Carne bovina buona da mangiare
La carne bovina è buona da mangiare e richiesta dalla nostra specie e cultura. Questo però non significa che le idee, ma soprattutto le richieste, dei consumatori sul tipo e sulla qualità della carne siano immutate. Anzi, con il passare dei millenni e dei secoli queste si sono modificate perché influenzate dagli stili di vita umani, ma soprattutto da condizioni antropologiche alle quali, recentemente, si associano condizioni di tipo salutistico e nutrizionale, nel senso più ampio della parola, ma anche culinario e gastronomico. In particolare, vi è stata un’evoluzione delle caratteristiche di qualità che il consumatore richiede alla carne, soprattutto se magra.
Carne bovina magra
La richiesta di carne magra da parte della popolazione dei paesi industrializzati è stata oggetto di un’analisi in chiave evoluzionista da parte di N. Mann (Dietary lean meat and human evolution – Eur. J. Nutr. apr. 39 (2): 71-79, 2000). Per questo autore si è raggiunta l’evidenza scientifica che la carne di per sé, e nell’ambito dello stile di vita dei paesi occidentali, non costituisce un fattore di rischio sanitario, in particolare per le malattie cardiovascolari; mentre esiste un rischio per un eccessivo uso alimentare di grassi, in particolari di quelli saturi, spesso associati alla carne degli animali prodotti dai moderni sistemi d’allevamento. Le ricerche di Mann dimostrano che diete con elevate quantità di carne rossa magra possono diminuire i livelli ematici di colesterolo, apportare significative quantità di acidi grassi della serie omega-3 ed essere una buona fonte di ferro, zinco e di vitamina B12. Lo studio della storia alimentare dell’uomo e delle specie preumane dimostra che per un periodo almeno di due milioni di anni i nostri antenati hanno mangiato quantitativi crescenti di carne. In questo lasso di tempo, durante il quale ha agito la selezione naturale, vi è stato un adattamento della genetica ad un’alimentazione ricca di carne di animali selvatici, povera di grassi saturi e ricca di acidi grassi polinsaturi (PUFA). Inoltre, diverse linee di ricerca indicano come la carne magra sia stata la maggior fonte d’energia negli umani fino alla scoperta dell’agricoltura. Si tratta di indagini che spaziano da studi isotopici dei fossili umani, morfologia dell’apparato digerente umano, sviluppo del cervello e fabbisogno energetico degli umani, teorie sulla raccolta del cibo, resistenza insulinica e studi sulle società di cacciatori e raccoglitori. In conclusione, la carne magra è da ritenere un alimento salutare ed un benefico componente di una dieta ben bilanciata.
Carne, alimento protettivo
La carne, come ogni altro cibo o bevanda, non è un alimento completo. Ogni tipo di carne, particolarmente in rapporto alla percentuale di grasso, ha particolari indicazioni, con riferimento ai diversi stili di vita e soprattutto riguardo al fabbisogno energetico. In base all’utilizzazione delle peculiari caratteristiche nutrizionali della carne, questa ha una serie d’importanti, e per certi aspetti insostituibili, caratteristiche dietetiche. Queste ultime riguardano diversi aspetti e soprattutto bisogna ritenere la carne un alimento protettivo, in quanto elemento d’integrazione ed equilibrio della dieta, anche attraverso l’intersupplementazione degli aminoacidi e l’assorbimento del ferro vegetale.
Carne e protezione alimentare
Una dieta, soprattutto se variata com’è giusto che sia, non può mai essere perfetta, ma soltanto approssimata. Questa approssimazione non comporta di norma rischi o pericoli per due ordini di fattori.
L’organismo è dotato di importanti meccanismi di autoregolazione. Fondamentale è l’autoregolazione nell’ingestione del cibo attraverso le sensazioni di fame e di sazietà. Altrettanto importanti sono le fami specifiche che, ad esempio, giustificano la fame di carne dettagliatamente studiata nell’uomo da alcuni antropologi come Marvin Harris (1985). Altrettanto fondamentali meccanismi protettivi derivano dalla presenza, nell’alimentazione, di cibi come la carne, con elevata e diversificata nutrizionalità che permette di colmare eventuali lacune della dieta nel suo insieme. In particolare, la carne possiede spiccate attività di questo genere, fornendo un’efficace protezione da errori nella nutrizione proteica e nella prevenzione di carenze di talune vitamine, a cominciare dalla B 12, e di taluni oligoelementi minerali (ferro, zinco e probabilmente cromo).
A cavallo tra i meccanismi protettivi endogeni ed esogeni o alimentari vi è l’accertata attività saziante della carne, oggi ritenuta in buona parte dipendere dal suo contenuto in triptofano che induce la produzione di serotonina. La carne interviene in modo efficace nell’integrazione e nell’equilibrio della dieta con un’attività che si sviluppa in modo particolare nei riguardi dell’intersupplementazione degli aminoacidi e nell’assorbimento del ferro.
