Un vecchio adagio recita che riceviamo la terra in eredità dai nostri avi ed in prestito dai nostri nipoti. Idealmente allora il nostro compito, quello di chi vive nel presente, è amministrare al meglio questo bene inestimabile, certi che per sua stessa natura ci sopravviverà e che lo consegneremo a chi verrà dopo di noi.

Nella nostra epoca potremmo impersonare il mercato globale nel severo padrone della famosa parabola dei talenti: verrà a chiederci il conto e non ammetterà scuse.

Fortunatamente, esistono strumenti che permettono di muoversi senza brancolare nel buio; tra questi il Conto Economico. Lo possiamo paragonare alla luce del giorno, per restare in tema evangelico.

Semplice ed accessibile, con esso misuriamo il risultato delle nostre scelte: ci indica l’impatto dei cambiamenti che abbiamo apportato così come ci sottolinea l’inerzia di quelli che non abbiamo voluto apportare perché, in fondo, “si è sempre fatto così”.

A conti fatti, il Conto Economico ci permette di esercitare un controllo, ma ne raggiungiamo immediatamente il limite quando cominciamo a leggerlo. È come interpretare una lingua sconosciuta senza avere una legenda: un costo alimentare annuo di 300.000 euro è tanto o è poco? Possiamo parametrizzarlo, rapportarlo al numero di litri di latte prodotto oppure al numero di vacche munte. Diciamo così che quel costo equivale a 0,25 € al litro, oppure a 3.000 € a vacca. Ma siamo da capo: è tanto o è poco?

L’unica cosa che possiamo fare con questa Stele di Rosetta è paragonare i nostri dati con quelli dell’anno precedente, e concludere che siamo andati meglio o peggio.

L’unico modo per uscire da questa viziosa spirale di autoreferenzialità si chiama benchmark. Se confrontiamo i nostri dati, parametrizzandoli, con quelli di altre aziende che fanno il nostro stesso lavoro si aprirà un mondo inaspettato. È facile e per niente infrequente che chi ha sempre pensato di spendere pochissimo per questa o quella voce di costo scopra di trovarsi diversi centesimi sopra la media. E ognuno sa quante migliaia di euro vale un centesimo risparmiato, cioè guadagnato, a casa propria.

Abbiamo appena terminato, con una riunione (virtuale, visti i tempi) molto partecipata, di presentare agli utilizzatori di Ergo Eco, il nostro software per la creazione del Conto Economico, i risultati dell’elaborazione dei benchmark. Ne sono uscite considerazioni molto interessanti.

Concentrandosi sui costi alimentari, che costituiscono da soli circa due terzi dei costi operativi totali, si scopre che la media del campione in analisi, 0,26 €/l, non coincide né con la moda, né con la mediana, per dirla come gli statistici. In altre parole, il 60% circa delle aziende aderenti al programma ha costi alimentari inferiori alla media. Il restante 40% si situa nella media o sopra di essa, a testimonianza del fatto che l’informazione in sé non basta a spiegare la situazione. Chi si trova nella media infatti ora sa che non può proprio tirare un sospiro di sollievo: un primo traguardo potrebbe infatti trovarsi almeno 3 centesimi sotto, come le aziende più virtuose di questo confronto. Da esse potrà prendere spunto.

Sono in verità molteplici le analisi che si possono sviluppare e spesso il loro contenuto conferma la bontà del lavoro intrapreso.

Ne costituisce una riprova il confronto tra i costi alimentari del gruppo di aziende che ha partecipato agli ultimi due benchmark. Nel 93% dei casi si è assistito ad un miglioramento della struttura dei costi. La media del campione fa segnare quasi 2 centesimi/litro di minor costo alimentare (con casi che sono arrivati a 3,70 cent/litro). Se immaginiamo una stalla media, che produce circa 40.000 quintali di latte all’anno, parliamo di un risparmio di circa 80.000 € e, ribadiamolo, di soli costi alimentari. Non esattamente noccioline.

Passare dalla teoria alla pratica è possibile: basta volerlo. Se il conto economico accende la luce, i benchmark forniscono gli occhiali. Seduti nelle nostre aziende, lontano dai rumori della giornata, abbiamo finalmente in mano lo strumento che serve per prendere le decisioni.

Potremo dire al mercato che non abbiamo avuto paura, che non abbiamo nascosto il talento sotto terra e che non ci abbiamo, con esso, messo anche la testa per non affrontare la realtà.

E ai nostri nipoti, che ce l’hanno prestata, restituiremo una terra migliore di come l’abbiamo trovata.