Dewayne Johnson è un custode di siti scolastici nella zona di San Francisco, malato terminale di linfoma non Hodgkin, entrato nella storia per aver vinto la sua causa contro Monsanto ed il famoso erbicida Round Up, contenente glifosato. La lotta intrapresa da Johnson è di grande portata sociale poiché altri 8000 casi contro Monsanto sono in attesa di essere risolti e questa prima sentenza ha gettato delle solide basi documentali per la risoluzione dei successivi processi. Monsanto ha annunciato ad inizio settembre che farà appello contro la sentenza. Tuttavia, l’avvocato Michael Baum, uno dei protagonisti che hanno guidato l’accusa a Monsanto, ritiene che, vista la solidità scientifica della documentazione che afferma una certa correlazione tra glifosato e linfoma non Hodgkin, visionata dalla giuria, nonché la presenza di documenti interni a Monsanto che mettono in luce la condotta negativa dell’azienda, tra ghost writing, intimidazione dei ricercatori che chiedevano di mettere in luce le preoccupazioni riguardanti il glifosato e la corruzione, non ci sia possibilità per il colosso delle biotecnologie agrarie di vincere l’appello. La pena inflitta a Monsanto con il primo processo è un’ammenda di 289 milioni di dollari, che verranno risarciti al Sig. Johnson per spese mediche, danni fisici e psicologici, e molte altre variabili considerate.

Questo comportamento, studiato a tavolino dai manager tramite la realizzazione di un vero e proprio metodo, ha messo in secondo piano il concetto di rischio, portando l’utilizzo di Round Up e, quindi, di glifosato a concretizzarsi in pericolo per salute umana ed animale, oltre che per l’ambiente, stando alla testimonianza di Baum. La multinazionale Monsanto era a conoscenza dei potenziali effetti del glifosato già in fase d’ingresso negli anni ‘90, addirittura anticipando le conclusioni espresse dall’International Agency for Research on Cancer (IARC) che lo ha annoverato nel gruppo 2 A, tra i probabili cancerogeni (nella stessa categoria ritroviamo anche il DDT e gli steroidi anabolizzanti), ovvero all’interno del gruppo di sostanze per le quali ci sono prove limitate di cancerogenicità nell’uomo, ma dimostrazioni più significative nei test con gli animali. Gli studi epidemiologici sulla possibile attività del glifosato negli esseri umani hanno segnalato un possibile lieve aumento del rischio di linfomi non-Hodgkin tra gli agricoltori esposti per lavoro a questa sostanza, mentre gli studi di laboratorio in cellule isolate hanno dimostrato che la sostanza provoca danni genetici e stress ossidativo (IARC, 2017). Anziché affrontare il problema, Monsanto ha adottato una serie di strategie finalizzate ad insabbiare i documenti interni (come una serie di scambi di mail tra la ricerca scientifica interna e il management), a screditare lo scienziato indipendente interpellato (Dott. Parry) per rigettare le conclusioni osservate ed impedire ulteriori approfondimenti sulla formulazione di Round Up, comunque già abbastanza chiare alla ricerca interna, ed utilizzando la tecnica del ghost writing, con lo scopo preciso di diffondere informazioni fallaci in grado di tutelare il prodotto. In sintesi, l’agroindustria è riuscita a manipolare la scienza a proprio favore. Il punto cruciale, oltre a tutto questo, sta anche nel non aver voluto condurre prove di valutazione del rischio sulla sinergia esistente tra principio attivo e coformulanti.

Nell’Unione Europea, l’autorizzazione relativa alla commercializzazione della sostanza attiva glifosato è stata rinnovata per altri 5 anni fino al 2022. Il Parlamento Europeo auspica un divieto totale del glifosato già prima del 2022. Tra gli Stati Membri, vi sono ad esempio il Belgio, che ha posto il divieto di single use del glifosato, mentre in Germania è stato fatto un accordo interno per procedere al divieto. L’Italia ha disposto una serie di restrizioni sugli usi del glifosato, revocando l’autorizzazione all’immissione in commercio ed impiego dei prodotti fitosanitari contenenti la sostanza attiva glifosate ed il coformulante ammina di sego polietossilata.

