B.A. Ventura, D.M. Weary, A.S. Giovanetti, M.A.G. von Keyserlingk*

Animal Welfare Program, Faculty of Land and Food Systems, University of British Columbia, 2357 Main Mall, Vancouver, BC, Canada V6T 1Z4

ABSTRACT:

I veterinari che si occupano del bestiame hanno un ruolo importante nel promuovere il benessere animale nelle aziende agricole. In questo studio, sono stati utilizzati dei gruppi di discussione con lo scopo di coinvolgere i veterinari di bovini da latte e da carne e i ricercatori veterinari con base principalmente in Europa. Le discussioni sono state strutturate per suscitare impressioni su questioni riguardanti il benessere negli allevamenti bovini, nonché sui problemi e sulle soluzioni auspicabili per favorire il cambiamento. Le discussioni sono state audio registrate e trascritte testualmente e l’analisi dei contenuti è stata utilizzata per focalizzare il punto di vista dei partecipanti sugli eventuali problemi e sulle soluzioni riguardanti il benessere animale. I partecipanti hanno concezioni multidimensionali del benessere degli animali che includono la salute, il dolore, lo stress e il comportamento. Quando è stato chiesto di discutere gli eventuali problemi da affrontare per quanto riguarda questo benessere, i partecipanti si sono concentrati su cinque temi principali: definizione e valutazione di benessere animale, barriere economiche, allevatori, veterinari e problemi legati alla ricerca. I partecipanti hanno prospettato le seguenti soluzioni omnicomprensive: 1) una ricerca per lo sviluppo di una migliore valutazione del benessere degli animali, 2) motivare un’adesione maggiore agli standard, sia tramite incentivi volontari che con regolamenti vincolanti e 3) un aumento dei rapporti comunicativi tra le parti interessate, principalmente sotto forma di educazione sia per gli agricoltori che per i veterinari.

Parole chiave: coinvolgimento, consultazione, sostenibilità, allevamento, bovini da latte, bovini da carne

“Se noi, quelli che abbiamo le conoscenze, non le mettiamo in atto, chi lo farà?” – Veterinario di bovini e partecipante

*Autore a cui inviare la corrispondenza. E-mail: nina@mail.ubc.ca (M.A.G. von Keyserlingk).
http://dx.doi.org/10.1016/j.livsci.2016.10.004
Received 13 July 2015; Received in revised form 20 June 2016; Accepted 3 October 2016
1871-1413/ © 2016 Elsevier B.V. All rights reserved.
Livestock Science 193(2016)95-102
  1. Introduzione

Le condizioni allevatoriali previste per gli animali da allevamento sono diventate un argomento molto comune nelle discussioni sui problemi etici affrontati dalla società moderna. Gli ultimi due decenni hanno visto portare avanti una serie di studi che si sono concentrati sulle percezioni, sugli atteggiamenti e sui valori riguardanti il benessere  provati dal pubblico, sia come cittadini che come consumatori (Boogaard et al, 2011, 2008, 2006; Harper e Makatouni, 2002; Kjaernes et al, 2007; Lassen et al, 2006; Prickett et al, 2010; Vanhonacker et al, 2008). Altrettanto importanti sono i vari protagonisti che lavorano nell’industria del bestiame, in quanto sono questi individui che detengono la maggior parte del potere sulla vita degli animali d’allevamento e sono i più colpiti dai cambiamenti politici. In particolare, i veterinari di animali da reddito rivestono una posizione unica nel suo genere nel fornire consigli sul benessere degli animali, in quanto generalmente gli allevatori apprezzano le loro opinioni (Kauppinen e al, 2010; Lam e al., 2007). La professione veterinaria ha una lunga tradizione riguardo la cura di animali malati e feriti e i veterinari svolgono un ruolo centrale nel mitigare il dolore (Hewson et al., 2007). Nonostante esistano alcune prove di una desensibilizzazione verso una serie di condizioni dolorose note (come ad esempio la mastite, la laminite, la decornazione e le fratture alle porzioni distali dell’arto), la formazione veterinaria progredisce continuamente (Kielland e al., 2009) e i veterinari mostrano una sensibilità maggiore nei confronti del dolore provato dagli animali rispetto ad altre parti interessate importanti come gli allevatori (Fredriksen e Nafstad, 2006). Tuttavia, le preoccupazioni in materia di benessere animale per i capi d’allevamento vanno oltre la prevenzione di stati emotivi negativi come il dolore ed iniziano a comprendere questioni come la possibilità, da parte dell’animale, di vivere una vita più naturale possibile (Fraser e al., 1997). Purtroppo, si sa molto poco circa gli atteggiamenti del veterinario nei confronti di questi e di altri aspetti del benessere animale. Inoltre, i compiti dei veterinari nei confronti sia del paziente animale che del cliente umano possono portare ad un conflitto di interessi (Morgan e McDonald, 2007), ma si sa molto poco su come i veterinari degli allevamenti vivano questo conflitto e su come lo affrontino nel loro posto di lavoro. L’obiettivo di questo studio è stato quello di utilizzare un approccio qualitativo per indagare le prospettive dei veterinari d’allevamento e dei ricercatori Europei su questi temi. L’obiettivo specifico è stato quello di descrivere le sfide da loro percepite per poter poi risolvere i problemi legati al benessere animale e per individuare le loro auspicabili soluzioni a tali problemi.

  1. Metodi

2.1. Descrizione dei gruppi di discussione

Sei gruppi di discussione si sono tenuti direttamente prima del settimo Boehringer Ingelheim Expert Forum on Farm Animal Well-Being a Madrid, Spagna, nel giugno 2014. I gruppi erano composti da veterinari professionisti buiatri ( che si occupavano di bovini da latte, bovini da carne e di pratica mista che comprendeva tutto il bestiame) e da ricercatori veterinari con base prevalentemente in Europa. I gruppi di discussione sono stati utilizzati per generare un’interazione dinamica di gruppo e per ottenere informazioni sull’esperienza in campo (Carey e Smith, 1994). Trattandosi di veterinari operanti all’interno di complesse reti sociali in comunità agricole, fornendo l’opportunità di discutere del benessere del bestiame con i colleghi, si sperava di suscitare un ricco approfondimento e confronto su questi temi (Albrecht e al., 1993). Facilitatori addestrati hanno chiesto ai partecipanti di discutere una serie di domande per un periodo della durata di 75 min. Ai partecipanti sono state presentate tre domande principali, adattate da Ventura e al. (2015); (vedi Tabella 1 per lo script e l’ordine delle domande). Le nostre esperienze con i gruppi di discussione precedenti (Ventura e al., 2015) hanno indicato che gli individui che hanno stretti legami con le industrie del bestiame tendono a concentrarsi sugli aspetti tecnici relativi ad aspetti del benessere, fenomeno documentato anche da altri (Te Velde et al., 2002). Per mettere a fuoco il dibattito (mentre stavamo ancora fornendo il contesto), abbiamo chiesto in primo luogo ai partecipanti di descrivere le loro preoccupazioni prioritarie sul benessere, tramite un sondaggio online distribuito ai partecipanti due settimane prima della conferenza. Le loro risposte sono state compilate e visualizzate durante i gruppi di discussione ed usate come punto di partenza per le discussioni dal vivo.