Carne ed intersupplementazione tra aminoacidi
È ben noto che le proteine sono costituite da aminoacidi, che ogni proteina ha il suo caratteristico spettro aminoacidico e che per una nutrizione ottimale sarebbe opportuno fornire all’organismo il rapporto qualitativo e quantitativo di amminoacidi di cui esso ha bisogno per il suo metabolismo e soprattutto per la costruzione delle proteine (azione plastica). L’associazione della carne con vegetali, siano essi cereali, leguminose o verdure, porta ad una dieta umana nella quale vi è un’intersupplementazione tra gli aminoacidi dei diversi alimenti, con la possibilità di avvicinarsi alla proteina ideale per la nutrizione e in particolare di ridurre un eccessivo apporto proteico, soprattutto vegetale, che comporta un elevato impegno metabolico.
Carne e ferro
Da tempo è conosciuta l’importanza del ferro, ma solo recentemente si sono andate ampliando le conoscenze relative non soltanto alla fisiologia della sua carenza ma anche alle conseguenze patologiche organiche e comportamentali.
Il ferro è presente in una vasta varietà di alimenti nei quali può assumere due diverse forme: ferro-eme e ferro non-eme, con la sostanziale differenza della maggiore facilità di assimilazione della forma eme presente nella carne, che è assorbita dall’intestino come molecola intatta, mentre minore è l’assorbimento del ferro non-eme dei vegetali, perché legato ad altri componenti della dieta che ne possono incrementare o ridurre l’assorbimento. I vegetali, inoltre, contengono inibitori dell’assorbimento del ferro, come i fitati e alcuni composti fenolici tipo i flavoni polimerizzati che si trovano nei fagioli e nelle fave. I legumi contengono anche carboidrati non digeribili che compromettono l’assorbimento del ferro, anche se l’acido ascorbico (vitamina C) degli agrumi e altra frutta migliorano l’assorbimento di quello non-eme. Inoltre, si è accertato che le proteine della carne contribuiscono ad aumentare l’assorbimento di ferro e zinco da fonti alimentari vegetali. In altre parole, in un piatto di carne e spinaci, il ferro della carne non solo è ben assorbito, ma aiuta anche ad assorbire il ferro scarsamente assorbibile degli spinaci.
Il ferro-eme è presente nell’emoglobina del sangue e nella mioglobina della carne, e in particolare quest’ultima è la migliore fonte alimentare di questo elemento perché più della metà del ferro della carne è del tipo eme. Tra le carni, quelle rosse, come quelle di bovino adulto, hanno il più alto contenuto di ferro-eme, mentre quantità molto inferiori sono presenti nelle carni bianche come le carni avicole. L’odierna carne suina, definita carne rosea, può contenere la stessa quantità o addirittura meno ferro del coscio di pollo o di tacchino, che rientrano tra le carni bianche. La carne e i prodotti della carne possono contribuire fino al 18% del fabbisogno giornaliero di ferro, apporto importante in una dieta sana ed equilibrata e fondamentale nella prevenzione di una delle carenze nutrizionali più comuni.
Carne e nutrizione evoluzionista
La nostra specie ha un ineliminabile bisogno biologico e psicologico di carne, che deriva da una carnivorità ancestrale di almeno un milione d’anni. Geneticamente, siamo predisposti a nutrirci con carne magra, come quella della selvaggina di cui si nutrivano i nostri più lontani antenati, e per questo le particolari caratteristiche di nutrizionalità di questa carne s’associano ad importanti attività di tipo extranutrizionale. Tra queste ultime, sono in particolare da ricordare le seguenti attività della carne magra: azioni positive sul metabolismo; attività anticolesterolica; interventi positivi sulla modulazione immunitaria; favorevoli influenze sul comportamento, anche in ambito di psicodietetica. Anche per queste ultime azioni, la carne magra non è soltanto un alimento protettivo come si considerava nel passato, ma oggi deve essere considerata un alimento portatore di salute, nel quale si riscontra una spiccata convergenza delle richieste di tipo nutrizionale con quelle di tipo culinario-gastronomico.
Carne magra e esigenze del consumatore
Per rispondere alle esigenze ed aspettative dei consumatori, oggi la produzione di qualità offre una carne magra, con alta nutrizionalità e particolari attività extranutrizionali. La nutrizionalità deriva dal suo particolare contenuto in proteine ricche d’aminoacidi essenziali, vitamine (soprattutto la B 12) ed oligoelementi minerali organici (ferro, zinco, cromo).
