Bresaola antico salume
Uno dei salumi che oggi sta avendo maggior successo nella gastronomia nazionale e internazionale (da tempo ha già il suo bravo sito in Internet) è senza dubbio la bresaola, alla quale è stato anche dedicato il Convegno Bresaola della Valtellina, svoltosi a Tirano il 28 settembre 1997. Secondo una tradizione recentemente inquadrata nel Disciplinare di Produzione collegato a un’Indicazione Geografica Protetta, la bresaola (a volte detta anche brisaola) è la carne di coscia di bovino opportunamente salata e stagionata. Le prime testimonianze letterarie sulla produzione della bresaola risalgono al XV secolo, ma l’origine del salume è senz’altro molto più antica. La produzione è familiare fino ai primi decenni del XIX secolo, e sempre in questo secolo diviene artigianale. Dal 1930, con l‘ampliamento della produzione in vari centri della Valtellina e per lo sviluppo di un turismo alpino che fa conoscere il prodotto, la bresaola ha una progressiva diffusione prima nell’alta Lombardia e, dagli anni sessanta, in tutta l’Italia e la Svizzera. Tuttavia, fino ad oggi pare che vi sia un problema ancora non risolto: l’origine e il significato della denominazione “bresaola”. Anche Guido Margiotta, Delegato di Sondrio dell’Accademia Italiana della Cucina, nella Introduzione degli Atti del citato Convegno, afferma che “lo studio etimologico (della bresaola) resta comunque aperto”. Oggi, lo studio del termine bresaola con i metodi scientifici dell’etimologia rileva l’antichissima origine di questa preparazione di carni conservata, ponendola tra le più remote inventate dall’uomo.
Bresaola, un termine d’incerta derivazione
L’etimologia del termine bresaola è stata analizzata da Guido Scaramellini, al quale non si può dare torto quando afferma che sia l’origine sia la denominazione della bresaola sono incerte. Partendo dal detto presente in Chiavenna “salaa come brisa”, riferito alla carne molto salata, si potrebbe accostare l’etimo bresaola a quello di “brisa” della vicina Svizzera, attribuito ad una ricotta condita con sale e con pepe. Un interessante riferimento che tuttavia non spiega molto. Secondo altri, riferisce sempre Scaramellini, bisogna partire da un termine del tardo latino “brasaula”, riduzione di “brasatula” che significherebbe carne trattata alla bracia, dal germanico “brasa”, cioè bracia. Ma la brasa, e qui siamo in pieno accordo con Scaramellini, potrebbe trovare giustificazione solo nell’affumicatura della bresaola, peraltro non obbligatoria e non necessaria per l’essiccazione che è eseguita tradizionalmente in aria libera.
Più recentemente Carlo Cantoni (2010) si rifà alle precedenti etimologie e ricorda che il nome di questo salume potrebbe derivare dalla espressione salè come brisa, per l’uso che un tempo si faceva del sale nella conservazione e per il fatto che, in Valchiavenna, brisa indicava una ghiandola dei bovini fortemente salata. Potrebbe altrimenti derivare dal termine brasa (che in dialetto significa brace), perché l’asciugamento del prodotto avveniva in locali riscaldati da bracieri alimentati con carbone di legna di abete e bacche di ginepro, timo e foglie d’alloro. Sullo stesso piano é anche il recente articolo di Carlo Cantoni – Salato come… una bresaola (Premiata Salumeria Italiana, Anno XXVIII, N. 5, Settembre – Ottobre 2016 – Pag. 108 – 110).
Se l’uscita della voce, cioè la parte finale della parola, sembra corrispondere a una “abula”, uno studio etimologico più preciso del termine bresaola può tuttavia portare ad avvicinarsi a quella che potrebbe anche essere la sua (vera) etimologia. O se così non fosse, porterebbe soltanto lo stimolo a una discussione che possa ampliarsi in un approfondimento ulteriore.
Bresaola, un etimo antichissimo
Anche ad un esame superficiale dell’etimo bresaola è possibile individuare due componenti principali: “bre” e “sal”, oltre alla già citata parte finale della parola.
Sull’etimo “sal” non pare vi possa essere molto da discutere: als, alos in greco e sal, salis in latino significano sia sale che mare. Il fatto che il sale fosse oggetto di ampi commerci in tutta l’area europea giustifica un’unicità di denominazione a partire dai tempi più remoti. Che una carne salata abbia una denominazione che contentiene l’etimo als-sal non deve quindi stupire e sotto certi aspetti può indurre a pensare che si tratti di una denominazione antica, forse antichissima.