Tabella 1. Proposte di tipologie di domande per i gruppi di discussione per i veterinari buiatri e per i ricercatori veterinari

2.2. Partecipanti

Abbiamo utilizzato un campione di convenienza ricavato dai partecipanti alla conferenza. Perciò, con i risultati di questo studio,  non abbiamo intenzione di generalizzare a tutta la  popolazione di veterinari e ricercatori Europei di animali da allevamento. Piuttosto, abbiamo puntato a comprendere le sfide affrontate e le eventuali soluzioni desiderate dai membri di questi gruppi. Gli organizzatori della conferenza hanno spedito tramite mail gli inviti ai gruppi di discussione a tutti i soggetti registrati per la conferenza, i quali poi avrebbero contattato i ricercatori se fossero stati interessati a partecipare. La maggior parte dei partecipanti alla conferenza (n = 50) ha aderito al questionario online proposto prima della conferenza stessa. All’arrivo alla conferenza ciascuno di questi partecipanti è stato assegnato ad uno dei sei gruppi di discussione, ciascuno composto da 7-10 persone. Il campione era prevalentemente europeo (84%) e di sesso maschile (70%; si veda la Tabella 2 per la demografia dei partecipanti). I gruppi di discussione erano in gran parte omogenei riguardo al ruolo delle parti interessate: quattro dei gruppi erano composti da veterinari (e durante le presentazioni il 73% di questi ha specificato che lavoravano o avevano lavorato con bovini da latte o da carne). Oltre al ruolo critico di supporto che i veterinari praticanti giocano per le industrie del bestiame, anche le persone che occupano posizioni accademiche nel campo delle scienze veterinarie e animali spesso lavorano a stretto contatto con gli agricoltori e con i veterinari, in vari ruoli di supporto (ad esempio durante corsi di formazione in generale, per i nuovi veterinari, o di ricerca). Pertanto, sono stati inclusi nello studio due ulteriori gruppi: uno composto prevalentemente da ricercatori veterinari e l’altro composto da scienziati che lavorano con animali tra cui i bovini da latte e da carne

2.3. Analisi

I dibattiti tra i gruppi di discussione sono stati registrati e trascritti, dando origine a 130 pagine di testo. I dati sono stati trascritti da un servizio di trascrizione professionale. Il contenuto dal questionario on-line ha dato origine ad altre cinque pagine di testo. Le preoccupazioni riguardanti il benessere animale originate da queste risposte sono state codificate in temi e sottotemi utilizzando l’analisi dei contenuti (Coffey e Atkinson, 1994) mediante il programma di gestione dei dati qualitativi NVivo (QSY International Pty. Ltd. Versione 10, 2014). L’analisi del contenuto è stata utilizzata anche per i dati del gruppo di discussione, per identificare la percezione dei partecipanti riguardo i problemi e le possibili soluzioni per il benessere del bestiame. Due degli autori (B. Ventura e A. Giovanetti) hanno letto indipendentemente e più volte le trascrizioni, prendendo nota dei modelli emergenti nei commenti dei partecipanti e assegnando temi e sottotemi a sezioni correlate del testo. Una volta che le trascrizioni sono state codificate, i due programmatori hanno confrontato le rispettive liste tematiche per valutarne la coerenza. Siccome la coerenza iniziale era molto alta, i programmatori hanno discusso le loro interpretazioni fino a quando hanno raggiunto, di comune accordo, uno schema costante. In definitiva, sono stati sviluppati una serie di temi e sottotemi sia per i problemi che per le soluzioni, con i ruoli delle parti interessate integrati in ogni parte della discussione. Le citazioni dei partecipanti sono utilizzate qui di seguito per illustrare le tematiche e per garantire la trasparenza del processo di ricerca. Questa ricerca è stata approvata dalla University of British Columbia Research Ethics  Board sotto certificato H12-02429.

Tabella 2. Demografia del campione di partecipanti (n=50) del gruppo di discussione dei veterinari interessati, tenuto a Madrid, Spagna

  1. Risultati e discussioni

3.1. Problematiche percepite riguardo il benessere animale

Dalle discussioni sono emerse cinque problematiche principali (vedi tabella 3): definizione e valutazione del benessere animale, aspetti economici e quelli correlati all’allevatore, al veterinario e al ricercatore.

Tabella 3. Tematiche discusse dai partecipanti nel contesto delle preoccupazioni legate al benessere animale e proporzioni dei gruppi di discussione (n=6) nei quali è emerso ogni tema.

3.1.1. Definire e valutare il benessere animale

Ogni gruppo ha descritto alcune difficoltà nel definire e valutare il benessere degli animali nelle aziende agricole. Per esempio, uno dei partecipanti ha dichiarato che “Una delle grandi cose che ci sbarra la strada nei confronti del benessere … è la sua stessa definizione. Come si definisce cioè il benessere degli animali”. Altri hanno notato che spesso erano troppo di mentalità ristretta riguardo la loro definizione di benessere animale, tanto da rappresentare un ostacolo per il progresso: “Come veterinario, sono certamente colpevole di guardare … alla salute e alla produttività come … indici di benessere … e queste non sono davvero una buona misura del benessere dal punto di vista olistico.” Alcuni partecipanti hanno inoltre sostenuto che la mancanza di un accordo riguardo la definizione di benessere animale ha contribuito ad inviare un messaggio poco coerente agli allevatori: “Credo che l’allevatore veda un sacco di consulenti … io mi vorrei augurare  che tutti questi colleghi arrivassero ad uno stesso punto comune per quanto riguarda il benessere, perché io so di alcuni consulenti economici che suggeriscono anche un sovraffollamento di circa il 10% … è con gente come questa che mi piacerebbe giungere allo stesso modo di pensare”. Molti partecipanti hanno espresso anche opinioni del tipo “siamo ancora alla ricerca di buoni strumenti per misurare i problemi legati al  benessere.” La mancanza di criteri di valutazione standard è ritenuta un ostacolo agli sforzi messi in atto per cercare di migliorare il benessere animale. Per esempio, molti hanno dichiarato che la mancanza di strumenti capaci di misurare il grado dolore ha impedito loro di aiutare gli allevatori nel rilevare condizioni dolorose come le zoppie. Alcuni hanno anche criticato approcci come, ad esempio, il fare affidamento su  indicatori ambientali piuttosto che su quelli di origine animale. Altri hanno commentato che alcune tecnologie esistenti potrebbero essere utilizzate per valutare il benessere ma, allo stesso tempo, altre risultano essere insufficienti o soggette a malfunzionamenti. La confusione dei partecipanti, per quanto riguarda la definizione e la valutazione del benessere, riflette la varietà di definizioni di benessere in letteratura. Ad esempio, il concetto pluri-ramificato proposto da Fraser e al. (1997) e adattato ai bovini da latte da von Keyserlingk e al. (2009), comprende aspetti riguardanti le funzioni biologiche, lo stato emotivo e la vita naturale. Altri hanno sostenuto misure più semplici; ad esempio, Duncan (1993) ha posto l’accento sulla stato emotivo (ad esempio i sentimenti) e Curtis (2007) ha sostenuto che la valutazione del benessere animale si dovrebbe basare soltanto sui risultati legati alla salute biologica e alla produzione.

