9]. Il calcio potrebbe avere un potenziale ruolo di prevenzione nell’impedire l’aumento della glicemia e del peso [10], e poiché i latticini sono una fonte ricca di calcio, proprio questo minerale potrebbe essere il fattore intermedio che spiega l’esistenza di un’associazione inversa tra il consumo di latticini e il T2D evidenziata dagli studi osservazionali. Pertanto, risulta  difficile, se non impossibile, discernere l’impatto del calcio sul rischio di T2D in base ai dati epidemiologici provenienti da popolazioni con un elevato consumo di latticini. Le popolazioni asiatiche tendono a consumare molti meno latticini e acquisiscono il calcio da fonti alimentari generalmente molto più varie, ma i risultati degli studi che hanno tentato di discernere gli effetti del calcio proveniente da prodotti lattiero-caseari in tali popolazioni, sono contrastanti [11,12]. In questo studio abbiamo mirato a valutare, in una coorte prospettica di cinesi residenti a Singapore, l’associazione tra il consumo di latticini totali, di latte e di calcio (presente sia nei latticini che in altre fonti alimentari) con il rischio di incidenza di T2D.

 

Materiali e metodi

2.1. Popolazione dello studio 

Il Singapore Chinese Healt Study è uno studio di coorte basato sulla popolazione, messo in atto tra l’aprile 1993 e il dicembre 1998 mediante il reclutamento di 35.303 donne cinesi e di 27.954 uomini cinesi di età compresa tra i 45 e i 74 anni [13]. I partecipanti facevano parte dei due gruppi dialettali principali di Singapore: gli Hokkien e i Cantonesi provenienti, rispettivamente, dalle province del Fujian e del Guangdong nella Cina meridionale. In breve, tutti i partecipanti sono stati intervistati di persona utilizzando dei questionari messi a punto al momento del reclutamento. I partecipanti ancora in vita sono stati sottoposti ad un follow-up telefonico suddiviso in  follow-up I (1999-2004) e follow-up II (2006-2010). L’Institutional Review Board della National University di Singapore ha approvato lo studio e il consenso informato è stato ottenuto da tutti i soggetti partecipanti. 

2.2 Valutazione della dieta e delle covariate 

Le informazioni sulla dieta abituale relative all’ultimo anno trascorso sono state raccolte utilizzando un questionario semi quantitativo di frequenza alimentare a 165 voci (FFQ) sui cibi più comunemente consumati di base da questa popolazione. Il FFQ è stato successivamente validato in un sottogruppo di 810 partecipanti mediante una nuova somministrazione nonché confrontandolo con due richiami telefonici delle 24 ore [13]. Secondo lo studio di validazione, con i due metodi sono state osservate distribuzioni simili e la maggior parte delle medie accoppiate di energia e nutrienti risultavano essere entro il 10% dei rispettivi valori. I coefficienti di correlazione variavano tra 0.24 e 0.79 per i valori energetici e nutritivi valutati con questi due metodi [13], cosa paragonabile ad un precedente studio di validazione eseguito su popolazioni differenti [14]. In particolare per quanto riguardava il consumo di calcio, lo studio di validazione ha generato coefficienti di correlazione compresi tra 0.51 e 0.62 per valori corretti per l’energia [13]. Per quanto concerneva l’assunzione tramite la dieta, agli intervistati è stato chiesto di scegliere tra 8 categorie che andavano da “mai o quasi mai” a “due o più volte al giorno”, e tra 3 porzioni (piccola, media, grande) accompagnate da fotografie che servivano da guida. Tra gli articoli elencati nel FQQ vi erano tre voci principali che chiedevano quali prodotti lattiero-caseari erano comunemente consumati nella popolazione cinese locale tra cui: 1) latte (compreso quello in polvere) intero, a basso contenuto di grassi e al cioccolato, escludendo quello aggiunto al caffè o al tè; 2) Milo, Ovaltine o Horlicks; e 3) Yakult o Vitagen (bevande a base di latte con probiotici). Il FFQ aveva anche voci a sé stanti relative al latte (evaporato o condensato) aggiunto al caffè o al tè, al burro aggiunto al pane, al gelato e allo yogurt gelato. Per lo più, abbiamo calcolato il consumo totale di latticini come la somma di tutti questi prodotti. Inoltre, per migliorare l’accuratezza del consumo totale di latticini stimato, abbiamo tenuto in considerazione anche le piccole quantità di questi prodotti impiegati nelle procedure di preparazione dei piatti locali (tra cui piatti a base di riso, purè di patate, cibi del fast food, ecc.). Inoltre, partendo dal Singapore Food Composition Database specificamente sviluppato per questo studio di coorte, abbiamo stimato l’assunzione di calcio totale (in mg) con la dieta proveniente, o meno, dai latticini [13]. Abbiamo raccolto anche informazioni riportate dagli stessi partecipanti riguardo il loro peso corporeo, l’altezza, il livello di istruzione, il consumo di alcol, l’essere o meno un fumatore e sull’attività fisica svolta al momento del reclutamento. L’indice di massa corporea (BMI, in kg/m2) è stato calcolato in base al peso corporeo in kg diviso per il quadrato dell’altezza in metri. Per quelli con peso e/o con altezza mancanti, il BMI è stato calcolato utilizzando il peso e/o l’altezza attribuiti, derivati dall’equazione di regressione lineare [15]. Inoltre, i partecipanti stessi hanno riportato le loro patologie cliniche note e diagnosticate da medici professionisti, tra cui ipertensione, cancro, malattia coronarica e ictus presenti al momento del reclutamento. 

