Carni conservate, prima fu il bovino

Le carni conservate con il sole e il sale, e cioè i salumi (chiaro è il collegamento tra sole, sale e salume, o carne essiccata o salata), hanno un’origine antichissima. Alcune indicazioni di carni conservate con il sale e insaccate (salumi) si hanno nell’antica Mesopotamia (3400 anni fa). Più precise indicazioni sono state ritrovate nella tomba del faraone Ramsete III nell’antico Egitto a Tebe, nella valle dei Re, risalente a circa il 1188 avanti Cristo e studiata da Wilkinson (1878), dove è raffigurata una cucina egiziana con scene di macellazioni di un bovino nelle quali vi sono figure che paiono intestini e parti di carni stese su supporti ad essiccare. Che gli antichi egizi conservassero i pesci seccandoli al sole ce lo dice anche Erodoto e pesce secco è stato trovato nella tomba di Kha, come si può ancora oggi vedere nel Museo Egizio di Torino. Si può quindi concludere che la conservazione delle carni bovine era nota agli egiziani oltre tremila anni fa e forse la carne bovina è stata conservata prima di quella dei maiali, animali non molto amati dagli egiziani e lasciati agli strati più umili della popolazione. Nell’antichità le carni più pregiate erano quelle dei ruminanti, e in particolare dei bovini, ed è quindi molto probabile che le carni di questi animali siano state anche conservate prima di quelle di altri animali.

Nelle regioni alpine il bestiame bovino era costituito da razze rustiche a duplice o triplice attitudine, adatte al lavoro e capaci di dare discrete quantità di latte destinato alla produzione di formaggi e una discreta quantità di carne. Tra queste vi sono la Bruna Alpina, la Simmenthal, la Pezzata Rossa ecc. Ogni famiglia aveva pochi capi che trascorrevano l’inverno nelle stalle e che, in primavera avanzata, dopo la stagione dei parti, erano riuniti in mandrie che salivano nei pascoli d’altura fino all’autunno. Al ritorno, gli animali più vecchi erano macellati e i tagli di carne migliore erano conservati tramite salagione con tecniche tradizionali locali, dando origine a preparazioni diverse note con nomi quali bresaola, slinzega, mocetta, carne salada, fumada o salmistrada, mentre carni di altri tagli erano consumate fresche o trasformate in salami e salsicce. La più nota bresaola bovina nacque nelle vallate svizzere, quelle del cantone dei Grigioni, in tempi assai remoti, comparendo solo più tardi in Valtellina.

Odiernamente, gran parte della popolazione associa le carni conservate a quelle di maiale, dimenticando l’importanza delle carni dei ruminanti, tra cui quelle dei bovini, carni conservate con il sole, il sale e la stagionatura che meritando una breve rassegna dei prodotti italiani.

Bresaola

La bresaola è un salume crudo italiano, formato da carne di manzo salata ed essiccata, a pezzo intero, non affumicato, insaccata in budello, ricavato dalle cosce di bovino di età compresa fra i diciotto mesi e i quattro anni e con un tempo di stagionatura compreso tra le quattro e le otto settimane. La bresaola, di norma, ha una forma di cilindro o parallelepipedo, più o meno regolare, avvolto da un budello di colore grigiastro, con o senza legatura. Al taglio si presenta di colore rossastro, più o meno scuro o acceso a seconda delle carni impiegate, compatta e con scarse venature dovute ai depositi di grasso e al connettivo. La bresaola si consuma affettata, come antipasto o come secondo. Discussa e con varie ipotesi è l’origine del nome di questo prodotto, che potrebbe derivare dal germanico “brasa”, brace, per l’uso di impiegare i bracieri nei locali di stagionatura; dal dialetto “brisa”, una ghiandola dei bovini fortemente salata; da un etimo antichissimo bre (ruminante) e sal. La Bresaola della Valtellina è un prodotto a indicazione geografica protetta (IGP), ma in generale la bresaola è prodotta in varie zone dell’Italia settentrionale, in vari tipi o varianti che utilizzano altre carni di ruminanti domestici (bufalo, zebù e loro incroci) e selvatici (cervo). Non dovrebbero essere denominate bresaole, prodotti similari ottenuti da carni di cavallo o maiale.