3.1.2. Economiche

Tutti tranne un gruppo, hanno considerato gli aspetti economici come una barriera che impedisce il miglioramento del benessere del bestiame. I partecipanti hanno espresso preoccupazioni riguardo il basso reddito associato ai prezzi bassi pagati per i prodotti di origine animale (ad esempio latte e carne) e riguardo le difficoltà nell’ottenere prestiti dalle banche da poter poi investire in modifiche alle infrastrutture per adeguarsi e fornire così un benessere animale più alto. Ad esempio, un partecipante ha sostenuto: “Ancora una volta il problema … è che è molto difficile convincere l’allevatore … [di non usare scorciatoie] … quando il prezzo del latte è così basso …”. Alcuni partecipanti hanno suggerito che la domanda dei consumatori per i prodotti a basso costo ma con un welfare elevato è risultata problematica, affermando che dovrebbe aumentare la disponibilità dei consumatori a pagare per prodotti di alta qualità. Uno dei partecipanti ha fatto eco a questo esponendo la sua frustrazione verso quei supermercati che vendono il latte come un “articolo civetta”, utilizzando cioè il latte a basso costo per invogliare i consumatori ad entrare nel supermercato con la speranza che acquistino anche altri prodotti. Altri hanno affermato che i mercati altamente competitivi hanno scoraggiato i singoli allevatori dallo sperimentare nuovi sistemi allevatoriali con welfare più elevati e dallo sponsorizzare un elevato benessere animale con i loro colleghi. Altre preoccupazioni, includevano le differenze di sicurezza economica tra i diversi paesi a seguito di una legislazione sul benessere degli animali molto variabile, gli alti costi nel cercare di rispettare determinati standard e la mancanza di fondi per l’ispezione e la valutazione degli standard.  La questione economica  è quella che emerge  più spesso quando si parla di benessere degli animali d’allevamento con gli allevatori e con le altre parti interessate legate all’industria del bestiame (de Lauwere e al, 2015; Frewer e al, 2005; Hubbard e al, 2007; Kauppinen e al ., 2010; Skarstad e al, 2007; Spooner e al, 2014). I commenti dei partecipanti al presente studio hanno rivelato una visione paradossale del rapporto tra benessere animale ed economia. Alcuni credono che il rapporto tra benessere ed economia sia positivo, per esempio “il miglioramento del benessere animale è in linea con una maggiore produzione.” Questa convinzione, riscontrata anche tra i produttori di latte olandesi e tra i loro consulenti (de Lauwere e al., 2015), così come i tra i membri della popolazione in generale negli Stati Uniti (Cardoso et al., 2016 ), è probabilmente radicata in quei valori che enfatizzano, come fattori determinanti importanti del benessere animale, la salute e la funzionalità biologica (Broom, 1991; McGlone, 1993; Moberg, 1985). Allo stesso modo i partecipanti hanno sostenuto anche che un cattivo welfare è controproducente per le imprese, in particolare in quei casi di abuso da parte di allevatori definiti  “mele marce” che danneggiato la reputazione di tutto il settore. Tuttavia, molti di questi stessi partecipanti sembravano credere anche in una relazione inversa tra il benessere animale e l’economia, evidenziata da commenti come che la messa in atto di un certo benessere animale spesso richiede investimenti necessari e costosi in infrastrutture e/o in cambiamenti di gestione; ad esempio “E, ovviamente, ottimizzando la gestione e  aumentando il benessere degli animali, aumenta il costo preventivo del loro [degli allevatori] denaro.” De Jonge e van Trijp (2013) descrivono la presenza di un conflitto tra la convinzione che le metodiche attuali di produzione siano necessarie per rimanere competitivi e il desiderio di garantire una buona vita agli animali (ed evitare conflitti con le preoccupazioni sociali). Alcuni dei nostri partecipanti hanno chiaramente sperimentato questo stesso conflitto e sembravano credere che le modifiche fatte per migliorare il benessere animale potessero essere sia rischiose che vantaggiose dal punto di vista economico. Per altri, la questione sembrava essere dipendente dal contesto, tanto che i cambiamenti sono risultati benefici per alcuni problemi ma rischiosi per altri. Altri ancora sembravano risolvere il conflitto attraverso la credenza che gli investimenti costosi a breve termine (ad esempio una lettiera  più spessa) potrebbero tradursi in  benefici economici più a lungo termine (ad esempio un comfort più elevato per le bovine genera un tasso più basso di zoppie e lesioni al garretto, che porta ad una maggior longevità della bovina e ad un aumento della produzione di latte).