2.3. Valutazione del T2D 

Ai partecipanti è stata chiesta la loro storia di T2D diagnosticato dal medico al momento del reclutamento e le due interviste di follow-up impiegavano questa domanda: “ Le è stato detto da un medico che ha il diabete (glicemia ematica alta)?” Se sì: “Per favore potrebbe dire a quale età le è stato diagnosticato per la prima volta?”. In uno studio separato condotto su una coorte di 1651 soggetti con storia auto-dichiarata di T2D diagnosticato dal medico, l’accuratezza del dato sul diabete auto-dichiarato è stata validata ed è risultata essere del 98.8% [16]. I partecipanti con una storia di T2D diagnosticato al momento del reclutamento sono stati esclusi dall’analisi. Gli individui erano ritenuti presentanti incidenza di T2D se riferivano di aver avuto una diagnosi in qualsiasi momento tra il reclutamento e le successive interviste di follow-up. 

2.4. Analisi statistiche 

Tra i 54.341 partecipanti che sono stati sottoposti ad almeno un colloquio durante il follow-up, 45.111 soggetti risultati essere idonei per questa analisi (Fig. 1). Abbiamo utilizzato modelli di rischio proporzionale di Cox per esaminare le associazioni  tra il consumo di latticini totali, di latte e di calcio e l’incidenza del rischio di T2D. I valori di assunzione sono stati classificati sulla base della distribuzione in quartili, con il più basso quartile di porzione come valore di riferimento. Abbiamo utilizzato il modello di densità multivariata dei nutrienti in grado di correggere per il consumo energetico totale oltre che per la componente dietetica/nutrizionale adattata all’energia (esposizione di interesse) [17]. La densità nutrizionale dell’alimento viene calcolata dividendo il suo consumo per l’assunzione energetica totale, ed è una misura accettata, negli studi nutrizionali e nelle analisi epidemiologiche, per analizzare il consumo tenendo conto dell’energia totale. Le persone/anno sono state calcolate a partire dalla data del reclutamento fino alla data del segnalamento della diagnosi di T2D, o alla data dell’ultimo colloquio di follow-up, a seconda di quale tra questi due eventi si fosse verificato per primo. Nel modello multivariato, abbiamo corretto per età (costante), sesso, anno dell’intervista [1993-1995, 1996-1998], gruppo dialettale (Hokkien, Cantonese), livello di istruzione (nessuno, scuola primaria, scuola secondaria o oltre), svolgimento dell’attività fisica ( < 0.5, da 0.5 fino a < 4, ≥ 4 h/settimana), BMI (costante), stato di fumatore (attuale, ex e mai stato fumatore), consumo di alcol (mai o mensile, settimanale, giornaliero), storia di base dell’ipertensione, consumo energetico totale (costante), consumo di caffè (quartili) e di bevande gassate (bicchieri/settimana, costante) così come abbiamo corretto i punteggi i due modelli alimentari precedentemente identificati attraverso l’analisi dei principali componenti (quartili), che erano associati al rischio di T2D: “modello ricco di ortaggi, frutta e soia” e “ modello ricco di dim sum e di carne” [18]. Nell’analisi della sensibilità, abbiamo corretto anche per i singoli alimenti alla dieta (piuttosto che per i modelli dietetici) tra cui carne rossa, pollame, pesce/crostacei, soia, verdura, frutta e correlati succhi. Abbiamo testato l’ipotesi di proporzionalità utilizzando il metodo dei residui di Schoenfeld e non è stata riscontrata alcuna violazione. I trend lineari sono stati valutati assegnando il valore mediano di ciascun quartile di consumo di latticini e quindi abbiamo utilizzato questa variabile ordinale nei modelli. Abbiamo anche stratificato l’analisi per genere utilizzando quartili specifici per questo aspetto. Le potenziali interazioni sono state valutate utilizzando il test del rapporto di verosimiglianza tra prodotti differenti come i quartili mediani di assunzione e il sesso, l’età (categorizzata sulla base della coorte con età media di 54 anni al momento del reclutamento) e il BMI (< 23 e ≥ 23 kg/m2). Tutte le analisi statistiche sono state condotte utilizzando Stata Statistical Software, versione 14.2 (Stata Corporation, College Station, TX), con un valore P del test a 2 code inferiore al 5% come soglia per la significatività statistica. 