Il problema sta quindi nell’etimo “bre” o forse “bri” e qui è certamente utile rifarsi a quanto discusso da Gaetano Forni (1990) per quanto riguarda i cervidi che oggi sono stimati essere i primi grandi ruminanti cacciati ed addomesticati in Italia settentrionale (e qui siamo in area di Valtellina e bresaola…). Infatti, come afferma Maestrelli (1976), la denominazione dei cervidi è apparentata con il tema indoeuropeo b(h)re/ont, diffuso dal Mediterraneo al mar Baltico. A questo proposito, oltre a Brindisi (città del cervo, da brenda, cervo, in Messapico, antico dialetto dell’Italia meridionale) si può citare il norvegese brunde (renna), lo svedese brinde (alce) ed anche l’italiano (b)renna, senza entrare in ulteriori dettagli nel rapporto tra questo etimo e quello del fulmine e, o fuoco (dal greco bronte, al tedesco brand, brennen) utilizzati per avere le radure nelle quali i grandi ruminanti trovavano pascolo. A quest’ultimo significato, radure create dal fuoco, si collegano diversi toponimi (il nostro italiano Brenta) e, per sineddoche, termini indicanti contenitori di acqua o altri liquidi (ad esempio brenta). Dall’animale ai suoi prodotti il passaggio di denominazione è facile: Alessio (1968) ha segnalato che la denominazione originaria di cervo (bre) è connessa con il nome di formaggi tipo sbrinz (lombardo), brenza (italiano antico), brinza (rumeno), Primsen (tedesco) evidentemente prodotti, all’origine, con latte di cerva. In modo analogo, secondo Alessio, il termine scamorza sarebbe da riferire a un formaggio prodotto con il latte di camoscio, animale affine al cervo.
Come fa notare Forni, sembra ovvio che il termine significante bruciare sia derivato da quello che indica il fulmine, unica fonte di origine del fuoco. Da bruciare è derivata la denominazione degli animali (in primo luogo il cervo) e delle piante il cui sviluppo era incrementato dalla radurazione col fuoco. Diversi altri autori (Maestrelli, 1976; Buck, 1949; Pokorny, 1949-1950) aggiungono che alcuni termini affini, connessi con il significato di cervo (latino Cervus) sono all’origine di denominazioni significanti capra, vacca, ecc. Questo mostra che, almeno in Europa, l’allevamento dei cervidi ha preceduto quello degli ovicaprini e dei bovini. All’allevamento brado dei cervidi, anche senza arrivare a una domesticazione vera e propria, si devono attribuire i primordi di diverse tecniche che vanno dal diboscare al cavalcare, e soprattutto al traino. Non dimentichiamo, infatti, l’uso rimasto a lungo delle slitte trainate da cerve e renne, di cui ci rimane anche il ricordo di Babbo Natale (una delle renne o cerve della slitta di Babbo Natale, secondo una tradizione nordica, si chiama Dancer e forse per questo mi sto interessando all’argomento, ma questa è un’altra storia). Altrettanto importanti furono, in un lontano passato, le tecniche di conservazione e miglioramento degli alimenti e tra queste è già stata indicata quella del prelievo del latte dalle cerve, con la produzione di formaggi. È altrettanto evidente che un uso alimentare del cervo, precedente a quello del latte, sia stato quello della carne.
A buona ragione si deve concludere che almeno nell’Europa continentale, e soprattutto nei territori alpini e prealpini, una carne importante, se non la “carne” per antonomasia, sia stata quella di cervo (bre), anche come termine emblematico (la parte per il tutto) di ogni carne di ruminante di medie e grandi dimensioni. Senza entrare in altri dettagli o ampliamenti, come sarebbero quelli della presenza del cervo nella cultura nuragica sarda ben documentata dai bronzetti, oppure il fatto che in tempi preistorici nelle steppe asiatiche i cavalli erano adornati con simulacri di corna (come documentato da recentissime scoperte nelle tombe di notabili), da quanto brevemente esposto, è facile concludere che i dati paleolinguistici indicano chiaramente che dai due etimi bre e sal deriva il termine di bresaola, con il chiaro significato di(carne di) cervo salata.
Un’etimologia che riconduce a una tecnica antichissima, ma con un grande avvenire
Il termine bresaola si connette alla tecnologia antichissima e certamente preistorica della salagione delle carni, prima dei pesci e poi di altri animali. Non è questa la sede per affrontare questo vasto problema, ma molto schematicamente si deve pensare che la tecnica, scoperta forse casualmente per il pesce di mare, sia passata poi alle carni. Non è infatti certamente un caso che l’etimo italiano di salame significava pesce salato e che solo in seguito sia passato ad indicare la carne, soprattutto di maiale, salata. La tecnica della conservazione tramite salagione degli alimenti si è poi diffusa lungo le vie del sale che dal mare hanno percorso l’Europa, interessando anche carni di specie animali diverse.
