Le vacche da latte discendono da animali che da migliaia di anni sono fonte di nutrimento per gli esseri umani. Se le vacche non abitassero più la Terra, gli esseri umani perderebbero una fonte primaria di proteine di alta qualità e di molti altri nutrienti, nonché una fonte di reddito, di sussistenza e di sicurezza per milioni di persone in tutto il mondo. Sebbene le vacche vengano considerate degli emettitori netti di gas serra, il miglioramento delle tecnologie e delle pratiche di allevamento continua a generare animali più efficienti che contribuiranno a rendere il settore lattiero-caseario un emettitore zero. In questo studio vengono analizzate le conseguenze, intenzionali e non, di un eventuale mondo senza vacche.

Se la situazione causata dal COVID-19, che attualmente attanaglia il globo, ci ha insegnato qualcosa finora è che cambiamenti su larga scala nel comportamento umano possono avere un grande impatto su vari indicatori ambientali. I primi report hanno mostrato un calo vicino al 25% delle emissioni di gas serra (GHG) provenienti dalle regioni geografiche considerate ad elevate emissioni di GHG come gli Stati Uniti, la Cina e l’Unione Europea durante le prime settimane della pandemia, principalmente a causa di una diminuzione dell’utilizzo dei trasporti, del fermo dell’industria e del concomitante calo della domanda di petrolio1. Mentre resta da vederel’impatto a breve termine di questi cambiamenti delle emissioni sul cambiamento climatico globale, poche persone con una conoscenza del problema sosterrebbero che in futuro, se volessimo influire positivamente sulla crescente crisi climatica, gli esseri umani dovrebbero modificare le proprie abitudini a lungo termine. Aspetti come il modo in cui riscaldiamo le nostre case, i mezzi di trasporto che utilizziamo, i cibi che consumiamo sono oggi oggetto di un esame molto più approfondito rispetto al passato, ed è giusto che sia così. L’autoriflessione è un buon primo passo verso il cambiamento, quindi si spera che i dibattiti accesi su diversi fronti saranno istruttivi nel momento in cui cercheremmo di aiutare il nostro pianeta in difficoltà. Insieme alla crescente consapevolezza del fatto che molti esseri umani in tutto il mondo soffrono di malnutrizione collettiva in tutte le sue forme – dal rachitismo/deperimento tipico principalmente (anche se non esclusivamente) dei paesi in via di sviluppo fino all’obesità patologica altrove – molte autorità ed organizzazioni sanitarie hanno assunto una visione più critica verso il nostro sistema alimentare globale e verso i cambiamenti che dovremo attuare per migliorare la salute delle persone e del pianeta. Sicuramente l’equilibrio tra salute umana e climatica è delicato e la ricerca di eventuali soluzioni rimarrà una delle principali sfide del 21° secolo. Partendo da questa panoramica, abbiamo pensato che potesse essere interessante provare un piccolo esperimento mentale: e se ti svegliassi domani in un episodio di “Ai confini della realtà” e tutte le vacche sulla Terra fossero sparite? Non occuperebbero più i pascoli della Nuova Zelanda, non vagherebbero liberamente in India o non fornirebbero più il sostentamento alle tribù nomadi in Africa, in Mongolia o ad intere comunità nel Wisconsin. Certamente, questa tematica estremizzata è diventata un grido di battaglia politica negli Stati Uniti, dagli attivisti che hanno preso d’assalto il palco dei comizi presidenziali con cartelli che recitavano “Morte ai latticini”, ai politici che accusavano i loro oppositori di fomentare l’idea di “un mondo senza vacche”.

E se un giorno ci svegliassimo e tutte le vacche sulla Terra fossero sparite?