Bresaola della Valtellina

La Bresaola della Valtellina a Indicazione Geografica Protetta (IGP) è ottenuta da carne di manzo, salata e stagionata, e può essere prodotta solo nella provincia di Sondrio (Lombardia) nelle due valli principali situate nel cuore delle Alpi: la Valtellina e la Valchiavenna. È prodotta da carne bovina di razze Europee come la Charolaise e la Limousine o del Sud America, come lo zebù. Il taglio più usato è la punta d’anca, ma vengono utilizzati anche i tagli anatomici della sottofesa e del magatello. Come coprodotto di lavorazione, dalle carni più vicine all’osso si produce la slinzega.

Le prime testimonianze letterarie relative alla produzione della bresaola risalgono al XV secolo, ma l’origine del salume è senz’altro antecedente. La produzione è circoscritta all’ambito familiare sino ai primi decenni del XVIII secolo mentre nel XIX secolo la lavorazione artigianale diventa particolarmente florida e il prodotto varca i confini nazionali per essere esportato nella vicina Svizzera. Nella seconda metà del XX secolo la Bresaola della Valtellina IGP ha un grande successo in tutta Italia e all’estero.

La Bresaola della Valtellina è prodotta nella tradizionale zona dell’intera provincia di Sondrio, ma le carni utilizzate devono avere le caratteristiche che erano tipiche degli animali che un tempo erano allevati nella vallata ma possono provenire da bovini allevati e macellati in altre zone, anche e soprattutto d’importazione (principalmente dal Brasile e dall’Argentina). Tra le razze bovine adatte alla produzione della bresaola, la sottospecie bovina Zebù allevata in America Meridionale e i suoi incroci si adattano particolarmente, come la carne bovina proveniente dai pascoli dell’Irlanda.

La bresaola si ricava dalle seguenti masse muscolari: fesa, punta d’anca, sottofesa, magatello e sottosso. Il taglio muscolare è sottoposto a salagione a secco con sale, pepe macinato e aromi naturali, e possono essere aggiunti vino, spezie, zuccheri, nitriti e nitrati di sodio e potassio, acido ascorbico e suo sale sodico. La durata della salagione va dai dieci ai venti giorni: in questa fase la carne si insaporisce perdendo parte dell’acqua libera presente nel tessuto muscolare. Si passa poi alla lavatura, all’insacco in budelli naturali o artificiali, all’asciugamento in apposite celle a temperatura compresa tra 20 e 30 °C e in condizioni di umidità dell’aria pari al 35-65%. Segue la stagionatura a temperatura compresa tra 12 e 18 °C e in condizioni di umidità dell’aria pari al 70-90% per un periodo che varia dalle due alle quattro settimane. Durante la maturazione vi è un notevole calo di peso e un insaporimento della bresaola, rendendo possibile la sua conservazione per periodi piuttosto lunghi, pur mantenendo inalterate tutte le caratteristiche di sapore, morbidezza e digeribilità.

Bresaola della Val d’Ossola

Nella Val d’Ossola, in Piemonte, è prodotta una bresaola di manzo conosciuta anche come Carne Salata. Per la sua produzione si utilizza la punta dell’anca e il magatello del bovino conciati con sale, spezie e aromi naturali: cannella, chiodi di garofano, aglio, rosmarino, alloro e, facoltativamente, ginepro. La pezzatura è variabile e la bresaola si presenta compatta, consistente e di colore rosso intenso, con scarsissima infiltrazione di grasso.

Bresaola affumicata della Val Chiavenna

La Bresaola affumicata è una variante della bresaola prodotta in Valchiavenna (provincia di Sondrio) nella quale, dopo l’insaccatura in budello naturale e la stagionatura, si procede all’affumicatura con legno di pino.

