Il mercato mondiale delle materie prime zootecniche è molto distorto perché “in mano” a gigantesche multinazionali come COFCO, ADM, Louis Dreyfus, Bundge e Cargill. Solo loro cinque controllano dal 75 al 90% del mercato di queste commodity.

In questo contesto, il prezzo delle materie prime zootecniche non è più solo legato al rapporto tra domanda (consumo) e offerta (produzione) ma anche, e soprattutto, agli aspetti finanziari, e quindi alle speculazioni. Tempo fa, quando le materie prime utilizzabili per l’alimentazione dei ruminanti erano molte di più, si aveva un maggiore margine di manovra, sia tecnica che economica. Ora questa gamma si è molto ridotta a causa delle restrizioni imposte dalla regolamentazione della presenza delle aflatossine nei prodotti zootecnici e negli alimenti di origine animale.

Stiamo recentemente osservando un importante e alquanto preoccupante incremento di prezzo di tutte le materie prime, o meglio dei concentrati, che si utilizzano nell’alimentazione dei ruminanti, che è contemporaneo ad un prezzo del latte alla stalla e dei bovini da carne piuttosto basso. Ovviamente, tra gli allevatori c’è molta preoccupazione ma c’è anche voglia di trovare soluzioni.

E’ bene però chiarire un aspetto importante, in modo da non generare confusione. Dei concentrati esistono sostanzialmente tre prezzi. Uno è quello contrattualizzato, il secondo è quello del “pronto” e il terzo è quello indicato dalle borse merci, di cui le principali sono quella di Milano e di Bologna. Analoga è la situazione del prezzo del latte alla stalla: uno è quello che l’allevatore ha contrattualizzato con il suo acquirente e l’altro è quello del latte spot, ossia il prezzo a cui si commercializza il latte fuori contratto. Spesso accade che tra il prezzo del latte contrattualizzato e quello spot ci siano differenze positive e negative anche molto importanti. Stessa considerazione si può fare per il mercato delle materie prime zootecniche.

Ci sono allevatori che comprano le principali materie prime, come il cotone integrale, il mais, la soia f.e. e il girasole, con dei contratti, mentre altri li comprano sul pronto, ossia al prezzo base di bollettino. Ci sono poi quelli che comprano mangimi a formula aperta, dove il prezzo delle materie prime può essere da contratto o da bollettino, e quelli che comprano i cosiddetti mangimi di linea. L’industria mangimistica contabilizza i suoi costi-formula spesso utilizzando un prezzo “mediato” delle materie prime, ossia una media tra il prezzo della quantità che ha contrattualizzato e di quella che deve comprare sul pronto.

Queste diverse situazioni creano confusione e incertezza negli allevatori, oltre a generare difficoltà nel fare programmazioni economiche e finanziarie.

Il prezzo della farina d’estrazione di soia è quello che spaventa di più gli allevatori di vacche da latte, perché questa rappresenta la principale fonte proteica di una razione che “pesa” all’incirca come quantità sulla sostanza secca” per un 15%, incidenza che si riduce nelle razioni del comprensorio del Parmigiano Reggiano dove si utilizzano grandi quantità di fieno di erba medica.

A puro titolo di esempio, in una stalla che munge mediamente 100 bovine si consumano circa 1300 q.li all’anno di soia f.e.. Durante la settimana 37/2020, il giorno 8 settembre 2020, la soia decorticata estera è stata quotata alla Borsa merci di Milano a 35.8 euro/q.le. Nella settimana 4/21, il giorno 26 gennaio 2021, la stessa tipologia di soia è stata quotata a 53.4 euro/q.le. Pertanto, la stalla che prima abbiamo utilizzato come esempio è passata da una spesa annuale di sola soia di 46.540 euro ad una di 69.420 euro, con una differenza di 22.880 euro all’anno, ossia di 1900 euro al mese. Se poi si contabilizza il fatto che la settimana 3/2021 (19 gennaio 2021) a Milano il mais è stato quotato 24 euro/q.le, la colza f.e. 36.6 euro/q.le e il girasole decorticato 35.2 euro/q.le, è evidente che la situazione è molto difficile, e di vere alternative alla soia ce ne sono poche.

Le razioni dei ruminanti d’allevamento, ed in particolare delle bovine da latte, vengono elaborate utilizzando un numero di nutrienti molto più elevato di quelli che la legge stabilisce essere presenti obbligatoriamente sui cartellini dei mangimi e delle materie prime. Ormai, più che la proteina grezza della razione si considera la sua frazione solubile e indegradabile, e soprattutto il bilanciamento amminoacidico. Pertanto, per decidere di ridurre la concentrazione di soia della razione e valutare se aumentare o inserire ex-novo gli altri proteici, come la colza f.e. e il girasole f.e., si deve considerare se questi alimenti sono utilizzabili per determinati indirizzi produttivi e se “girano” bene nella razione. Fare esclusivamente un conto economico sul valore del punto proteico può essere fuorviante e pericoloso, non tanto per la produzione di latte quanto per la fertilità e la salute degli animali. Sempre interessante, dove non c’è un esplicito divieto all’utilizzo, è l’urea zootecnica. Il suo costo di circa 50 euro/q.le e la sua concentrazione proteica del 281% la rendono interessante, sia tecnicamente che economicamente, per l’alimentazione dei ruminanti. Di questo prodotto se ne utilizzano dai 20 ai 50 grammi, anche se il metodo più razionale per determinarne la giusta quantità è la proteina solubile della razione.

Purtroppo, proteaginose come il pisello proteico, il favino e il lupino, sono in Italia poco disponibili e molto costose, ma potrebbero contribuire a ridurre sia la quota di cereali che di oleaginose della razione senza compromettere le performance produttive e sanitarie degli animali. Le carenze amminoacidiche di lisina e di metionina, in particolare, possono essere controbilanciate utilizzando quelli di sintesi e rumino-protetti.

Conclusioni

Questi momenti così difficili e di forte speculazione servono anche per riflettere su come meglio organizzarsi in futuro per l’approvvigionamento dei concentrati. Si sconsiglia di fare scelte avventate ed emotive, perché la salute e la fertilità delle bovine sono aspetti importanti da tutelare per dare un futuro, e non solo un presente, all’allevamento. Confrontare materie prime tra loro o con mangimi complementari è auspicabile ma basarsi sulla sola concentrazione di proteina grezza e di amido può essere rischioso e quindi non consigliabile.