Fig 1. Diagramma di flusso dei partecipanti

L’età media (DS) dei 45.411 partecipanti inclusi in questa analisi era di 55.2 anni (7.6) e 19.409 (42.7%) erano uomini. Durante un periodo medio di follow-up della durata di 12 anni (494.741 persone-anno), abbiamo identificato 5.207 casi d’incidenza di T2D dopo l’intervista di base, ottenendo come risultato un tasso di incidenza (IC 95%) di 10.5 (10.2 e 10.8) ogni 1000 persone-anno. Nei partecipanti allo studio il consumo medio di latte (IQR) era di 20.5 (5.19-75.0) g/giorno. La maggior parte dei partecipanti non beveva mai o quasi mai latte (67.4%). È stato riportato il consumo giornaliero di latte di 6.757 soggetti(14.9%)  e il 93.5% di essi ne beveva un bicchiere al giorno. Nella popolazione dello studio il consumo di latte rappresentava l’80% circa del cambiamento nell’assunzione di latticini, seguita dal consumo di formaggio e di gelato. La Tabella 1 mostra le caratteristiche dei partecipanti in base al loro consumo di latticini. I partecipanti che consumavano maggiormente prodotti lattiero-caseari erano per lo più donne, fumavano di meno e bevevano meno alcol, caffè e bevande gassate, ma consumavano più frutta e meno cereali. I partecipanti con un consumo di latticini più basso (quartile 1) riferivano di un più alto apporto energetico totale, seguiti da quelli con l’assunzione di latticini più alta (quartile 4). Nel complesso il consumo di latticini è risultato associato in maniera significativa ad una diminuzione del 10% del rischio di T2D, dopo una correzione per potenziali fattori confondenti tra cui le abitudini alimentari, l’assunzione di caffè e di bevande gassate (Tabella 2). Analogamente, anche il consumo giornaliero di latte è risultato associato significativamente ad una riduzione del 12% del rischio di T2D (HR confrontando bevitori giornalieri con non bevitori 0.88;  IC 95% 0.81-0.96, P-trend = 0.01). Nell’analisi di sensitività, abbiamo ulteriormente corretto per i singoli alimenti della dieta piuttosto che per i modelli dietetici, ma ciò non ha modificato sostanzialmente i risultati (dati non mostrati). Non è stata osservata alcuna associazione significativa tra il consumo di latte e latticini e il sesso, l’età e il BMI, sempre in riferimento al rischio di T2D (tutte le P interazione > 0.15). La mediana dell’apporto totale di calcio (IQR) in questa coorte era di 364 (260-523) mg/giorno dei quali il 18.6% proveniva da calcio contenuto nel latte e l’80.4% dal calcio non contenuto nel latte (percentuale media). Solo il 3% circa di questa coorte ha riferito di utilizzare giornalmente integratori di calcio. L’assunzione di calcio con la dieta era inversamente correlata al rischio di T2D (Tabella 3); anche l’assunzione totale di calcio, comprese le integrazioni di questo minerale, mostrava delle correlazioni simili (dati non mostrati). La correlazione si è rafforzata quando i modelli sono stati corretti per potassio, magnesio, fosforo e vitamina D. La stessa correlazione