3.1.3. Il ruolo dell’allevatore

Come è stato osservato anche da altri (Driessen 2012), l’allevatore è stato ampiamente percepito come il più critico tra i soggetti interessati. Ogni gruppo di discussione ha considerato i problemi legati agli allevatori che possono andare ad influenzare il benessere animale, tra cui la consapevolezza e le conoscenze basse, la mentalità, la prassi e le capacità di gestione. In generale vi era del consenso sul fatto che a molti allevatori e lavoratori agricoli manca la consapevolezza su alcuni problemi legati al benessere, cosa che è in linea con il lavoro e con le limitazioni  percepite dagli allevatori olandesi (de Lauwere e al., 2015). Alcuni hanno fatto riferimento anche alle limitate conoscenze  sul benessere animale detenute dagli allevatori, così come ad una mancata consapevolezza sul perfezionamento della gestione del dolore, sulla manipolazione e sul rilevamento della malattia, per esempio “Direi che un gran numero di allevatori ancora non è in grado di vedere se c’è un problema di benessere animale quando le vacche sono malate.” Queste lacune sulla conoscenza e sulla comprensione sono generalmente attribuibili ad una mancanza di formazione. I partecipanti spesso si sono concentrati sugli atteggiamenti degli allevatori nei confronti del dolore nei bovini, trovandoli in larga parte carenti sotto qualche aspetto. Queste prospettive sono abbastanza in linea con la ricerca che dimostra che gli allevatori tendono ad approcciare il  dolore a seconda del contesto e del problema, in maniera tale che le condizioni croniche dolorose sono prioritarie (ad esempio la zoppia, Leach et al., 2010a, 2010b), mentre viene data meno enfasi alle esperienze dolorose a breve termine (ad esempio la decornazione o la castrazione) (Phillips et al, 2009; Spooner e al, 2012; Tuyttens e al, 2012; Vanhonacker e al, 2008). Si pensa che anche l’accettazione da parte dell’allevatore dello status quo delle cose contribuisca ai problemi di benessere, come testimoniato, ad esempio, dall’accettazione di alti tassi di mortalità e morbilità nel vitello percepite come la norma in alcune aziende agricole. Alcuni partecipanti credono anche che le pratiche di vecchia data si siano tradotte in inattività da parte di alcuni allevatori. Un veterinario ha descritto ciò così: “Ho riscontrato che i contadini amano le loro bovine, ma non sono a conoscenza di questi problemi riguardanti il benessere… Questo perché tutto è stato fatto allo stesso modo per centinaia di anni, quindi perché adesso, improvvisamente, ci ritroviamo a parlare  di benessere e di dolore?”. Molti veterinari hanno parlato della difficoltà che hanno nell’affrontare l’argomento benessere con i loro clienti, notando che gli allevatori sono spesso riluttanti ad ammettere i problemi legati alla gestione del  benessere nel loro allevamento: “Avrò discussioni con i produttori che mi diranno ‘Non voglio che ne sottolineate l’esistenza [del problema]’.”. I partecipanti hanno inoltre collegato la scarsa conoscenza anche con la resistenza al cambiamento e con la cattiva gestione. Ad esempio, alcuni hanno avuto la sensazione che le strategie di gestione applicate dagli allevatori sono il risultato di un meccanismo messo in atto per reagire ai problemi, piuttosto che per la pianificazione di un successo. Altri hanno commentato che gli agricoltori hanno fallito nell’applicare soluzioni efficaci anche nei casi in cui essi erano a conoscenza del problema. Altri ancora ritengono che l’operato degli allevatori sia stato limitato da circostanze al di là del loro controllo come, ad esempio, quando gli allevatori sono tenuti ad aderire a un numero eccessivo di normative ( esempio, “… a volte è molto difficile per l’allevatore  comprendere tutte le regole”).

3.1.4. Il ruolo dei veterinari

Precedenti ricerche hanno dimostrato che i veterinari sono riconosciuti come importanti consulenti per gli allevatori (de Lauwere e al, 2015;Jansen et al, 2010b; Lam e al, 2007), ma i veterinari che hanno partecipato ai gruppi di discussione hanno descritto molte lacune (tra cui scarsa conoscenza,  determinati comportamenti non corretti e autoefficacia) legate allo svolgimento di questo ruolo. Alcuni gruppi hanno sostenuto che ai veterinari manca la conoscenza su temi chiave come il comportamento degli animali e la sensazione di dolore, che a sua volta compromette la loro capacità di aiutare l’allevatore. Molti hanno attribuito la mancanza di conoscenza ad un’inadeguata educazione sul benessere animale nel curriculum veterinario, una scoperta che si allinea con altri studi sui comportamenti del veterinario circa il dolore nel Nord America (Dohoo e Dohoo, 1996; Hellyer et al, 1999) e in Europa (Capner et al, 1999;.. Raekallio et al, 2003). I partecipanti hanno inoltre criticato il pensiero “tradizionale” di alcuni professionisti più anziani, che hanno permesso che le questioni riguardanti il  benessere animale, come il dolore, non venissero prese in considerazione. Ad esempio, una persona ha dichiarato che, “Al momento in cui abbiamo iniziato come professionisti, è stato molto tempo fa e non si parlava mai di gestione del dolore, [la] bovina non provava dolore … Penso che ci debba essere un cambiamento di mentalità.” Questa cultura di elusione e di negazione ha chiaramente influenzato alcuni dei partecipanti, i quali, si è notato, hanno spesso delle difficoltà, quando incontrano problemi di benessere animale in azienda, a parlarne:

Uno dei maggiori problemi è quello di spingere i veterinari a voler parlare di benessere. Credo che spesso ignoriamo la cosa… scegliamo di non parlarne … Questa è una debolezza. Credo che stiamo permettendo troppi atteggiamenti di questo tipo per andare avanti, che si tratti di animali che sono portati al macello in camion inappropriati o peggio ancora. Sa, abbiamo visto tutti queste situazioni e qualche volta abbiamo anche chiuso un occhio.

Al centro di questo problema c’è il conflitto di interessi sperimentato da molti partecipanti, descritto da un individuo così, “E’ difficile – quando si è parte della cosa – portarla avanti.” La necessità di proteggere l’aspetto economico del loro cliente (l’allevatore) a scapito occasionalmente dell’animale, è stato visto da questi veterinari come un vincolo:

La sfida più grande su questo argomento è che sono i nostri clienti e  che dipendiamo da loro per il nostro reddito … E’ facile se si ha una bovina malata  guarirla … ma se si devono dare consigli su benessere animale … come veterinari, a volte siamo un po’ limitati  perché è un nostro cliente. Non possiamo dire che quella cosa che l’allevatore sta facendo non è affatto indicata, altrimenti perderemmo un cliente.

Morgan e McDonald (2007) si riferiscono al bilanciamento tra gli interessi del cliente e quelli del paziente come “alla questione etica fondamentale in medicina veterinaria” (pp. 165) e spiegano che, “le scelte sono spesso difficili da attuare a causa di fattori legati al  contesto, come le potenziali risposte negative da parte dei clienti o la perdita di reddito. Queste situazioni non sono dilemmi morali in senso stretto, in quanto una soluzione eticamente corretta è evidente, ma è comunque difficile da mettere in atto”(pp. 166). Questi cosiddetti “dilemmi pratici” sono stati sperimentati chiaramente anche dai partecipanti veterinari nel presente studio. Altri hanno osservato che i veterinari buiatri conferiscono una grande importanza al rapporto tra loro stessi e l’allevatore e vogliono che i loro clienti  prosperino (de Lauwere et al., 2015). Questo desiderio di mantenere un buon rapporto con il cliente può manifestarsi con un focus sugli aspetti monetari delle cure animali – osservati all’interno delle professioni veterinarie (Coe et al, 2007; de Lauwere et al 2015.) – e può spiegare perché i veterinari si sentono così schiacciati tra le esigenze dei loro pazienti e dei loro clienti.

