Toro antico animale sacro
Il toro ed il suo culto totemico sono tra i più diffusi nel mondo preistorico. Celebri sono le immagini di ruminanti tracciate dai nostri antenati trentamila anni fa nelle grotte d’Altamira e conosciuti sono i riti che coinvolgono i bovini presso le popolazioni d’ogni continente, come noto a tutti è il capo indiano Toro Seduto.
Adorarono il toro gli antichi Egizi, ritenendolo Osiris, sotto il nome di Mnvis o Merver, abitante l’Amenti (antico mondo sotterraneo) dove custodisce le mummie. Vi è anche il sacro toro Api, incarnazione di Path, nerissimo con un segno bianco e quadrato sulla cervice e sul dorso lo stigma di un’aquila, con un nodo a forma di scarabeo sotto la lingua e con una coda che termina a fili doppi. Morto il toro Api, la cui salma è imbalsamata, i sacerdoti si mettono alla ricerca di un altro animale con le stesse caratteristiche che è nuovamente consacrato. Nei riti degli Egizi il bue rappresenta il dio Osiride ed Api è sacrificato se di mantello candido e non se ha un manto rossiccio, il colore di Tifone il quale fu punito avendo insidiato la vita d’Osiride. La vacca per gli Egizi è inoltre la rappresentazione di Iside.
Il toro è sacro per i Babilonesi con i nomi di Minib e Moloch, e per i Fenici, conosciuto come Hadad. Nell’Avesta si legge che da Garso Marathan, ovvero vita-mortale o proto-uomo, discendono tutti gli esseri umani e da Geus Urva, il toro proto-animale buono, discendono tutti gli animali. Gli Indiani identificano il bue con il sole e lo consacrano al terribile Diva, quale sua cavalcatura, col nome di Nandi, simbolo di saggezza e giustizia. Nell’Iran il toro è sacrificato a Mitra, il sole, che è rappresentato a cavallo di un toro del quale tiene le corna e che altro non è che la luna.
I Greci vedono nel toro Giove e Bacco. Nella mitologia classica vi è la leggenda di Io, amante di Giove, mutata in una bianca giovenca per difenderla dall’ira della gelosa Giunone, affidata ad Argo dai cento occhi e che con l’aiuto di Mercurio riesce a fuggire. Le sacerdotesse di Io venerano la luna sotto la forma di una vacca, perché dal cornuto primo quarto dipendono le piogge, ed eseguono la danza della giovenca che prevede la simulazione di essere punte da tafani invocando la pioggia.
Nell’antica Roma il toro è la vittima più comune nei sacrifici a Giove, Marte, Cerere, Apollo, Plutone e Nettuno: toro dal manto nero per Plutone e con le corna dorate per Apollo. I Greci ed i Romani immolano il bue soltanto se è già stato aggiogato. I buoi ed i vitelli più pregiati sono quelli con il mantello bianco, in contrasto con quelli del carro allegorico della morte, trainato da buoi neri. Per i trionfi si scelgono tori bianchi e la loro immagine è innalzata in alcune insegne militari.
I bovini nelle religioni
Molte religioni e culti religiosi hanno rapporto con gli animali, e tra questi anche i bovini. Il bue è l’animale testimone della nascita di molte divinità, da Gotama nella leggenda iranica a Zoroastro. Il toro è centrale nel culto di Mitra delle religioni misteriche dal I secolo a. C. al V secolo d. C., nelle quali si pratica il sacrificio di questo animale o tauroctonia. In ogni tempio dedicato a Mitra il posto d’onore è riservato alla rappresentazione del dio nell’atto di sgozzare un toro sacro.
Nell’antichità, la carne bovina ha un ruolo fondamentale nei riti propiziatori ed espiatori poiché i rituali d’invocazione delle divinità comportano l’offerta di tale dono. Egiziani, Greci, Etruschi e Romani destinano alla divinità solo una piccola quantità dell’animale ucciso, il resto è suddiviso fra i sacerdoti e i fedeli riuniti nel convito che ritenuto sacro perché vi partecipano anche gli dei. Dai riti sacrificali nasce l’idea che la macellazione deve essere praticata secondo norme religiose codificate, con un conseguente consumo della carne rigorosamente regolamentato.
Gli Israeliti quando tradiscono il loro dio Jahvè adorano un vitello d’oro, come ricorda il libro dell’Esodo della Bibbia dove, in un passo d’Isaia, si legge che il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone ma Israele non conosce il suo Dio e non lo comprende: un passo interpretato come una contrapposizione tra ebraismo e paganesimo. Secondo la Bibbia ebraica una mucca rossa senza macchia è parte importante di antichi rituali; una di queste è sacrificata e bruciata in un preciso rituale e le sue ceneri sono aggiunte all’acqua utilizzata nella consacrazione del tempio e nella purificazione di una persona venuta a contatto con un cadavere umano (Libro dei Numeri, capitolo 19, versetti 1-14). Il giudaismo tradizionale considera la carne kosher un cibo lecito, a patto che la vacca sia abbattuta in un rituale religioso chiamato shechità e con una macellazione Kasher nella quale l’animale deve essere ucciso con rispetto e compassione da un ebreo che abbia ricevuto la rispettiva licenza e sia stato addestrato. La carne inoltre non deve essere servita in un pasto che includa latte e latticini.
