Basta consultare un dietologo, sia con l’obiettivo di perdere peso che per farsi suggerire una giusta dieta in caso di malattie, o un qualsiasi medico, per sentirsi sciorinare il mantra che bisogna mangiare la carne rossa solo una volta alla settimana e che è bene non mangiare i formaggi ad eccezione di quelli “light”, bere il latte solo se è parzialmente scremato, evitare salumi e quant’altro. Personalmente però non mi è mai successo di incontrare un medico che abbia sconsigliato di mangiare i cibi ultra-processati, su cui più avanti farò un approfondimento. Dopo questi “consulti”, sembrerebbe che la decisione più saggia sia quella di diventare vegetariani, anzi vegani. Se poi si è allevatore o si lavora a vario titolo nella zootecnia o nella lavorazione del latte e della carne sembrerebbe che la decisione più intelligente sia quella di vendere tutto ed investire in altre attività. E’ vero che se si guardano le statistiche sui consumi dei derivati del latte e della carne a livello mondiale si può notare come questi siano in crescita, ma se si va a vedere il dettaglio dei paesi occidentali, o delle fasce più ricche della popolazione, si osserva un declino dei consumi molto pesante.

Molto istruttiva è la lettura del libro “Presi per la gola”, scritto da Tim Spector,  medico e docente di epidemiologia genetica al King’s College di Londra. In questo volume, supportato da copiose evidenze scientifiche, Spector prende in rassegna 23 dei principali miti che guidano il nostro comportamento alimentare cercando di capirne la correttezza scientifica e di determinare dove sono nati.

Per meglio comprendere l’importanza che tutti noi dobbiamo dare a questo argomento Spector ci ricorda che le prime 10 più grandi multinazionali del cibo controllano l’80% del cibo venduto nei negozi del nostro pianeta. Ognuno di questi giganti fattura circa 40 miliardi di dollari (dati relativi al 2017) e genera utili complessivi per 100 miliardi. Nel 2019, i Fast Food hanno fatturato nel mondo 100 miliardi di dollari. Negli Usa quasi 2/3 dei consumi sono rappresentati da cibi ultra-lavorati e in Europa la Gran Bretagna ha ormai quasi raggiunto le performance statunitensi. Milena Gabanelli nel suo Data Room ci ha recentemente ricordato che solo in Europa sono attive legalmente, perchè iscritte in un apposito registro, 11.801 lobby o gruppi di pressione che rappresentano gli interessi di imprese e associazioni e che dispongono di un budget di  circa 1.5 miliardi di euro (2017). Negli USA ci sono attive e registrate 11.641 lobby, che gestiscono ben 3.1 miliardi di dollari.  Il lavoro dei lobbisti è quello di contattare commissari ed eurodeputati trasmettendo loro idee per emendare questa o quella norma.

Secondo la classificazione NOVA gli alimenti destinati al consumo umano vengono suddivisi in quattro categorie. Alla prima appartengono gli alimenti non lavorati o sottoposti a minima lavorazione, come la frutta, la verdura, i cerali, i legumi, il pesce, la carne, le uova e il latte. La seconda comprende gli ingredienti lavorati che servono a cucinare cibi della prima categoria rendendoli più saporiti, come le spezie, l’aceto e l’olio. Nella terza troviamo invece cibi lavorati a cui vengono aggiunti l’olio, lo zucchero e il sale, come il pesce in scatola, la carne salata e affumicata, i formaggi e il pane fresco. La quarta categoria sono i cibi ultra-processati, anche detti junk-food o cibo spazzatura. Questi sono preparati industriali che contengono dai 5 ai 20 ingredienti non ricavati dai cibi naturali ma estratti dai cibi stessi o sintetizzati in laboratorio.

I cibi ultra-processati sono economicamente attraenti, si conservano bene e a lungo e, grazie alle ingenti risorse disponibili per il marketing e alle maglie larghe che la legislatura ha fino ad ora lasciato sulla loro etichettatura, hanno una comunicazione molto rassicurante per quanto riguarda i loro aspetti salutistici. Gli abili comunicatori delle multinazionali del cibo sono riusciti a far passare l’idea che il cibo delle prime tre categorie NOVA fa male all’ambiente e crea sofferenze negli animali mentre il cibo ultra-processato no. Per gli irriducibili detrattori della carne e del latte sono ormai disponibili sia il latte che la carne vegetale (leggi anche “McDonald’s combatte la crisi della carne bovina con l’innovazione vegetale).

Nel libro di Spector, ma anche nell’altamente consigliabile “Mercanti di dubbi” di Naomi Oreskes e Erik M. Conway, ci sono importanti approfondimenti che aiutano a comprendere le motivazioni e la regia che stanno dietro alla pressione negativa che l’alimentazione fondata sul consumi di alimenti tradizionali che l’uomo ha conosciuto fin dalla sua comparsa sulla terra, e che ci ha accompagnato fino ad ora, sta subendo.

Un nuova alleanza tra allevatori e industria di trasformazione deve avere argomenti e non solo slogan o indignazione se vuole contrastare la titanica pressione operata dai giganti del cibo che hanno tutto l’interesse a fare in modo che tutta l’umanità consumi cibi ultra-processati piuttosto che cibi naturali o blandamente lavorati come i formaggi.