inversa è stata osservata con l’assunzione di calcio contenuto nel latte nel modello completamente corretto; rispetto al quartile più basso di assunzione, quelli nel più alto quartile hanno mostrato una riduzione del 16% del rischio di T2D (HR 0.84, IC 95% 0.76-0.93, P-trend = 0.001). Tuttavia, abbiamo riscontrato una correlazione nulla tra l’assunzione di calcio non proveniente dal latte e il rischio di T2D (HR confrontando il più alto con il più basso quartile 1.02, 95% IC 0.92-1.14, P trend = 0.61). Inoltre, nel modello per l’analisi di sensibilità abbiamo corretto i singoli alimenti e i risultati ottenuti sono stati sostanzialmente gli stessi, con cambiamenti banali delle stime del rischio (dati non mostrati). Anche le interazioni con il sesso, l’età e il BMI non sono risultate statisticamente significative in queste analisi (P per tutti > 0.10).  

Tabella 1. Caratteristiche dei partecipanti in base ai quartili del consumo di latticini nel Singapore Chinese Health Study. 

I dati sono espressi come n (%) o come media ± deviazione standard.
a Le assunzioni con la dieta sono corrette per l’energia utilizzando il metodo dei residui.

 

Tabella 2. Hazard ratio (intervallo di confidenza 95%) del T2D in base al consumo di latticini e alla frequenza di assunzione del latte. 

a Il trend lineare è stato testato trattando il valore medio di ogni quartile come una variabile continua; IQR: range degli interquartili. 

b Modello multivariato 1: corretto per età, sesso, gruppo dialettale, anno dell’intervista e livello di educazione scolastica. 

c Modello multivariato 2: ulteriormente corretto per indice di massa corporea, attività fisica, stato di fumatore, consumo di alcool, storia di base auto-riferita dell’ipertensione e assunzione energetica totale. 

d Modello multivariato 3: ulteriormente corretto per quanto riguarda il consumo di verdura, frutta, di un modello alimentare ricco di soia e di un modello alimentare ricco di dim sum e carne, di caffè e di bevande gassate. 

 

Tabella 3. Hazard ratio (intervallo di confidenza 95%) dell’incidenza del T2D in base al consumo dietetico di calcio proveniente o meno dai latticini. 

a Il trend lineare è stato testato trattando il valore medio di ogni quartile come una variabile continua; IQR: range degli interquartili.
b Modello multivariato 1: corretto per età, sesso, gruppo dialettale, anno dell’intervista e livello di educazione scolastica.
c Modello multivariato 2: ulteriormente corretto per indice di massa corporea, attività fisica, stato di fumatore, consumo di alcool, storia di base auto-riferita
dell’ipertensione e assunzione energetica totale.
d Modello multivariato 3: ulteriormente corretto per quanto riguarda il consumo di verdure, frutta, di un modello alimentare ricco di soia e di un modello alimentare ricco di dim sum e carne, di caffè e di bevande gassate.
e Modello multivariato 5: modello 3 più il consumo con la dieta di potassio, magnesio, fosforo e vitamina D.