Bresaola di cervo

In provincia di Novara si produce una bresaola utilizzando i tagli più pregiati della coscia e della spalla del cervo. La carne è lasciata macerare in una salamoia a base di vino rosso e, una volta insaccata, l’asciugatura e la stagionatura concludono la produzione.

Bresaola di bufala

La bresaola di bufala è preparata con cinque diversi tipi di taglio della coscia della bufala. Dopo la rifilatura e la rimozione del grasso esterno comprensivo di parti tendinose, avviene la salagione a secco, con aggiunta anche di vino, spezie, zuccheri e acido ascorbico. Per permettere che sali e aromi migrino completamente nella carne, il taglio è spesso massaggiato, poi messo all’interno di un budello naturale e passato in celle per l’asciugatura. Stagionatura e asciugatura insieme hanno una durata che può variare dalle quattro alle otto settimane in base alla pezzatura. La bresaola di bufala si presenta in forma cilindrica, il colore della carne è rosso scuro con disegnate al suo interno delle sottili venature di grasso. I grassi presenti sono facilmente separabili dal magro e hanno un ottimo il rapporto tra saturi ed insaturi. Il prodotto ha un elevato contenuto di proteine e un profumo gradevole e delicato, leggermente aromatico.

Slinzega

La Slinzega di carne bovina (esiste anche una Slinzega di carne equina) è un coprodotto della Bresaola della Valtellina ottenuto dalla coscia di manzo, e in particolare dalla fesa o noce. Più piccola della bresaola, è sottoposta alla salatura ed è aromatizzata con cannella, garofano, pepe, aglio, alloro e vino rosso. La stagionatura è di circa trenta giorni. Il colore della carne è di un rosso molto scuro e la consistenza coriacea e fibrosa.

Mocetta

La motsetta, motzetta o mocëtta (in italiano mocetta) è un salume di origine antica, parte del tradizionale tagliere delle Alpi Occidentali e riconosciuta come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano. La mocetta è prodotta in tutta la Valle d’Aosta e nel Piemonte settentrionale (Canavese, Valsesia, Val d’Ossola) partendo da tagli magri di carne bovina, prevalentemente muscolo di coscia. L’origine di questo salume è antica e deriva dall’esigenza delle famiglie contadine di conservare la carne durante i lunghi mesi invernali. Oltre che di carne bovina, la mocetta può essere fatta anche di carne di altri ruminanti: carne ovina, caprina, di selvaggina (camoscio e stambecco) e anche carne suina. Per la mocetta di bovino valdostana, la carne è insaporita con aglio, alloro, rosmarino, salvia e altre erbe di montagna, quindi salata e ricoperta del liquido proveniente dalla carne stessa. Così preparata la mocetta è lasciata riposare in luogo fresco per un tempo variabile: nella preparazione casalinga, la carne è messa sotto peso a insaporirsi fino a venti giorni. Nelle macellerie artigianali, spesso in ambiente sottovuoto, la carne è massaggiata per mantenere una colorazione omogenea e salvaguardare le note aromatiche. Per entrambe le modalità la carne deve asciugarsi e stagionare appesa in un locale aerato e asciutto.

Salami e salsicce di carne bovina

Nel passato molte erano le carni che, singolarmente o associate, entravano nei salami. Per questo motivo esisteva un piombino con una sigla che attestava l’origine delle carni: S per suino, B per bovino, E per equino, con le diverse combinazioni SB, SE, SBE in quanto il grasso di suino era spesso presente per dare morbilità a impasti di carni molto magre. In molti salami e salsicce tradizionali di carne bovina, la carne macinata è mescolata con lardo e carne suina, sale, pepe e spezie. Insaccata, è fatta asciugare e stagionare per un periodo che secondo la grandezza del salame varia da 1 a 9 mesi. Al momento del consumo l’impasto ha colore rosso inframmezzato dal bianco delle parti grasse, il profumo è delicato e gradevole. Al gusto il salame è saporito e con note dolci.