Conseguenze nutrizionali di un mondo senza vacche

Per gli abitanti delle città, gli effetti più evidenti si vedrebbero nei negozi di generi alimentari, nei nostri frigoriferi e nelle nostre diete. Tra l’altro, non avremmo più accesso ai tagli di carne di manzo preferiti dalle persone, ma questo è un argomento che momentaneamente non ci riguarda. Durante questo esperimento mentale, ci concentreremo principalmente sulle vacche da latte (anche se vale la pena sottolineare che in alcuni paesi le vacche da latte abbattute ed in sovrannumero possono rappresentare il 50% circa della carne bovina prodotta in quei paesi)2. Se le vacche da latte cessassero di abitare la Terra, non poteremmo più usufruire del latte o degli innumerevoli latticini da esso derivati. Niente più burro, formaggi, yogurt, kefir o gelati e le ricette di molti alimenti di base, che richiedono la presenza di derivati del latte visti i loro benefici funzionali (consistenza, sensazione in bocca, gusto, ecc.), dovrebbero essere modificate. A livello globale, i latticini forniscono il 5% dell’energia nella dieta. Senza di essi perderemmo una fonte fondamentale di minerali e vitamine (molti dei quali sono nutrienti di interesse pubblico non assunti adeguatamente) compreso il calcio, il fosforo, lo zinco, il potassio, le vitamine A e D (in quelle zone del mondo dove si fortifica il latte con l’aggiunta di vitamina D), la riboflavina e la vitamina B12; inoltre contengono proteine di alta qualità3, così come sono uno degli alimenti più ricchi di nutrienti e meno costosi della dieta4. Per di più, in particolare quando parliamo di alimentazione dei bambini, è stato dimostrato che le alternative rappresentate dal “latte” di origine vegetale semplicemente non sarebbero capaci di colmare il vuoto nutrizionale dato dalla mancanza dei prodotti lattiero-caseari. Un recente documento di sintesi della North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition5 ha chiarito che, tra le altre cose, le bevande a base vegetale sono scadenti sostituti dei latticini, indicando che il latte di mandorla e di riso contengono, rispettivamente, il 2% e l’8% delle proteine equivalenti che si ritrovano in un bicchiere di latte vaccino. Detto questo, potremmo sopravvivere da un punto di vista nutrizionale e mantenerci in salute in un mondo senza vacche? Naturalmente, molti di noi potrebbero farlo, se fossimo obbligati. Alcune persone scelgono di non consumare latticini per motivi personali o di salute/allergia e, con un’attenta pianificazione della dieta, possono certamente vivere una vita sana e piena di alternative. Per altri, tuttavia, sostituire i latticini come alimento sano della dieta non è così facile come potrebbe sembrare. I latticini sono la fonte principale di proteine di altissima qualità e tra le più accessibili della dieta umana6, ed in quelle aree del mondo in via di sviluppo dove le proteine di alta qualità scarseggiano, i latticini possono essere letteralmente un’ancora di salvezza. Per la persona media che vive nella maggior parte dei paesi sviluppati in un contesto di “abbondanza” alimentare, questo potrebbe essere un concetto difficile da comprendere. Ma in paesi come l’India, dove si stima che fino al 70% della popolazione soffra di un certo grado di malnutrizione proteica e calorica e che il 40% della forza lavoro abbia sofferto di rachitismo da bambino7, questo concetto è fin troppo reale. Nei paesi in via di sviluppo dove si trovano prodotti lattiero-caseari sicuri e convenienti (ad esempio, Kenya, Vietnam, Cambogia, Ruanda, Bangladesh), i tassi di rachitismo e di