3.1.5. Il ruolo del ricercatore

Sebbene il ruolo dei ricercatori fosse generalmente discusso nel contesto delle soluzioni, due gruppi hanno identificato anche problemi specifici relativi ai ricercatori. Coloro che hanno discusso la questione erano d’accordo sul fatto che i ricercatori, come i veterinari, hanno lottato per entrare in connessione con gli allevatori. Spesso, a causa di una ricerca aziendale insufficiente, molti hanno ritenuto che era molto difficile applicare i risultati della ricerca alla realtà lavorativa delle aziende agricole. Questo problema può essere visto come duplice (come discusso da Norton e Mumford (1993) riguardo il tema della gestione dei parassiti, con problemi simili riguardanti l’interazione ricercatore-allevatore): in primo luogo, i ricercatori potrebbero affrontare un problema di progettazione ponendo le domande sbagliate e, in secondo luogo, potrebbero fare le domande giuste, ma non riuscendo a tradurle in modo efficace in risultati per gli allevatori. Così, “se i ricercatori sono in grado di progettare gli opportuni miglioramenti … devono anche capire il motivo per cui gli allevatori fanno le cose che fanno” (p. 1, Escalada e Heong, 1997). Naturalmente, uno dei modi più diretti per ovviare a questo deficit è quello di integrare gli approcci con il punto di vista delle scienze sociali (ad esempio interviste all’allevatore, gruppi di discussione, sondaggi, ecc) in programmi di ricerca scientifica sugli animali per ottenere informazioni fondate da cui partire poi per progettare futuri programmi di ricerca. Come i veterinari, anche alcuni ricercatori hanno  sperimentato un conflitto di interessi. Questi partecipanti hanno ritenuto che fosse importante sviluppare un forte rapporto con gli allevatori  per aumentare la ricettività nei confronti dei risultati della loro  ricerca. Come un ricercatore ha descritto: “Credo che se non ci adattiamo, in un certo qual modo, alle usanze dei nativi del luogo…  la ricerca rimane soltanto fine a se stessa, giusto?” Tuttavia, la costruzione di un rapporto potrebbe anche richiedere più compromessi per quanto riguarda la direzione da prendere sulla ricerca, nel qual caso, “la preoccupazione è che poi, in realtà, la ricerca venga diretta da loro stessi [gli allevatori]… E non dovrebbe essere così, perché a volte dobbiamo far notare loro cose che in realtà loro non vogliono affrontare.” Compromettere l’obiettività della ricerca potrebbe quindi portare ad una perdita di credibilità, come ha testimoniato uno dei partecipanti: “Io … ho avuto alcune esperienze particolari con i colleghi…  nelle quali alcuni sono stati veramente… criticati per essere troppo vicini  all’industria del settore… in un certo qual modo si sono adattati alle usanze del luogo e hanno fatto sì che prendesse il sopravvento il punto di vista del produttore piuttosto che prendere le distanze dalle sue idee…” La questione qui riguarda una perdita percepita di obiettività (o la compromissione degli obiettivi di ricerca), in particolare da parte di quei ricercatori incaricati di trovare soluzioni riguardanti la salute e il benessere animale, i quali potrebbero ostacolare la potenziale scoperta di nuove soluzioni.

3.2. Soluzioni auspicabili

Sono emerse un certo numero di tematiche chiave sulle soluzioni auspicate dai partecipanti a questi incontri (vedi tabella 4). Le tematiche sono state identificate come segue:

  • migliorare la ricerca per far fronte alla mancanza di misure oggettive per valutare il benessere animale e per sviluppare degli standard quantificabili,
  • motivare l’adesione a questi standard tramite ispezioni o volontarie o con audit obbligatori,
  • aumento dei rapporti tra le parti interessate, in particolare sotto forma di educazione.

3.2.1. Ricerca

Di quelli che hanno individuato la ricerca come una delle soluzioni, la maggior parte era d’accordo sul fatto che  sono necessarie misure concrete ed oggettive per valutare il benessere (ad esempio, “Credo che in un futuro, la ricerca sarà importante, ma è importante anche che questi dati diventino più facili da raccogliere”). Molti altri hanno anche percepito che i ricercatori hanno avuto un ruolo fondamentale nello “sviluppo di procedure operative standard su base scientifica”, che potrebbero essere utilizzate nelle aziende agricole per stabilire un orientamento di condotta. I partecipanti hanno inoltre espresso il desiderio, da parte dei ricercatori, di avere un coinvolgimento maggiore con gli allevatori, in primo luogo attraverso delle proroghe. I cambiamenti suggeriti includevano piccoli aggiustamenti nella comunicazione (ad esempio raccomandazioni sui ricoveri date in un linguaggio più familiare agli allevatori), così come nell’aumento della ricerca sul campo in azienda per favorire il coinvolgimento degli allevatori. A sottolineare le raccomandazioni di un miglior coinvolgimento degli allevatori vi era il desiderio da parte dei ricercatori di funzionare da ponte tra le parti interessate sia all’interno che all’esterno delle industrie di bestiame. Ad esempio, i ricercatori che hanno partecipato hanno detto di voler mantenere i contatti con i responsabili politici e con l’industria del settore allo scopo di sostenere e promuovere il cambiamento; per esempio “Anche i ricercatori hanno un ruolo da svolgere … quello di portare queste nuove questioni in primo piano.”

3.2.2. Motivare L’adesione agli standard

I partecipanti hanno riconosciuto la necessità di una maggiore adesione agli standard se le industrie del bestiame vogliono fare  progressi nel miglioramento del benessere  animale. La gran parte di questa discussione si riferisce ai meriti relativi a programmi volontari costruiti sugli incentivi piuttosto che su normative obbligatorie.

Incentivi volontari. I partecipanti a circa la metà dei gruppi di ascolto, ha esplicitamente ritenuto gli incentivi economici (spesso chiamati “bonus” dai partecipanti) come un buon metodo per motivare il miglioramento del benessere animale. Le organizzazioni del settore lattiero-caseario e le società del latte sono stati i gruppi suggeriti più frequentemente tra quelli che possono dare questo tipo di compenso agli allevatori che hanno aderito alle procedure raccomandate, almeno nel breve termine. Alcuni hanno suggerito un aumento del prezzo per i consumatori per coprire questi costi. Coloro i quali sostenevano i bonus economici, credevano che fossero necessari per controbilanciare i costi sostenuti dall’allevatore per aderire agli standard e che approcci più punitivi avrebbero compromesso la sua redditività economica. Si è visto che i bonus sono una buona alternativa per aggirare le preoccupazioni riguardo la mancanza di applicazione degli standard legislativi. La cosa che risalta maggiormente è la convinzione che un sistema basato su delle ricompense sarebbe più accettabile e quindi più utilizzato da parte degli allevatori:

Vuoi portare le persone dalla tua parte… fagli  vedere cosa stanno facendo, piuttosto che dire loro come lo devono fare. Posso vedere il lato negativo di questa cosa … solo che penso che sia molto pericoloso. Se si potessero fornire degli incentivi – fornire più soldi,  stipulare  un contratto migliore o qualsiasi altra cosa – questo sarebbe probabilmente il  modo migliore di spingere gli allevatori ad investire nel benessere animale.