 

Discussione

In questo studio prospettico sulla popolazione cinese di mezza età e più anziana, con un consumo relativamente basso di latticini rispetto alle popolazioni occidentali, abbiamo evidenziato una correlazione inversa tra l’assunzione di latticini e il rischio di sviluppare il T2D. Il consumo giornaliero di latte, il principale componente consumato da questa popolazione tra tutti i prodotti lattiero-caseari, era associato significativamente ad una diminuzione del rischio di T2D. Un incremento dell’apporto di calcio tramite la dieta e i latticini è stato associato ad una diminuzione del rischio di T2D; tuttavia, la correlazione con il calcio non proveniente dal latte era nulla. Mentre una precedente meta-analisi aveva riportato l’esistenza di una correlazione inversa tra il consumo di latticini e il rischio di T2D [19], questa correlazione è risultata nulla dopo che la meta-analisi è stata aggiornata per includere tre coorti statunitensi su larga scala [6]. Questi tre studi, che pesavano per il 41% nella meta-analisi, utilizzavano dei gruppi di riferimento con consumi medi di latte che variavano da 0.6 a 0.9 porzioni al giorno [6]. In seguito, Gijsbers et al., in una meta-analisi dose-risposta di 16 studi prospettici di coorte, hanno riportato una diminuzione del rischio di T2D del 3% per 200 g/die di latticini totali consumati (RR: 0.97; IC 95%: 0.95, 1.00; P = 0.044), anche se era presente una significativa eterogeneità tra gli studi [8]. Essi hanno evidenziato anche l’esistenza di una correlazione inversa nel sottogruppo di tre studi condotti sulle popolazioni asiatiche (RR: 0.85 per 200 g/die, IC 95%: 0.65, 1.12), ma la correlazione non ha raggiunto una significatività statistica e gli studi mostravano una sostanziale eterogeneità [8]. Per quanto riguarda il latte, non hanno trovato alcuna correlazione significativa in un’analisi raggruppata di 11 studi; tuttavia, l’analisi dei sottogruppi ha suggerito l’esistenza di alcune correlazioni contrastanti: si è notato un aumento statisticamente significativo del 3% nelle popolazioni europee e un’insignificante riduzione del rischio del 13% nelle popolazioni asiatiche. Alla fine, quando è stata messa in evidenza una correlazione inversa non lineare per lo yogurt, hanno attribuito la correlazione osservata per i latticini totali a questo prodotto lattiero-caseario [8]. Il consumo totale di latticini in tali studi variava da 162 a 347 g/die negli Stati Uniti e da 121 a 400 g/die in Europa [8]. Nel nostro studio e in altri tre studi condotti sulle popolazioni asiatiche, i livelli di assunzione partivano da zero [12,20] o erano < 50 g/die [11]. I nostri risultati sono stati avvalorati da uno studio condotto su 64.191 donne cinesi di Shanghai con un’età compresa tra i 40 e i 70 anni; questo studio riportava che, dopo confronto con soggetti non consumatori di latte, l’HR (IC 95%) del T2D era di 0.61 (0.54-0.69) per < 100 g/die, 0.56 (0.50-0.62) per 100-200 g/die e 0.46 (0.32-0.64) per > 200 g/die di latte consumato (P trend < 0.001) [12]. Zong et al. hanno seguito per sei anni 2.091 cinesi con un’età superiore ai 50 anni, e anche loro hanno riscontrato l’esistenza di una correlazione inversa tra il consumo di latticini totali e il rischio di T2D che era indipendente da cambiamenti, in positivo, del BMI e della circonferenza della vita. Allo stesso modo, hanno evidenziato come il consumo giornaliero di mezza porzione di latte o di altri latticini sia associato ad una diminuzione del rischio rispettivamente del 28% e del 31%, se confrontato con soggetti non consumatori [20]. Al contrario, in uno studio giapponese, una diminuzione inversa dell’incidenza di T2D si è verificata solo nelle donne che consumavano ≥ 300 g/die di latticini, ma non negli uomini [11]. In uno studio di randomizzazione mendeliana che ha coinvolto 97.811 individui danesi, non è stata trovata alcuna correlazione significativa tra i genotipi della persistenza della lattasi (che favoriscono un maggior consumo di latte) e il rischio di sviluppare il T2D. Tuttavia, gli stessi autori hanno sottolineato come questo studio potrebbe essere risultato sottodimensionato per riuscire a raggiungere un significato statistico anche per le associazioni più deboli [21]. È stato ipotizzato che il calcio sia in grado di migliorare la funzionalità delle cellule β del pancreas, mantenendo l’equilibrio tra il pool di calcio intracellulare ed extracellulare [22], incrementando la sensibilità all’insulina mediante un  miglioramento della trasduzione del segnale di questo ormone nei tessuti bersaglio primari [23] e migliorando il suo ruolo nell’infiammazione sistemica [22]. Precedenti studi prospettici di coorte hanno riportato che un aumento del consumo di calcio mediante la dieta potrebbe essere inversamente associato al rischio di T2D [11,12,24-27]. Tuttavia, una meta analisi ha suggerito che i risultati di questi studi potrebbero