malnutrizione sono dimostrabilmente inferiori rispetto a quelli dei paesi dove l’alimentazione si basa principalmente su diete a base di vegetali, vedi alcune regioni dell’Africa orientale e meridionale, dell’Asia centro-meridionale (inclusa l’India) e dell’America centrale9. Anche la qualità delle proteine è un aspetto importante; la ricerca ci indica che i fabbisogni degli aminoacidi essenziali possono essere soddisfatti con un apporto calorico inferiore quando gli aminoacidi provengono da proteine di alta qualità piuttosto che da proteine di qualità inferiore10, con alcuni ricercatori che suggeriscono che una persona potrebbe consumare circa il 20-30% in meno di proteine ogni giorno se fossero presenti i latticini nella dieta rispetto a quanto succederebbe in caso di diete di scarsa qualità contenenti alimenti a base di cereali o con diete vegane11. Un impiego più efficiente delle calorie potrebbe avere implicazioni anche per quanto riguarda l’utilizzo dei terreni destinati alle coltivazioni. Che dire dell’argomentazione secondo la quale le vacche sono scarsi convertitori di proteine? Alcune stime suggeriscono erroneamente che le vacche debbano ingerire fino a 6 kg di proteine per produrre 1 kg di proteine commestibili per l’uomo12. Tuttavia va ricordato, che le proteine che le vacche ingeriscono, attraverso il fieno, l’erba, l’insilato e gli altri i prodotti fibrosi quando pascolano, sono in gran parte non commestibili per gli esseri umani e di qualità molto inferiore rispetto alle proteine prodotte dalle vacche stesse. In effetti, è stato stimato che circa l’86% degli alimenti consumati dal bestiame non verrebbe consumato dagli esseri umani13. Ad esempio, in California, le vacche consumano fino a 38 milioni di libbre di malli di mandorla all’anno, un sottoprodotto dell’industria della lavorazione delle mandorle che altrimenti finirebbe nelle discariche. In questo modo, le vacche non solo ci salvano dallo smaltire un prodotto di scarto in gran parte non commestibile, ma ci aiutano anche a creare un’alimentazione umana “due per uno”. Gli esseri umani possono trarre vantaggio dal consumo delle mandorle raccolte durante il processo, ma beneficiare anche del latte prodotto dalle vacche che hanno consumato i malli delle mandorle14. Va ricordato che nel corso degli anni, con il progredire della genetica animale e della gestione degli allevamenti, è aumentata anche la capacità della vacca da latte di convertire le proteine non commestibili in latte di alta qualità utile per l’uomo. La ricerca evidenzia che, visto il miglioramento della nostra capacità di allevare vacche più efficienti e di creare opzioni di alimentazione più sane, la maggior parte dell’alimento consumato dalle vacche viene utilizzato per la produzione di latte piuttosto che per mantenere la salute ed il peso degli animali15. Più o meno come un’automobile altamente efficiente che può percorrere distanze maggiori con meno carburante, le vacche più efficienti possono produrre più latte con meno mangime e con minori intensità di emissione. A dire il vero, questa situazione è molto diversa da regione a regione. Le vacche da latte in Nord America, Europa e Oceania sono molto più efficienti e producono molto più latte per unità di GHG rispetto a quelle allevate in altre parti del mondo16. Tuttavia, questa situazione migliorerà indubbiamente in futuro, consentendo ai paesi in via di sviluppo di “recuperare”, man mano che la tecnologia diventerà più disponibile anche per loro, cosa che a sua volta migliorerà ulteriormente l’impronta globale del settore lattiero-caseario.