La necessità di coltivare l’opinione comune tra le parti interessate del settore è stata un tema unificante (qui usiamo il termine “soggetti interessati del settore” per indicare un qualsiasi individuo che lavora all’interno della catena di produzione animale, così come quelli il cui lavoro contribuisce ad essa. In base a questa definizione, gli allevatori, i rappresentanti del settore, i veterinari, gli accademici importanti e i fornitori di servizi sarebbero tutti partecipi nella produzione di bestiame). Il desiderio dei partecipanti sulla proprietà delle sfide riguardanti il benessere animale del settore è stato ulteriormente riflesso dalla convinzione diffusa che l’input  per il cambiamento deve provenire dall’interno del settore allevatoriale  stesso, meglio spiegato forse  dal commento: “Se noi, quelli che siamo a conoscenza delle cose, non abbiamo la volontà di metterle in pratica, chi mai lo farà?”. Nonostante il sostegno diffuso, alcuni partecipanti hanno espresso alcune preoccupazioni riguardo il fare affidamento sui meccanismi volontari. Alcune preoccupazioni riguardano la differenziazione dei prodotti, con i partecipanti che asseriscono che il sistema di bonus potrebbe favorire il divario tra le aziende agricole di nicchia e quelle convenzionali. Altre preoccupazioni sono più di tipo pratico. Ad esempio, la tracciabilità potrebbe essere una tra le sfide più importanti in seguito alla raccolta di latte proveniente da diverse aziende agricole e alla movimentazione di animali tra le aziende agricole durante tutto il ciclo di produzione.

Normative obbligatorie. I partecipanti hanno inoltre discusso le potenzialità dei regolamenti messi in atto dal governo, sotto la guida di esperti del settore, verso i quali l’adesione è obbligatoria e sotto la minaccia di sanzioni (spesso mediante multe o declassamenti di mercato; ad esempio alcuni acquirenti si possono rifiutarsi di comprare latte da allevamenti non conformi). I sostenitori di una regolamentazione obbligatoria hanno ritenuto che le industrie del bestiame necessitano di un maggior controllo esterno mediante la legislazione. Alcuni partecipanti credevano semplicemente che  una normativa esterna fosse necessaria per far rispettare il cambiamento: “… a mio parere, l’unico modo per cambiare un contadino sono le  sanzioni.” Altri ancora pensavano che fosse necessario un sistema di normative esterne per aumentare la trasparenza e la responsabilità sociale. Tali partecipanti ritenevano che una auto-amministrazione da parte dell’industria fosse insufficiente o inefficace. Uno dei partecipanti ha ritenuto che la normativa surclassasse la necessità di dare ai singoli allevatori la totale libertà di gestire le loro aziende: “La domanda è semplicemente perché il produttore sta facendo un lavoro non ottimale… è questa  una buona ragione per raggiungere in realtà un compromesso [consentendo all’allevatore di auto disciplinarsi] … è questa la  giustificazione per scendere a compromessi sul benessere animale?”. Da questo punto di vista,  il sottoporsi ad una normativa proveniente da fonti esterne è stata una questione di raggiungimento della credibilità da parte delle industrie di bestiame, cioè un modo per conformarsi ad un insieme di norme e prospettive sociali (vedi Bradley e MacRae (2011) per una discussione approfondita sul rapporto tra credibilità e benessere animale). Sebbene possa sembrare difficile conciliare questo sostegno alla legislazione con gli atteggiamenti negativi verso gli approcci punitivi in generale, il sostegno da parte dei partecipanti alla normativa ha molto più senso se si considera che  è stato visto che questa può conferire benefici protettivi agli allevatori che l’hanno accettata,  prevenendo il free-riding da parte allevatori considerati “mele marce”.

Tabella 4. Tematiche discusse dai partecipanti nel contesto delle soluzioni auspicabili per i problemi riguardanti il benessere animale e proporzione dei gruppi di discussione (n=6) all’interno dei quali è emersa ogni tematica.

In altre parole, a meno che tutti gli allevatori all’interno di un settore non siano tenuti ad osservare standard simili (e quindi a sostenere equamente i costi di adesione), il problema del free-riding minaccia la credibilità sociale di tutti gli allevatori che producono questi prodotti di origine animale (Croney e Botheras 2010). In questo contesto, ha molto più senso che i partecipanti allo studio in corso siano apparsi più propensi a sostenere la normativa per portare alla creazione di standard minimi. Tuttavia, non tutti i partecipanti hanno ritenuto la normativa obbligatoria così positiva, in particolare quella proveniente da  fonti esterne al settore (come, ad esempio, il governo). Molti sono preoccupati riguardo la potenziale mancanza di partecipazione da parte degli allevatori allo sviluppo degli standard e si è visto che questa cosa  contribuisce a dare origine a dei contesti normativi eccessivamente onerosi o non realistici. A contribuire ulteriormente a questo problema c’è anche la percezione che i regolamenti sono spesso supervisionati da parte di persone con una scarsa conoscenza della realtà allevatoriale, ad esempio “… Qual è la conoscenza dell’[allevamento] da parte della persona [che fa] la normativa? Io credo che in Francia sia pari a zero, poiché la persona che redige la normativa probabilmente non è mai entrata in una fattoria.” Così, a prescindere dalla loro posizione sulla normativa esterna contro quella interna degli standard del benessere, i partecipanti che hanno commentato hanno generalmente intuito che i contributi al settore, in particolare da parte degli allevatori, sono essenziali nel processo. Bradley e MacRae (2011) spiegano che “se le parti interessate parteciperanno nel processo o se prenderanno impegni volontari dipende solo dal fatto che considerino l’organismo di regolamentazione, o il network che sviluppa le norme, autorevole, se usa il giusto metodo, se possiede un valore aggiunto o , in altre parole , se è legittimo”(p. 22). Altri (von Keyserlingk e Hötzel, 2015) hanno proposto iniziative simili, gestite dal settore privato, come un passo in avanti nel miglioramento del benessere animale; sebbene l’efficacia di tali iniziative resti ancora da vedere, una miglior percezione della “legittimità degli input” (Skogstad, 2003) di un  tale approccio può risultare efficace.