La Commissione speciale PEST (Procedura di autorizzazione dei pesticidi da parte dell’Unione) sta lavorando per migliorare la procedura per l’autorizzazione dei pesticidi ed entro la fine del 2018 dovrà presentare delle proposte. Per fare questo, l’esperienza del caso Monsanto potrebbe essere utile a capire i punti critici ed a trovare soluzioni ideali per portare avanti una lotta che lo stesso Parlamento Europeo sta conducendo. Grazie al gruppo dei Verdi Europei – Alleanza Libera Europea, l’Avvocato Robert Kennedy jr e il collega Michael Baum sono stati ospitati in una conferenza organizzata dal gruppo Verdi il 5 settembre scorso. Il giorno successivo, Baum ha seguito la riunione avvenuta in Commissione PEST. Molti gli spunti, oltre al diretto confronto con uno dei protagonisti del caso Monsanto.

Sebbene ci sia uno stato di allerta riguardo soprattutto il glifosato, la preoccupazione per i rischi sulla salute umana e gli effetti negativi sull’ambiente esistono anche per altri pesticidi e fitosanitari in generale. Infatti il meeting del 6 settembre in Commissione PEST era finalizzato a raccogliere contributi da parte della ricerca (Jeroen Van Der Sluijs – University of Bergen, Noa Simón-Delso – Belgian Bee Keeping Center for Research and Information, Ettore Capri – Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza) e di relatori di Greenpeace Europe (Franziska Achterberg), del Corporate Europe Observatory (Martin Pigeon) e del Crop Health and Protection (John Chinn). Nella prima parte della riunione sono stati presentati e discussi gli impatti ambientali dei pesticidi, con riferimento in particolare ai neonicotinoidi, e le possibili misure di attenuazione a livello nazionale. Nella seconda parte della sessione, sono state trattate le raccomandazioni degli stakeholder sull’attuale regolamento UE sulla commercializzazione dei prodotti fitosanitari, che reca i requisiti per la domanda di autorizzazione. A chiusura del meeting, è intervenuto brevemente l’avvocato Michael L. Baum.

L’uso dei pesticidi, negli ultimi trent’anni, è stato soprattutto fatto con approccio preventivo. Dall’esempio dei neonicotinoidi, di cui tre sono stati recentemente vietati in via permanente, le applicazioni profilattiche sono state condotte ovunque in tutto il mondo e questo ha causato ingenti danni all’ambiente e soprattutto agli animali. Una sentinella d’allarme riguarda l’estinzione di numerose specie di insetti, come testimoniato dai primi due relatori delle presentazioni avvenute in sala (Jeroen Van Der Sluijs e Noa Simón-Delso). Pertanto, al fine di salvaguardare il patrimonio degli insetti impollinatori, in particolare le api, è stato imposto il divieto per i neonicotinoidi in seguito al parere dell’EFSA.

Nel processo di autorizzazione della sostanza attiva ai sensi del Reg. (CE) n. 1107/2009, tra le informazioni da fornire nel fascicolo vi è la ArfD (Acute Reference Dose). Questo implica che le aziende non sono sottoposte all’obbligo di fornire dati sugli effetti cumulativi/cronici. Eppure, all’art. 1 viene definito come scopo del regolamento l’assicurazione di un “elevato livello di protezione della salute umana e animale e dell’ambiente e di migliorare il funzionamento del mercato interno attraverso l’armonizzazione delle norme relative all’immissione sul mercato dei prodotti fitosanitari, stimolando nel contempo la produzione agricola”. Inoltre, altro importante elemento è il principio di precauzione (art. 1, par. 4) “al fine di garantire che le sostanze attive o i prodotti immessi sul mercato non abbiano effetti nocivi per la salute umana o animale o l’ambiente”. Gli Stati Membri hanno il diritto di applicare il principio di precauzione qualora, su base scientifica, vi siano incertezze sui rischi che i prodotti fitosanitari in fase di autorizzazione possono comportare per la salute umana e animale o l’ambiente. Di tale diritto hanno fatto uso gli Stati Membri europei che hanno vietato, o comunque sottoposto a restrizioni all’immissione in commercio, su territorio nazionale i prodotti contenenti glifosato.