Si stima che solamente il 3% circa dei terreni utilizzati a livello globale dalle vacche da latte sia un potenziale terreno coltivabile.

Conseguenze ambientali in un mondo senza vacche

Che dire dell’idea che se le vacche non pascolassero più sui terreni, come succede in molte parti del mondo, avremmo a nostra disposizione milioni di acri in più in tutto il pianeta da coltivare? Il fatto è che circa il 70% dei terreni attualmente utilizzati nel mondo per allevare vacche è rappresentato da pascolo permanente17, una tipologia di terreno che a causa della topografia, della qualità del suolo o di altri fattori non sarebbe utilizzabile come terreno coltivabile nelle migliori circostanze. È stato stimato che solamente il 3% circa dei terreni impiegati a livello globale per l’allevamento delle vacche da latte sarebbe un terreno potenzialmente coltivabile17. Se le vacche scomparissero dal pianeta, gran parte dei terreni che attualmente fanno parte di un sistema alimentare dinamico e produttivo diventerebbero essenzialmente improduttivi e/o fortemente dipendenti dai fertilizzanti sintetici (in contrapposizione al letame di vacca, che può fertilizzare efficacemente i campi) per riuscire ad ottenere una produzione agricola redditizia. Molti ambientalisti sottolineano che se le vacche non esistessero più, ci libereremmo di una fonte primaria di GHG. E mentre è vero che le vacche sono una fonte di metano ambientale, protossido di azoto e di anidride carbonica (CO2), la quantità e la tipologia di GHG prodotti dalle vacche da latte devono rimanere nel contesto delle emissioni totali di GHG provenienti da tutte le fonti. Vale la pena dire che anche il modo in cui viene espressa la produzione di GHG può avere un grande impatto sul modo in cui un animale (o una specie) viene percepita in termini di minaccia per l’ambiente. Quando l’intensità delle emissioni è espressa per chilogrammo di proteine prodotte da un animale (piuttosto che tramite il più diffuso kg CO2-eq, che non tiene conto dei prodotti finali altamente nutrienti della produzione lattiero-casearia), le vacche da latte se la cavano abbastanza bene, mostrandosi più in linea con la produzione di pollame e suini rispetto alla maggior parte dei piccoli ruminanti o delle vacche da carne18. A livello globale, tutto il settore dell’allevamento è responsabile del 24% delle emissioni di GHG; all’interno di questo il settore lattiero-caseario è responsabile del 2.7% (3% se si tiene conto dei gas serra aggiuntivi prodotti quando le vacche più anziane non sono più in grado di produrre latte in modo efficiente e vengono macellate per la carne)16.Tuttavia, secondo l’US Environmental Protection Agency’s 2016 US and Global Report19-20 il settore dei trasporti negli Stati Uniti è responsabile del 28% circa delle emissioni di gas serra (14% a livello globale), il settore energetico del 28% circa (25% a livello globale) e l’industria del 22% circa (21% a livello globale). Inoltre, l’EPA stima che negli Stati Uniti l’impatto del settore dell’allevamento sulla produzione di gas serra sia persino inferiore rispetto alle stime globali; tutta l’agricoltura statunitense contribuisce per il 9% alla produzione di gas serra, mentre l’allevamento contribuisce al 3.9%. Di conseguenza, la produzione di energia negli Stati Uniti (che comprende la produzione di elettricità/calore, i trasporti, il manifatturiero ed altri settori) contribuisce dalle 4 alle 6 volte di più alle emissioni di gas serra rispetto al settore agricolo. A livello globale, il numero è più vicino a 3:1 21. È chiaro che il contributo della produzione lattiero-casearia alle emissioni globali di GHG, sebbene non irrilevante, è di gran lunga inferiore a quello delle industrie a più alte emissioni. Vale anche la pena notare la problematica spesso tralasciata e fraintesa legata alle tipologie di gas serra emessi dalle varie fonti che producono carbonio. Secondo molti esperti ambientali, paragonare i gas serra prodotti dal bestiame ai combustibili fossili è come mettere a confronto una mela con un’arancia. Il gas serra principalmente prodotto dal bestiame è il metano, un gas potente ma con vita relativamente breve che alla fine viene distrutto nell’atmosfera. L’anidride carbonica, il principale gas proveniente dai combustibili fossili, tende ad accumularsi nell’atmosfera ed esercita un effetto riscaldante decenni dopo la sua emissione. Nel lungo periodo, la raccolta dei combustibili fossili dal suolo ed il loro successivo utilizzo come combustibile sono ritenuti dalla maggior parte delle persone più dannosi per l’ambiente rispetto al metano prodotto dal bestiame, gran parte del quale alla fine viene distrutto o riciclato nell’atmosfera.

Un numero crescente di prove indica che il principale gas serra prodotto dalle vacche, il metano, ha un potenziale di riscaldamento significativamente inferiore rispetto alla CO2 prodotta dai combustibili fossili.