3.2.3. Aumento dei collegamenti

All’interno di ogni gruppo, i partecipanti hanno discusso la necessità di intraprendere un numero maggiore di rapporti tra le parti interessate del settore e tra le parti interessate dell’industria e della società. Ad esempio, i partecipanti hanno parlato della necessità per i veterinari di collaborare con i fornitori dei servizi (ad esempio, assumere un ruolo più attivo nella consulenza del design della stalla); per i ricercatori di comunicare in modo più diretto con i veterinari; per i molteplici soggetti interessati (veterinari, ricercatori, organizzazioni lattiero-casearie e allevatori) di essere più in connessione con le preoccupazioni della società in merito al benessere animale; e ancora più importante  per i veterinari, i ricercatori e per gli altri fornitori di servizi  rafforzare la loro comunicazione con gli allevatori. Molti si sono anche detti favorevoli al promuovere le consultazione con gli allevatori, sia come modo per migliorare la formazione (suscitando dei suggerimenti su come vogliono ricevere informazioni, vedi de Lauwere et al, 2015; Jansen et al, 2010a, 2010b per gli esempi) sia per favorire l’aumento di enti costituiti dagli allevatori (coinvolgendoli nello sviluppo di standard e nella presa di decisioni di settore più importanti).

Formazione. Anche se tutti i gruppi hanno discusso la necessità di coinvolgere sia gli allevatori che i veterinari in un programma di formazione migliore, gli allevatori vengono tendenzialmente ritenuti come i soggetti che necessitano di maggior attenzione. L’educazione degli allevatori è stata generalmente percepita come una responsabilità collettiva dai veterinari, dai ricercatori, dai rappresentanti e dalle organizzazioni di settore che si sono proposte come le persone più adatte per assumere il controllo su questo argomento. I partecipanti si sono figurati molteplici obiettivi riguardo la formazione dell’allevatore compreso, ma non soltanto, quanto segue:

  • una maggior consapevolezza dei principi riguardo il benessere animale;
  • un miglioramento delle capacità di gestione, tra cui la capacità di valutare e gestire nella pratica l’individuazione di malattie (come il rilevamento della zoppia);
  • un nuovo orientamento della filosofia che metta in primo piano la bovina;
  • un miglioramento della prevenzione (i cui elementi includono un contatto attivo e costante con i veterinari e con altri consulenti e l’avere un piano sanitario stabilito per la mandria).

Per raggiungere questi obiettivi, i partecipanti hanno dato molti suggerimenti, tra il fatto che gli educatori devono tenere in considerazione le motivazioni degli allevatori e di conseguenza adattare il loro approccio, suggerimento che si allinea con altre ricerche riguardanti le suddivisioni tra gli agricoltori per quanto riguarda le loro motivazioni e la fiducia posta sulle fonti di educazione esterne (Jansen et al., 2010a, 2010b). Nel presente studio, si è percepito che gli allevatori hanno motivazioni differenti. Come ha commentato un veterinario: “Penso che una delle cose principali da fare sia quella di comprendere l’allevatore… alcuni sono guidati solo dai soldi. Altri sono guidati [dall’orgoglio], gli piace infatti pensare che le loro bovine abbiano un aspetto migliore rispetto a quelle dei vicini di casa… A seconda di cosa stiamo parlando con gli allevatori, è necessario toccare i tasti giusti.” I partecipanti hanno inoltre sottolineato la necessità di mettere in rilievo le conseguenze legate ai cambiamenti di gestione volti a migliorare il benessere animale e di fornire agli allevatori la possibilità di avere una prova pratica, per quanto possibile, del cambiamento, ad esempio “Prove pratiche. Queste possono convincere un allevatore.” In particolare, è importante  utilizzare i dati provenienti dall’azienda dell’allevatore per tracciare i cambiamenti nel corso del tempo, come ha condiviso un veterinario: “Quando si misura qualcosa, se si ha uno strumento per misurare, sarà molto meglio… stai avendo un confronto con l’allevatore e gli puoi dire guarda, qui sei 3 su 5, ma potresti  essere un 4…” L’indicazione di un altro partecipante di perseguire la via dell’analisi comparativa si allinea con questo suggerimento. L’analisi comparativa, che implica “il confronto sistematico su alcune performance di un’azienda con le migliori pratiche messe in atto da altre aziende importanti,” (Lau e al., 2005) in passato è stata utilizzata con successo per migliorare gli indicatori di performance e di benessere favorendo così lo scambio di conoscenze tra allevatori (Chapinal e al, 2014; Khade e Metlen, 1996; Manning e al, 2008;von Keyserlingk e al, 2012). Molti partecipanti hanno sottolineato che una formazione efficace deve includere la comunicazione per collegare il benessere animale alla produzione e ai benefici economici. Questo è stato un suggerimento comune tra i veterinari, ad esempio “Dobbiamo cercare di convincerli che se assicureranno il benessere ai loro animali, avranno più denaro nel loro conto in banca.” Questo tema è stato ripetuto anche tra i vari gruppi. Come un veterinario che in un altro gruppo ha ribadito, “Il nostro lavoro deve essere quello di dire… perdi soldi se non lo fai”. Enfatizzare i benefici economici apportati dai cambiamenti riguardanti il benessere sembra essere uno dei fattori che spinge gli allevatori ad avere una visione più progressista del benessere: “scegli l’opzione più facile in cui il benessere degli animali va effettivamente di pari passo con la produttività.” I partecipanti hanno anche discusso sia gli approcci alla formazione hands-off che quelli interpersonali, gli articoli precedenti inclusi nelle riviste di agricoltura, gli articoli on-line (noti per avere il vantaggio dell’efficacia dei costi e della consegna rapida) e i manuali annessi. I produttori di latte Olandesi intervistati da de Lauwere e al. (2015) sono sembrati preferire questi metodi più tradizionali di distribuzione delle informazioni rispetto a percorsi come i workshops, anche se altre ricerche hanno messo in evidenza che questi percorsi sono meno efficaci nel favorire il cambiamento del comportamento rispetto agli altri metodi che implicano una qualche interazione interpersonale (Gielen e al., 2003). Al contrario, i nostri partecipanti spendono, in genere, più tempo in percorsi di formazione nei quali si discute faccia a faccia. Alcuni veterinari hanno condiviso storie di successo riguardanti l’organizzazione di seminari di formazione per gli allevatori, sebbene altri non ritenevano questo approccio fattibile  a causa dei vincoli di tempo. Più partecipanti hanno convenuto che i veterinari potrebbero assumere un ruolo più attivo nel dire la propria quando riscontrano una cattiva gestione aziendale, entrando così facendo a far parte di un livello di educazione informale. L’identificazione delle buone norme mentre è all’interno dell’allevamento, ha anche favorito un modo semplice per i veterinari di cambiare le abitudini di gestione, per esempio fornendo farmaci per il dolore quando si effettuano la decornazione o la castrazione dei vitelli. Un suggerimento comune rivolto ai veterinari e agli altri era quello di favorire lo sviluppo di reti peer-to-peer tra gli allevatori per aumentare la loro capacità di connettersi tra di loro e d’imparare gli uni dagli altri. Questo approccio è stato visto come un metodo positivo per migliorare la diffusione di informazioni tra gli allevatori, dato che i partecipanti hanno creduto che si sarebbero ascoltati gli uni con gli altri. Questa convinzione era evidente viste le raccomandazioni da parte dei partecipanti di incorporare nelle comunicazioni, le storie di successo degli allevatori e la loro difesa della creazione di piani di formazione peer-to-peer (come workshops condotti dagli agricoltori stessi), concetto che ricorda le Farmer Field Schools utilizzate per favorire l’apprendimento reciproco, la responsabilizzazione e gli incontri per puntualizzare gli obiettivi tra i produttori di latte (Vaarst et al., 2007): “Una cosa che ci aiuta è quella di raccontare  una storia di successo ad un altro allevatore… perché questo crederà ad un altro prima di credere a chiunque altra persona”. I partecipanti hanno suggerito che, oltre all’allevatore, anche altre persone dovrebbero essere bersaglio della formazione. In più gruppi un suggerimento interessante è stato quello di indirizzare gli sforzi di formazione in maniera specifica verso le donne presenti in azienda. Ad esempio, un veterinario ha commentato che aveva trovato efficace l’organizzazione di seminari per le mogli degli allevatori, che trovo essere “… uno dei principali soggetti interessati al… sollievo dal dolore.” L’idea generale è  che le donne vengono percepite come soggetti che tendono a rivestire, in maniera naturale, dei ruoli più assistenziali in azienda (in particolare per quanto riguarda la cura del vitello). Mentre la maggior parte della ricerca sul tema ha infatti indicato un più alto livello di comportamenti pro benessere animale tra le donne rispetto agli uomini (vedi Herzog, 2007 per una revisione;. Herzog e al, 1991), è anche importante notare che la variabilità all’interno dei sessi tende ad essere superiore tra loro (Herzog, 2007). La formazione avanzata di altri lavoratori è stata percepita anche come un passo fondamentale nel migliorare il benessere degli animali. Altri hanno trovato questo metodo efficace nel modificare il comportamento dei lavoratori, al pari degli indicatori di benessere e di produzione. Ad esempio, Hemsworth e al. (2002) hanno dimostrato che la terapia cognitivo-comportamentale ha migliorato le credenze sulle lesioni al personale e sui comportamenti riguardo i bovini da latte, che si traduce in una diminuzione della distanza di fuga tra bovini ed esseri umani e in un  miglioramento della produzione stessa di latte. Infine, ci sono stati suggerimenti per aiutare le altre parti interessate che hanno richiesto insegnamenti sulla realtà di allevamento: “Abbiamo bisogno di interagire con coloro che stanno per formulare le nostre leggi … a causa della loro scarsa conoscenza possono essere facilmente influenzati dalle loro percezioni e non ascoltano la nostra opinione [come] veterinari e scienziati animali”. Tuttavia, la formazione sull’allevamento non è in grado di risolvere appieno le preoccupazioni del pubblico riguardo il benessere degli animali da allevamento: Ventura et al. (2016) hanno dimostrato che aumentando le conoscenze sul settore lattiero-caseario si ha un effetto variabile sulla fiducia a proposito di benessere animale, con alcune persone che diventano sempre più critiche dopo che hanno acquisito più nozioni sulle pratiche allevatoriali. Analogamente, Ryan et al. (2015) hanno dimostrato che una maggiore conoscenza sui sistemi di stabulazione per scrofe in gestazione in realtà ha reso le persone più critiche verso le gabbie di gestazione standard.