L’evoluzione deve però avvenire a livello di UE. La vicenda di rinnovo dell’autorizzazione del glifosato è piuttosto eloquente, proprio perché il principio di precauzione è stato coscientemente aggirato, nonostante l’esistenza di una controversia scientifica che vede la mancanza di dati certi sugli effetti sinergici di glifosato più coformulanti sulla salute umana ed animale e sull’ambientale. Inoltre, il modus operandi che pare diffuso tra le grandi compagnie dell’agroindustria è un reale problema in quanto meccanismo sanalogo a quello messo in atto dall’industria del tabacco (testimonianza cinematografica cruda ma molto significativa è The Insider – 1999).

Dal punto di vista pratico, la cosiddetta agricoltura integrata sembra essere di fatto un’efficiente soluzione per ridurre il rischio associato alluso di fitosanitari e pesticidi. Noa Simón-Delso presenta alcune soluzioni già consolidate come pratiche agricole. Ad esempio, l’uso di piante con capacità di isolare le sostanze persistenti dal suolo, piante non finalizzate alla coltivazione, potrebbe essere un approccio di gestione ambientale efficace e un’azione preventiva di salvaguardia degli insetti impollinatori, la cui decimazione è principale campanello di allarme. Inoltre, impedire agli impollinatori il contatto con i pesticidi è un buon metodo per evitare movimentazione da un campo all’altro di tali sostanze.

L’intervento del Dott. Capri è stato finalizzato alla presentazione sulle modalità che si possono attuare per ridurre rischi ambientali negli scenari agricoli. Un problema che si pone, al di là del framework regolatorio, è la gestione del rischio in campo, con annessi effetti sullambiente e sulla salute umana ed animale, dal momento che le argomentazioni al fine della mitigazione del rischio sono sempre più complesse, e andrebbero considerate poiché previste tra gli obiettivi del processo di autorizzazione. Inoltre l’uso sostenibile meriterebbe maggior spazio, anche in quanto legato al consumo alimentare del prodotto commercializzato. Contestualmente all’implementazione delle numerose pratiche di mitigazione del rischio esistenti, validate dalla ricerca, allo stesso modo andrebbe attuato un sistema efficace di educazione e formazione di end users, che vada al di là delle azioni di propaganda fatte negli ultimi anni, dimostratesi inefficienti. Tali processi di educazione andrebbero gestiti a livello di Stati Membri, con la profonda conoscenza della realtà territoriale e mediante l’utilizzo di strumenti quali:

  • linee guida per utilizzo di questi sistemi di difesa delle piante;
  • modalità di verifica e monitoraggio dell’efficacia di questi sistemi e la possibilità di investimenti per un’agricoltura 4.0.

La mitigazione, secondo Capri, sarà possibile con il coinvolgimento totale degli agricoltori operanti su scala nazionale. Tenendo a mente questo, l’approccio non dovrebbe mai discostarsi dagli obiettivi reali fissati dalla PAC. Un altro aspetto importante è la definizione di soglie del rischio stabilite sulla base di indici d’efficacia per monitorare i pesticidi, soglie che siano trasparenti e chiare anche ai consumatori finali.

Tornando al glifosato, gli eurodeputati presenti al meeting hanno dimostrato grande interesse nel capire le ragioni della differenza tra studi accademici e scienza interna alle aziende dell’agroindustria. Per Van Der Sluijs, la risposta non è semplice, andrebbero considerate tre fondamentali questioni. La prima è di ordine sociale ed economico, ed ha un impatto sulla scienza e sugli organismi regolatori che devono fare analisi rischio. Seconda questione, è la capacità dei ricercatori di capire la valutazione del rischio, per la quale esiste un limite nel garantire con certezza delle affermazioni. Tra scienza e regolamentazione, il disaccordo è individuabile nella metodologia impiegata per la valutazione del rischio: l’approccio di valutazione della sola tossicità acuta è limite regolatorio, e le aziende dell’agroindustria, in linea generale, risultano attenersi alle metodologie previste per legge. Tuttavia, come dimostrato esattamente dagli oratori presenti, la ricerca accademica va oltre, avendo libertà di ricercare la metodologia più adatta alla valutazione. Pertanto, una buona prassi per migliora il sistema delle autorizzazioni dei prodotti di difesa delle piante potrebbe essere l’individuazione di un approccio scientifico basato sulle nuove conoscienze scientifiche, tenendo conto della scienza indipendente.