Inoltre, viene spesso sottovalutata la relazione simbiotica che esiste tra la vacca ed il terreno quando si parla di ciclo del carbonio e di gestione dei nutrienti. Non solo l’erba e la vegetazione dove pascolano le vacche servono come serbatoio di carbonio capace di sequestrare gran parte del carbonio prodotto dagli animali22, ma anche il letame prodotto dalle vacche è esso stesso responsabile del sequestro di carbonio; una volta che viene cosparso nuovamente sui nostri terreni agricoli, possiamo immagazzinare ulteriormente carbonio. Una vacca produce circa 64 litri (17 galloni) di letame al giorno, abbastanza fertilizzante per coltivare circa 38 kg (84 libbre) di pomodori. Senza le vacche, gli agricoltori dovrebbero fare ancora più affidamento sui fertilizzanti sintetici per aiutare le loro colture a crescere, situazione non ottimale dal punto di vista ambientale (infatti, molte delle emissioni incluse nel calcolo dei GHG attribuibili al settore lattiero-caseario provengono dal contributo dei fertilizzanti sintetici). Inoltre, alcune nuove tecnologie (come i sistemi di digestione anaerobica) consentono agli allevatori e ad altri imprenditori di generare elettricità dal letame e di alimentare auto e camion. Un mondo senza vacche ci priverebbe di questa fonte di energia spesso sottovalutata, così come del fertilizzante organico e dei nutrienti che produce. Volendo essere provocatori, perché il bestiame (una fonte di alimenti per l’uomo e di altre qualità utili alla vita) viene spesso identificato come il “colpevole” delle emissioni di GHG, mentre altre specie come i cavalli ed gli animali domestici sembrano ottenere un lascia passare gratuito? Negli Stati Uniti ci sono 9 milioni di vacche da latte e di cavalli23 e più di 160 milioni di cani e di gatti, ed è stato stimato che queste creature carnivore consumino all’incirca il 30% in più di cibo e producano il 30% in più di feci rispetto agli esseri umani. È stato stimato che i cani ed i gatti producono circa 64 milioni di tonnellate di metano e protossido di azoto all’anno. Tuttavia, la maggior parte degli amanti degli animali domestici non prenderebbe mai in considerazione l’idea di vivere in un mondo senza cani e gatti. Detto questo, non vogliamo certo minimizzare il fatto che le vacche attualmente siano dei produttori netti di GHG. Ma attraverso la realizzazione di una tipologia di allevamento capace di produrre vacche più efficienti e l’adozione migliori pratiche di gestione, e grazie all’avvento di tecnologie che siano capaci di ridurre la quantità di carbonio emesso dalle vacche e di incrementare la quantità di carbonio immagazzinata nel terreno, il futuro del bestiame e il suo impatto sull’ambiente sembrerebbe più promettente. Grazie ad una gestione corretta, non c’è motivazione per cui il settore lattiero-caseario non possa trasformarsi in un produttore di carbonio zero nei prossimi decenni, una situazione che certamente renderebbe più accettabile la vita in simbiosi sulla Terra tra esseri umani e ruminanti (come le vacche), come hanno fatto quasi dagli albori dell’uomo.

Nuove tecnologie e pratiche di allevamento possono produrre vacche più efficienti, il che significherebbe più latte prodotto per unità di GHG emessi.

Conseguenze culturali ed economiche di un mondo senza bovini 

Infine, le zone in cui gli esseri umani risentirebbero maggiormente delle conseguenze di un mondo senza vacche sarebbero quelle, principalmente rurali, dove questi animali punteggiano il paesaggio e fungono da fonte primaria di reddito e da punto di contatto culturale chiave per la comunità. Queste zone le ritroviamo principalmente nei paesi in via di sviluppo (ad esempio, India, Ruanda, Tanzania, Kenya, Bangladesh), ma non soltanto (ad esempio, Francia, Stati Uniti, Cina, Nuova Zelanda). Circa 600 milioni di persone in tutto il mondo vivono in circa 133 milioni di aziende lattiero-casearie, per lo più piccole fattorie che ospitano in media dalle 2 alle 3 vacche. Altri 400 milioni di persone, all’interno e all’esterno di queste comunità, traggono il loro sostentamento dal settore lattiero-caseario. Immaginiamo gli effetti su intere città e aree geografiche se le vacche scomparissero dal paesaggio. Le comunità che dipendono dalle vacche perderebbero la loro vitalità, così come la loro “polizza assicurativa” in caso di fallimento dei raccolti o di altre catastrofi, che richiederebbero un accesso immediato al cibo o al denaro. In quelle aree del mondo in via di sviluppo dove le donne hanno poche opportunità di possedere terreni ma possono avere del bestiame, e dove l’allevamento da latte offre alle donne stesse la possibilità di sviluppare e guidare imprese e di generare flussi di denaro giornalieri, queste possibilità verrebbero fortemente meno. Attualmente, 37 milioni di donne in tutto il Mondo sono a capo di aziende lattiero-casearie e circa 80 milioni di donne sono impiegate in questo settore. Aspetti come questi vengono spesso trascurati dalle persone che vivono in aree (prevalentemente occidentali) dove il settore caseario è meno importante, ma le loro implicazioni sono reali. Inoltre, poiché la popolazione mondiale si avvicina ai 10 miliardi di abitanti entro il 2050, la necessità di proteine di alta qualità e di altri alimenti molto nutrienti diventerà sempre più importante. Come andremmo a compensare questa carenza alimentare in un mondo senza vacche? Di certo non facilmente. Persino gli autori del recente report EAT-Lancet, un documento che vuole essere un progetto globale di come le persone dovrebbero vivere e mangiare in futuro per riuscire a sostenere la salute sia umana che del pianeta, indicano che in assenza di latticini ed di altri alimenti di origine animale le persone saranno costrette ad assumere degli integratori per compensare le carenze nutrizionali presenti nelle diete a base di vegetali.