Salame di turgia

Turgia, nel linguaggio dei commercianti di animali dell’antico Piemonte, è la vacca a fine carriera, che a conclusione di una più o meno lunga stagione riproduttiva è destinata alla macellazione. La parola turgia in piemontese indica anche una vacca sterile e può pertanto anche essere un animale giovane. In alcune zone del Piemonte la sua carne è utilizzata per la produzione di un particolare salume, ricercato dai gourmet, detto appunto di turgia nelle Valli di Lanzo e salame di giora o giura a Carmagnola. Il Salame di turgia, a base di carne di vacca, lardo, pancetta suina, sale, pepe, aglio, vino rosso e spezie, e insaccato nel budello torto di bovino, fu riscoperto e rilanciato sul finire degli anni ’90 dal medico veterinario torinese Andrea Fontana, che contribuì anche a riscriverne il disciplinare di produzione. La Provincia di Torino ha inserito questo salame nel suo Paniere dei Prodotti Tipici, e il Ministero delle Politiche Agricole, d’intesa con la Regione Piemonte, ha inserito il Salame di turgia tra i Prodotti tradizionali. Consumato prevalentemente crudo e fresco, come salume servito su tagliere, può essere anche sottoposto a stagionatura o a cottura per abbinarlo eventualmente ad altri ingredienti nella preparazione di piatti tipici.

Salame di giora

Simile al Salame di turgia, il Salame di giora (pronuncia: giura) è un salame ad impasto consistente, a grana fine, prodotto con carne di vacche di razza Piemontese non più idonee alla riproduzione ed ingrassate (giore). La carne è miscelata con lardo di maiale, sale, spezie (pepe bianco, cannella, noce moscata), zucchero e vino Barolo. Il Salame di giora si consuma crudo dopo alcuni mesi di stagionatura ed è prodotto solamente nel periodo che va da dicembre a fine marzo. Zona di produzione è la pianura a sud di Torino fino ad arrivare al Cuneese (da Carmagnola al Braidese).

Salsiccia di Bra

La salsiccia o salciccia di Bra (in piemontese sautissa ëd Bra) è un insaccato riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) prodotto in Piemonte, a Bra, dalle macellerie associate al Consorzio per la Tutela e la Valorizzazione della Salsiccia di Bra. Nel passato la salsiccia di Bra era prodotta senza utilizzare il grasso suino e destinata principalmente alla comunità ebraica di Cherasco che per motivi legati alla religione non poteva consumare insaccati a base di carne suina. Odiernamente, la salsiccia è preparata con carni magre bovine (70-80%) e grasso suino per il rimanente.

Carne salada del Trentino

Carne salada è un salume caratteristico della provincia di Trento, generalmente preparato con tagli di manzo e lingua di vitellone. Esistono però varianti ottenute dai quarti posteriori di animali diversi: altri ruminanti oltre ai bovini (castrato, capra, cervo e capriolo), ma anche cavallo, asino e maiale. Della carne salada del Trentino si trova traccia già in un manoscritto quattrocentesco dal titolo Libro de cosina composto et ordinato per lo hegregio homo Martino de Rubei de la Valle de Bregna, coquo dell’illustre Signore Johanne Jacobo Trivulzio. La carne salada si ottiene solitamente con la fesa e occasionalmente anche con sottofese e magatelli di bovino adulto. Si prepara massaggiando la carne, in genere le parti posteriori del manzo, coscia e schiena, con una salamoia secca, ovvero sale, pepe nero, bacche di ginepro, alloro, rosmarino, salvia e aglio, per poi metterla in un pitar, recipiente di terracotta, e schiacciarla con un peso. Rimane in riposo per venti, trenta giorni, bagnandola con vino bianco. Durante la maturazione la carne salada va conservata in locali bui ad una temperatura massima di 12 °C e deve essere massaggiata ogni due, tre giorni. A maturazione avvenuta, la carne salada di bovino ha un profumo caratteristico e aromatico, è tenera al taglio ed ha un bel colore rosso vivo.