essere influenzati anche dall’assunzione di magnesio, poiché entrambi i minerali si trovano nei prodotti lattiero-caseari [28]. Quindi, abbiamo fatto attenzione nell’includere nel nostro modello come covariata anche il consumo di magnesio. Inoltre, la maggior parte di questi studi [24-27,29] sono stati condotti su popolazioni occidentali che generalmente hanno un range più elevato di calcio nella dieta, ed hanno preso in considerazione un consumo in eccesso di calcio di 1000 mg/die contro valori < 500 mg/die presenti nel gruppo di riferimento. Due studi condotti su popolazioni asiatiche hanno avuto intervalli di assunzione paragonabili a quelli della nostra popolazione in studio (439-650 mg/die vs. 278-495 mg/die), ma mentre Villegas et al. hanno riscontrato un’associazione inversa nelle donne cinesi [12], Kirii et al. hanno riportato soltanto l’esistenza di una correlazione inversa borderline nelle donne giapponesi e la mancanza di qualsiasi correlazione significativa negli uomini [11]. Il nostro studio non ha trovato alcuna correlazione specifica tra sesso e consumo di latticini o di calcio. I risultati da noi ottenuti, che sottolineano l’esistenza di un effetto protettivo legato al consumo di latticini (ma non legato all’assunzione di calcio non proveniente da latticini), suggeriscono che il potenziale impatto benefico dei prodotti lattiero-caseari sul rischio di sviluppare il T2D potrebbe essere dovuto o ad altre componenti presenti al suo interno come, ad esempio, le proteine del latte [30] o l’acido trans-palmitoleico [31, 32], o al suo impatto sul senso di sazietà [33], e non al suo effetto diretto da solo o mediante la sua interazione con altre componenti del latte. Nelle popolazioni occidentali, dove fino all’80% del calcio totale proviene da prodotti lattiero-caseari [9], è difficile eliminare l’effetto confondente residuo dei latticini sull’associazione tra il calcio e il rischio di T2D. Al contrario, la nostra coorte utilizzava come fonti di calcio una vasta gamma di prodotti alimentari alternativi ai latticini [34] e questo ci ha dato l’opportunità unica di scoprire l’esistenza di una correlazione  nulla tra il calcio non proveniente dal latte e il rischio di T2D. Secondo le nostre conoscenze, soltanto Villegas et al. hanno studiato nelle donne cinesi il consumo di calcio proveniente da fonti alternative e, sebbene essi abbiano osservato correlazioni inverse a prescindere dalle fonti di calcio [12], abbiamo notato che le loro analisi non erano state corrette per il consumo di magnesio. I nostri risultati dovrebbero essere tenuti in considerazione alla luce dei limiti dello studio. In primo luogo, l’errore di misurazione dell’assunzione alimentare dovuto all’auto-segnalamento potrebbe aver causato una non indifferente classificazione errata che, a sua volta, potrebbe aver portato a sottostimare la diminuzione del rischio. Allo stesso modo, l’errata classificazione delle covariate dovuta sempre all’auto-segnalamento potrebbe portare anche a confusione residua. In secondo luogo, la nostra analisi si basava su misurazioni dietetiche al basale e successivi cambiamenti relativi al consumo potrebbero portare ad errori di classificazione non differenziale e ad una sottostima del rischio. In terzo luogo, come esito abbiamo utilizzato il T2D diagnosticato dal medico ma auto-segnalato e potremmo avere intrinsecamente omesso il T2D non diagnosticato durante il nostro accertamento. Se il consumo di latticini è associato ad una malattia asintomatica, ciò potrebbe causare una sottostima del rischio a causa di una scorretta classificazione dei casi non diagnosticati, visto che essi potrebbero essere intesi come casi di non malattia. Durante questo studio non abbiamo raccolto informazioni sul contenuto di grassi dei prodotti lattiero-caseari, pertanto non siamo stati in grado di analizzare l’eventuale associazione tra latticini magri o ad alto contenuto di grassi e il rischio di T2D, anche se negli anni ’90 (periodo del reclutamento) a Singapore i latticini a basso contenuto di grassi erano generalmente meno diffusi. Infine, il latte è risultato essere il prodotto principalmente consumato e i nostri risultati potrebbero non essere universalmente applicabili ad altre popolazioni che consumano una più ampia varietà di latticini come formaggio, burro, yogurt e panna. In conclusione, abbiamo evidenziato una modesta correlazione inversa, ma statisticamente significativa, tra il consumo di latticini (in particolare di latte) e il rischio di T2D. Tuttavia in questa popolazione la maggior parte del calcio totale assunto tramite la dieta non proveniva dai latticini, e l’associazione tra il consumo di calcio non derivato da prodotti lattiero-caseari e il T2D era nulla. Pertanto, il potenziale impatto benefico dei latticini sul rischio di T2D è da attribuire probabilmente ad altre componenti presenti al loro interno e non al contenuto di calcio. 