Nel cristianesimo e durante il Medioevo la macellazione cessa di essere una pratica religiosa: il tagliare la carne diviene un fatto pubblico e al macellaio e cuoco si riconosce un’aura di sacralità laica quando elabora questo alimento, simbolo della mensa dei ricchi. Molte immagini medievali illustrano la centralità della carne che nei banchetti del Cinquecento diviene oggetto dell’arte spettacolare del trinciante che, con grande abilità, la taglia pubblicamente e la distribuisce secondo un rigido cerimoniale. Nel Seicento si sviluppa invece un certo disgusto per i bovini macellati, simboli di morte, e ogni attività di taglio ed elaborazione della carne è relegata in cucina.
I bovini nel cristianesimo
La distinzione fra cibi impuri e puri della tradizione pagana, ebraica e islamica è superata dal cristianesimo che, tuttavia, in talune delle sue diversificazioni e per certi periodi, impone delle restrizioni nel consumo di ogni tipo di carne, ad esempio nel cattolicesimo nelle vigilie e nella Quaresima. Se l’astensione dalla carne ha un significato di penitenza perché allude alla parte materiale dell’essere umano e alla sua inclinazione verso il vizio e il peccato, questo alimento da un punto di vista mistico rappresenta il corpo del Signore nella sua accezione di vittima sacrificale per la Redenzione dell’umanità.
Cristo quando nasce a Betlemme è posto nella mangiatoia di una stalla tra un bue e un asinello, secondo il vangelo apocrifo di Matteo. In seguito, nella tradizione cristiana molti sono i riferimenti al bue che in forma alata è il simbolo dell’evangelista Luca. Il bue è attribuito a molti santi: san Cornelio anche per l’etimologia delle corna ed al quale è attribuito il corno di bue; santa Lucia, che fu legata ad un tiro di buoi; San Silvestro; Sant’Osvaldo che suona un corno di bue; S. Adolfo, vescovo della Galizia, a ricordo del toro che gli fu aizzato contro per ucciderlo; Santa Tecla e San Germano, cui è legata la leggenda di un generoso bovaro che uccise un toro per sfamare il santo ed i suoi compagni e che a fine pranzo se lo vide restutuire da San Germano che, raccolte ossa e pelle, lo fece risorgere a vita. San Tommaso d’Acquino è noto come il bue muto perché, secondo un aneddoto di Guglielmo di Tocco, era silenzioso, assiduo nello studio e devoto nella preghiera. Il suo maestro Alberto Magno, avendo riconosciuto le straordinarie capacità intellettuali di Tommaso, esclamò: “Lo chiamiamo bue muto, ma egli darà un muggito tale nella dottrina che risuonerà in tutto il mondo“. In alcuni paesi si alleva la vacca della Madonna e a Carovigno nelle Puglie se ne allevano addirittura tre. Questi animali sono considerati sacri, sono alimentati dalla popolazione e poi, dopo la loro macellazione, le carni sono divise e distribuite a tutti durante una festa. Anche in Sicilia, a Roccavaldina nel Messinese, dopo il sacrificio di un giovenco in onore di San Nicola segue un banchetto pubblico cui possono partecipare tutti i presenti.
Toro e bue nell’araldica e nella pubblicità profana
Le immagini di tori e vacche di tipo religioso si sono spostate nell’araldica medievale e nella moderna pubblicità. Il toro bianco è simbolo dell’Europa, la sua immagine è abbondante in araldica e compare in molti stemmi civici, tra cui quello della città di Torino e un tempo anche Parma. In araldica il toro furioso con le corna alte e la coda ritta simboleggia l’animo indomito e quando è accompagnato da stelle denota una famiglia fiera ma soggetta alle leggi divine. Se l’immagine del toro è passante è indice di lavoro forte e tenace, se attraversa un albero simboleggia l’agricoltura e se attraversa una spiga di grano significa un lavoro produttivo. Spesso il toro compare come sostegno dello scudo e talvolta se ne rappresenta solo la testa con le sue corna. Il toro si distingue dal bove per avere la coda rivolta sul dorso, mentre il secondo la porta pendente. Il bue è rappresentato con le corna basse e la coda abbassata essendo mansueto, avendo subito la castrazione ed essendo adibito ai lavori campestri dei quali è simbolo.
Come nell’araldica medievale, ancora oggi nella pubblicità e nei marchi, per esempio quello automobilistico della Lamborghini, i tori e le vacche hanno sempre le corna, nonostante gran parte di questi animali (in Svizzera secondo le stime solo il 10%) non abbiano più le corna. Allo stato naturale la maggioranza delle razze tradizionali sarebbe dotata delle corna, anche se il loro ruolo nel comportamento sociale degli animali non è ancora del tutto chiaro. Quel che è certo è che le bovine se ne servono come arma difendersi e nelle lotte gerarchiche. Odiernamente, negli allevamenti alla maggior parte dei vitelli viene cauterizzato l’abbozzo corneale affinché le corna non crescano. La loro eliminazione permette infatti di ridurre lo spazio necessario per l’allevamento e i rischi di lesioni, anche se da qualche tempo sono anche allevati bovini geneticamente privi di corna (Angus, Galloway).
Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie.
Da solo ed in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti ed originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri.
Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.