Carne salmistrata e Carne fumada della Val di Cembra

La Carne salmistrata della Valle di Cembra (Trentino) si presenta fresca, profumata e aromatica, al taglio è tenera e di un colore rosso scuro. Se sottoposta a affumicatura prende il nome di Carne fumada e si presenta di un colore scuro esternamente e di un colore rosso vivo all’interno, con il caratteristico profumo e sapore dei prodotti affumicati. Sono utilizzati i quarti posteriori dei bovini che possono anche essere uniti a carni di cavallo e di altre specie animali. Le carni sono tagliate in pezzi di uno, due chilogrammi per il manzo e il cavallo, e in pezzi più piccoli per le altre specie, e sono salate a secco con sale, pepe nero, bacche, foglie di alloro, cannella e chiodi di garofano di ginepro, in barili in legno o altro contenitore alimentare. Dopo quattro o cinque giorni di permanenza in un ambiente fresco si leva la carne dal barile per procedere ad un suo rimescolamento, si aggiunge vino bianco e si continua la stagionatura per altri quindici giorni. Dopo questa fase la Carne salmistrata è pronta per l’uso o per l’affumicatura con legno di vite o faggio e con qualche manciata di aghi di ginepro per ottenere la Carne fumada.

Teteun o teutenne

Il teteun è un salume valdostano riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (P.A.T.) italiano e prodotto con mammelle bovine salmistrate, il cui nome riprende la voce del patois valdostano per mammella. L’uso alimentare delle mammelle è molto antico, come testimonia il celebre De re coquinaria del romano Marco Gavio Apicio. Attualmente, nella macellazione delle bovine le mammelle sono considerate un sottoprodotto e asportate prima della scuoiatura e non sono oggetto di alimentazione, come invece avveniva nel passato con il teteun. Il Teteun ha origini antiche e ad oggi per la sua produzione è noto il comune di Gignod, con un rilancio iniziato negli anni Settanta del secolo scorso. Il teteun è preparato a partire da mammelle di razze bovine autoctone valdostane, in particolare la Pezzata Rossa. Le mammelle delle mucche macellate sono incise e pressate per espellere l’eventuale latte ancora presente, poi sono tagliate a fette stratificate in appositi contenitori con l’aggiunta di sale, varie erbe aromatiche (salvia, rosmarino, alloro ecc.) e altre spezie, tra le quali bacche di ginepro. Dopo un paio di settimane di macerazione, la cottura a bagnomaria o a vapore e l’eventuale aggiunta di addensanti, antiossidanti o zuccheri, il prodotto è pressato in stampi. Oggi, per la distribuzione commerciale, il Teteun è in genere confezionato in tranci sotto vuoto. Il Teteun è spesso consumato come antipasto, in genere accompagnato con salse a base di aglio, marmellate di vari frutti come fichi e lamponi, o con uva passa o pere.

 

 

Giovanni Ballarini, dal 1953 al 2003 è stato professore dell’Università degli Studi di Parma, nella quale è Professore Emerito. Dottor Honoris Causa dell’Università d’Atene (1996), Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione della Repubblica Italiana, è stato insignito dell’Orde du Mérite Agricole della Repubblica Francese. Premio Scanno – Università di Teramo per l’Alimentazione nel 2005, Premio Giovanni Rebora 2014, Premio Baldassarre Molossi Bancarella della Cucina 2014, Grand Prix de la Culture Gastronomique 2016 dell’Académie Internationale de la Gastronomie. 

Da solo e in collaborazione con numerosi allievi, diversi dei quali ricoprono cattedre universitarie, ha svolto un’intensa ricerca scientifica in numerosi campi, raggiungendo importanti e originali risultati, documentati da oltre novecento pubblicazioni e diversi libri. 

Da trenta anni la sua ricerca è indirizzata alla storia, antropologia e in particolare all’antropologia alimentare e anche con lo pseudonimo di John B. Dancer, ha pubblicato oltre quattrocento articoli e cinquanta libri, svolgendo un’intensa attività di divulgazione, collaborando con riviste italiane, quotidiani nazionali e partecipando a trasmissioni televisive. Socio di numerose Accademie Scientifiche è Presidente Onorario dell’Accademia Italiana della Cucina e già Vicepresidente della Académie Internationale de la Gastronomie.