Finanziamenti 

Questo studio è stato supportato dall’United States National Cancer Institute, dal National Institutes of Health (RO1 CA144034 e UM1 CA182876). W-P Koh è finanziato dal National Medical Research Council, Singapore (NMRC/CSA/0055/2013). 

Contributi degli autori 

W.P.K.: progettazione e svolgimento della ricerca, supervisione e analisi dei dati; M.T.: ha contributo alla valutazione del consumo di calcio proveniente dai latticini e di quello proveniente da altre fonti, ha analizzato ed interpretato i dati e ha scritto la prima bozza; W.P.K., J.M.Y., A.P.: hanno contribuito all’interpretazione dei dati e hanno revisionato con occhio critico l’articolo; W.P.K. aveva la responsabilità primaria del contenuto finale. Tutti gli autori hanno letto e approvato il manoscritto finale. 

Conflitto di interessi 

Nessun conflitto di interessi dichiarato. 

Ringraziamenti 

Ringraziamo Siew-Hong Low della National University di Singapore per la supervisione del lavoro sul campo condotto durante il Singapore Chinese Health Study e Renwei Wang per il mantenimento del database dello studio di coorte. Infine, ringraziamo Mimi C. Yu, membro fondatore e Principal Investigator of the Singapore Chinese Health Study,. 

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