Soprattutto nell’Europa continentale, la salatura delle carni, spesso associata all’affumicatura anche per risparmiare il prezioso sale, è stata applicata inizialmente alle carni selvatiche, dal cervo ed altri grandi ruminanti, per poi passare alle carni di altri animali, ad esempio il maiale, come è avvenuto in pianura padana, dove è attestata, sia pure indirettamente, almeno dal V secolo prima dell’era corrente. In un lontano passato la salatura delle carni di animali che non avevano un preminente destino alimentare ma erano impiegati per il lavoro, come il cavallo e soprattutto i bovini, era quasi inesistente. I bovini erano infatti utilizzati per il lavoro nei campi ed il lento traino dei carichi pesanti, ed al massimo da loro si ricavava il poco latte che potevano dare nel periodo primaverile, dopo il parto e lo svezzamento del vitello. Animali da latte erano invece le capre e le pecore, mentre da carne era soprattutto il maiale. È tuttavia facile intuire che quando i bovini sono divenuti più abbondanti e soprattutto si è avuta la disponibilità di giovani femmine (scottone e manzarde), la tecnica di conservazione e di valorizzazione gastronomica della carne tramite salatura e stagionatura sia stata trasferita dal cervo e da altri ruminanti selvatici alle carni di bovino. Lo stesso tipo di trasferimento è avvenuto molte altre volte. Ad esempio, per la conservazione delle carni bisogna ricordare il caso di un altro animale, quando le tecniche di conservazione della coscia (prosciutto) dal cinghiale selvatico sono state trasferite al maiale domestico.
L’ora indicata origine etimologica del termine bresaola pone una serie di nuovi interrogativi o, se si vuole, di nuove piste di ricerca che potrebbero essere molto utili per una successiva valorizzazione del prodotto. Senza entrare in dettagli in questa sede superflui, è qui sufficiente elencare le principali questioni che oggi compaiono sul tappeto legate all’origine dell’indicata etimologia. Qual è stato il ruolo della posizione geografica della Valtellina e della Valchiavenna, e delle loro comunicazioni tra il Mediterraneo e l’Europa centrale, anche come valle di passaggio di una via del sale, nello sviluppo della bresaola? Quando e com’è avvenuto il passaggio, nella preparazione della bresaola, dall’uso di carne selvatica (cervo e altri grandi ruminanti selvatici e predomestici) a quello di carne domestica di bovini allevati allo stato brado? Quali rapporti vi sono tra la bresaola e altre carni salate di ruminanti, come il violin (Fantoni, 1984) o la spàleta di capra, anche nell’ambito della carne secca o carni salate ed essiccate dell’arco alpino? Durante un lunghissimo periodo, dalla preistoria fin quasi ai nostri giorni, vi è un inspiegabile silenzio sulla bresaola: non sarà che la produzione partendo da animali selvatici, cervi e altri grandi ruminanti riserva delle classi abbienti e dominanti avveniva prevalentemente come un’appendice ad una caccia di frodo sulla quale era bene tacere? Quale collegamento vi è tra l’attuale constatazione che le carni migliori per produrre la bresaola sono quelle della giovane femmina (scottona e manzarda) e la domesticazione delle femmine di cervo, dalle quali le popolazioni alpine hanno ottenuto il primo latte animale?
Questi e altri interrogativi dimostrano come la storia della bresaola, pur antichissima, e certamente iniziata molti secoli prima dell’era corrente, è ancora in gran parte da scoprire e soprattutto può indicarci nuove strade, pur sempre solidamente ancorate al passato. Infatti, lo studio del termine bresaola con i metodi scientifici della etimologia rivela un’antichissima origine di questa preparazione di carni conservata, ponendola tra le più antiche inventate dall’uomo.
CENNI BIBLIOGRAFICI
- Alessio (1968) – Forni G. – Agli albori dell’agricoltura – Origine ed evoluzione fino agli Etruschi ed Italici – Edizioni Reda, 1990.
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- Forni G. – Agli albori dell’agricoltura – Origine ed evoluzione fino agli Etruschi ed Italici – Edizioni Reda, 1990.
- INSOR – Gastronomia e Società – Franco Angeli, Milano, 1984.
- Maestrelli (1976) – cit. Forni G. – Agli albori dell’agricoltura – Origine ed evoluzione fino agli Etruschi ed Italici – Edizioni Reda, 1990.
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- Pokorny (1949-1950) – cit. Forni G. – Agli albori dell’agricoltura – Origine ed evoluzione fino agli Etruschi ed Italici – Edizioni Reda, 1990.
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- Scaglioni C. – Bresaola: gusto, fragranza e morbidezza in tavola, con fantasia – Premiata Salumeria Italiana, n. 3, p. 22, 2010.
- Scaramellini G – La Brisavola: origini e letteratura – in: AA. VV. – Bresaola della Valtellina – Accademia Italiana della Cucina, Milano, 1998.