Altrettanto importanti sono le attività extranutrizionali delle vitamine, oligoelementi organici, ma soprattutto dalle caratteristiche della frazione lipidica della carne magra. Quest’ultima, con un limitatissimo apporto energetico e di colesterolo, fornisce fosfolipidi ed acidi grassi insaturi (od in questi trasformati), e soprattutto acidi grassi polari dotati d’attività pro-colesterolo HDL ed anti-colesterolica. Di grande interesse sono inoltre le attività extranutrizionali della carne che riguardano l’immunità e che derivano dalla combinata attività di componenti azotate (soprattutto gli aminoacidi essenziali ed i nucleotidi), lipidiche (acido linoleico coniugato), vitaminiche ed oligominerali (ferro, ma soprattutto cromo).
Da non sottovalutare infine le caratteristiche extranutrizionali della carne di tipo psicodietetico riguardanti il controllo dei comportamenti alimentari (assunzione dell’alimento con effetto saziante) e dell’aggressività (effetto tranquillante).
La qualità della carne magra ha un’importante funzione nel suo uso come alimento protettivo, ma anche come alimento portatore di salute. In quest’ultimo orientamento la carne magra rientra a pieno titolo nelle Linee Guida formulate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per una Politica Nutrizionale, anche in quanto sono coerenti con un’alimentazione naturale, qual è prospettata dalla nutrizione evoluzionista.
Carne bovina magra in cucina
L’ominide cuoce, l’uomo culturale fa cucina e primo fu l’arrosto e secondo il bollito, al quale seguirono le cotture in tegame degli stracotti, brasati e fritture, con tutte le loro varietà e soprattutto con le tecniche di cotture multiple e con l’uso di aromi, sughi, salse e via dicendo. Solo l’uomo, facendo cucina, ha inventato il brodo ed il sugo di carne, dai quali sono partite due linee d’innovazione culinaria che hanno coinvolto, si può dire, tutte le cucine del mondo. È stata la cucina che ha fatto parlare le carni bovine in un’infinita varietà di linguaggi e di dialetti, di cui la gastronomia è al tempo stesso artefice, critica e testimone, e in questo quadro sono da inserire alcuni cenni sulla cottura delle carni magre di bovino.
Una cucina per la carne magra
Già nella Bibbia sono magnificate le carni grasse e succulente, quindi tenere, mentre oggi si vogliono carni magre e poi ci si lamenta che sono dure. È vero? Di chi è la colpa?
Molte sono le condizioni che contribuiscono a conferire alle carni l’apprezzata tenerezza, perché una loro non gradita durezza può derivare da errori che riguardano uno o più anelli della filiera di produzione, o la genetica, alimentazione e allevamento degli animali, ma soprattutto come questa carne è cotta; partendo dal concetto che se è facile cuocere una carne grassa mantenendola morbida, più difficile è per una carne magra che diventa dura se è cotta rapidamente e ad alta temperatura, come purtroppo avviene di frequente.
Nella cottura della carne, sotto l’azione di un calore elevato, le proteine del muscolo e del collagene coagulano e perdono acqua, rendendo la carne dura, soprattutto se magra e con poco o quasi niente grasso interstiziale. Per ottenere una carne cotta alla perfezione, e soprattutto tenera, saporita e profumata al punto giusto, bisogna rendersi conto che le fibre muscolari, l’acqua dei tessuti e il collagene richiedono temperature differenti, senza contare il ruolo e l’importanza di eventuali pretrattamenti della carne. Per le moderne carni bovine magre, come volute dai consumatori, bisogna ricorrere a cotture a bassa temperatura, meglio se sottovuoto, partendo dal fatto che l’acqua evapora a partire da 100°C, il collagene si dissolve a partire da 55°C e le proteine delle fibre muscolari coagulano a circa 65°C.
Con le alte temperature la carne perde acqua e tende a divenire più dura, mentre a una temperatura inferiore a 100° C l’acqua rimane negli alimenti che conservano la loro tenerezza, soprattutto se la carne è confezionata sottovuoto impedendo la perdita dell’acqua. Se le carni grasse di un tempo sopportavano bene tecniche violente di cucina, quelle magre di oggi hanno bisogno di tecniche delicate e a loro adeguate che non le rovinino, come si sono accorti e applicano tutti i cuochi professionisti. Una lunga cottura poco sopra i 55°C permette l’idrolisi del collagene e quindi permette di avere una carne tenera. L’abbinamento di una temperatura tra i 65° e gli 85° C con tempi di cottura prolungati (da mezz’ora a alcune ore), soprattutto se sottovuoto, permette una coagulazione delle proteine muscolari senza indurimento, un interrimento del collagene senza perdita di acqua e quindi una carne cotta morbida e perfetta, anche se magra.
Oggi come ieri una cucina che non interpreta e non si adegua alle caratteristiche della carne rovina il notevole lavoro degli allevatori e di tutti coloro che lavorano nella produzione di questo prezioso alimento.