Secondo gli oratori Capri, Van Der Sluijs e Simón-Delso, è possibile comunque riuscire a garantire la produzione di alimenti nell’ottica della sicurezza e dell’approvigionamento alimentare, andando a ridurre l’uso di prodotti fitosanitari. La soluzione potrebbe essere intervenire con l’agricoltura integrata, lavorando di pari passo con la natura e non contro di essa, utilizzando sempre più a colture che valorizzino la biodiversità per mantenere la produttività.  Un altro problema individuato è la vendita incontrollata delle sostanze attive attraverso prodotti di vario tipo. Il Presidente della Commissione Andrieu si dice d’accordo con l’onorevole Pedicini che fa questa osservazione sulla vendita illegale di prodotti fitosanitari nel commercio al dettaglio, che a livello di legislazione richiede un intervento di rafforzamento dei mezzi di contrasto.   A livello strategico, l’intervento di Martin Pigeon del Corporate Europe Observatory discute, oltre che del comportamento oppressivo dell’industria nei confronti della scienza, delle lacune a livello di Unione Europea che lasciano spazio a questi comportamenti sleali in campo agroindustriale. Quello che è stato osservato dal Corporate Europe Observatory è che vi è un problema di capacità economiche e di capitale umano (vedasi le condizioni di lavoro dei collaboratori di EFSA) per le agenzie di valutazione del rischio. Inoltre, l’industria (Monsanto, ad esempio, ma è avvenuto anche per certi documenti EFSA, dice Pigeon) ha agito tramite operazioni di copia ed incolla di risultati manipolando i documenti scientifici di valutazione del rischio. Un altro importante problema che Pigeon osserva è che spesso, come avvenuto nello scandalo del glifosato, i dati specifici delle sostanze attive, per questioni di proprietà intellettuale, non sono disponibili in funzione della confidenzialità protetta a livello regolatorio. Probabilmente, se gli scienziati avessero un’idea di questi dati, il loro intervento sarebbe diverso.  Gli scenari che legano l’Unione Europea e gli USA per quanto riguarda i pesticidi sono stati finora talvolta simili. Il contributo degli avvocati Baum e Kennedy jr è stato molto apprezzato dai componenti della Commissione PEST. La testimonianza di Baum sull’uso di una giuria per la valutazione del caso Johnson contro Monsanto è molto significativa, perché di fatto mette in luce come un gruppo di esperti sia stato in grado di prescindere dalle emozioni e di indagare con concentrazione, professionalità e criticità quello che fino ad allora era stato nascosto e screditato. La verità è stata pesata con misura, anche da parte del Giudice, che ha rifiutato l’80% dei documenti da sottoporre alla giuria e forniti dall’accusa. Ci potrebbe essere collaborazione tra scienza indipendente ed industria, ma l’indipendenza deve essere totale e ci si auspicano strumenti legislativi per rafforzarla. Indubbiamente, quello che viene chiesto a gran voce è soprattutto la trasparenza nei processi di autorizzazione.

Prossimi incontri della commissione speciale PEST

Il 27 settembre, i correlatori Norbert Lins (PPE, DE) e Bart Staes (Verts/ALE, NL) presenteranno alla commissione PEST il loro progetto di relazione sulla procedura di autorizzazione dell’UE per i pesticidi, in particolare con lo scopo di presentare raccomandazioni utili al raggiungimento di un livello elevato di protezione della salute umana e animale e dell’ambiente. La presentazione sarà seguita da uno scambio di opinioni con i membri della commissione PEST. La presentazione sarà seguita da uno scambio di opinioni con i membri. Inoltre, saranno presentati anche due studi richiesti dalla commissione PEST (sulle linee guida per la presentazione e la valutazione delle domande di approvazione delle sostanze attive e, sull’impatto del regolamento (CE) n. 1107/2009 su innovazione e lo sviluppo di alternative e nuovi prodotti fitosanitari).