Conclusione

Come sarebbe un mondo senza vacche? Dal lato positivo, le emissioni di GHG potrebbero essere inferiori, anche se sempre più produttori di latte in tutto il mondo si sono impegnati nel ridurre le emissioni attraverso l’impiego concomitante di una miglior gestione dei mangimi e dell’alimentazione, di un miglior utilizzo di letame e di fertilizzanti, di un utilizzo più intelligente dell’energia in azienda e tramite il miglioramento della salute degli animali e delle pratiche di gestione dell’allevamento, anche se il vantaggio si ridurrà in futuro. E mentre tutti noi aspiriamo a mangiare in maniera più sostenibile, vale la pena ricordare a noi stessi che è follia pensare che scegliere i ceci arrivati dal droghiere dall’altra parte del mondo rispetto ad un formaggio di provenienza locale sia una scelta più sostenibile. Dal lato negativo, un mondo senza vacche indubbiamente renderebbe più difficile nutrire adeguatamente una popolazione globale in crescita. Le economie e le culture di intere comunità, stati e paesi soffrirebbero enormemente se questa importante fonte di reddito e sicurezza venisse eliminata. Gli alimenti che favoriscono un certo grado di godimento nella vita di molte persone non esisterebbero più. Mentre siamo alla ricerca di modi creativi per nutrire gli abitanti della terra in futuro con un impatto minimo sull’ambiente, dobbiamo essere sicuri di non “buttare il bambino insieme all’acqua sporca”. Ridurre quella che per migliaia di anni è stata una forma di alimentazione di alta qualità e uno stile di vita per milioni di persone avrebbe sicuramente delle conseguenze indesiderate. Se la pandemia causata da COVID-19 ci ha insegnato qualcosa, è che possiamo raggiungere dei grandi cambiamenti, per quanto riguarda le emissioni globali di GHG nel breve periodo, modificando principalmente le nostre abitudini di consumo di energia, suggerendoci che la necessità di spingere verso dei cambiamenti radicali nel settore dell’allevamento di bestiame, sebbene importante, è in paragone relativamente di poco conto. Sebbene l’industria lattiero-casearia (come tutti i settori che si aggiungono alle emissioni globali) abbia del lavoro da intraprendere, un mondo senza vacche è probabilmente meglio lasciarlo come un episodio di “Ai confini della realtà” e non di un reality show. Il rapporto costo/beneficio della perdita di questa importante fonte di nutrimento e di stabilità economica e culturale sarebbe tremendamente alto.

Food, Nutrition and Sustainability

A World Without Cows – Imagine Waking Up One Day to a New Reality

Autori: Kanter Mitch PhD, MooreDonald

Mitch Kanter, PhD: è il Direttore Tecnico della Global Dairy Platform a Rosemont, Illinois. Durante la sua trentennale carriera all’interno dell’industria alimentare e del settore agricolo ha ricoperto numerosi ruoli di direttore tecnico per parecchie compagnie ed organizzazioni multinazionali. Il Dr. Kanter ha iniziato la sua carriera in ambito accademico, ricoprendo il ruolo di Professore Associato e di NIH Post-Doctoral Research Fellows alla Washington University School of Medicine di St Louis, e ha mantenuto un Adjunct Associate Professorship alla University of Minnesota.

Donald Moore: è Executive Director of the Global Dairy Platform di Rosemont Illinois essendone entrato a far parte nel 2010. Precedentemente ha rivestito ruoli di primo piano in Marketing, Business Development and Strategy per una delle più importanti cooperative del settore lattiero-caseario a livello mondiale. In precedenza è stato CEO della più grande società indipendente di consulenza per la gestione del business e delle informazioni della Nuova Zelanda.

Entrambi gli autori sono dipendenti della Global Dairy Platform.
Questo è un articolo open access distribuito secondo i termini della Creative Commons Attribution-Non

Commercial-No Derivatives License 4.0 (CCBYNC-ND), dove è consentito scaricare e condividere il lavoro purché opportunamente citato. Il lavoro non può essere modificato in alcun modo o utilizzato a fini commerciali senza il permesso della rivista.

doi: 10.1097/NT.0000000000000441

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