  1. Osservazioni conclusive

Il nostro obiettivo primario era quello di suscitare i suggerimenti da parte di veterinari e di ricercatori veterinari, che lavorano all’interno delle industrie di bestiame, sulle sfide che devono affrontare e sulle soluzioni che desiderano, per quanto riguarda le questioni di benessere animale. Nel complesso, abbiamo riscontrato un notevole sostegno riguardo gli approcci positivi al cambiamento, visti nelle affinità tra i partecipanti riguardo gli approcci basati sulle ricompense per motivare l’adesione agli standard, il loro desiderio di intraprendenza rispetto a quello di staticità sia a livello di piccole aziende (nelle strategie di gestione) sia a livello di industrie del settore (in termini di industrie che si assumono la responsabilità sui problemi e sulle soluzioni intraprese) e nel loro sostegno alla formazione (compresi i metodi peer-to-peer) per motivare ed informare sui cambiamenti. Più in generale, questo studio mostra come coinvolgere i soggetti interessati e quelli che hanno esperienza nel settore agricolo zootecnico (in questo caso, i veterinari e ricercatori veterinari) può aiutare a sviluppare delle strategie per migliorare il benessere degli animali nelle aziende agricole. I principali temi sollevati dai nostri partecipanti suggeriscono che è necessario un maggior sostegno per dotare i veterinari, con grandi abilità comunicative, di una capacità maggiore nel valutare il benessere animale per tutta la durata della loro formazione veterinaria e di attività di formazione continua. Sono necessarie anche buone capacità di comunicazione, ad esempio, per comprendere e affrontare le limitazioni finanziarie e pratiche di clienti (Coe et al., 2007). Anche se i partecipanti a questo studio hanno mostrato una forte empatia verso le limitazioni economiche degli allevatori, hanno probabilmente ritenuto necessario un ulteriore impegno per costruire rapporti più aperti e comunicativi con i loro clienti. In definitiva, dotando i veterinari che esercitano la professione di questi tipi di competenze è molto probabile che si riesca ad aiutarli nel superare i deficit di conoscenze identificati in questo studio.

Conflitto di interessi

Nessuno lo ha dichiarato.

Ringraziamenti

Dobbiamo estendere la nostra gratitudine  anche ai partecipanti, per aver condiviso il loro tempo e i loro pensieri così apertamente con noi. Ringraziamo anche Boehringer Ingelheim (Ingelheim, Germania) e gli organizzatori della conferenza di Madrid, tra cui i Dottori Elke Abbeloos e Laurent Goby. Infine, ringraziamo i Dottori D. Fraser , H. Wittman, e C. Sumner per i feedback sulle versioni precedenti di questo manoscritto. Il Dottore B.A. Ventura è stato sostenuto da un programma di dottorato dell’Università della British Columbia.

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