Perché gli allevatori sono ancora piuttosto scettici nei confronti della fecondazione artificiale?

Si potrebbe rispondere a questa domanda ascoltando alcune delle loro motivazioni: ho troppi pochi capi, il costo del seme è elevato, con la monta naturale ho una fertilità molto più alta, diventa troppo complicata la gestione della riproduzione….

Se si vuole però costruire un vero allevamento che dia grandi soddisfazioni in futuro, è importante lavorare nel presente, puntando sulla genetica e quindi sulle fecondazioni artificiali.

Il modo migliore per provare a togliersi ogni dubbio in questo ambito, è quello di chiedere ad un vero esperto di riproduzione e genetica caprina: il Dott. Guido Bruni. Per chi non lo conoscesse, Guido Bruni è stato il coordinatore tecnico del SATA (Servizio Assistenza Tecnica Allevamenti) Sezione Caprini e Ovini della Lombardia, attualmente lavora presso l’ARAL (Associazione Regionale Allevatori della Lombardia), inoltre è Animatore del Polo Caprino del Sud-Est della Francia dove è tecnico referente sulla riproduzione e genetica caprina per conto di AURIVA-Elevage (Cooperativa d’Inseminazione) e di Capgènes (Libro Genealogico Caprino). Ha inoltre partecipato a progetti in ambito nazionale ed europeo ed è l’autore di numerose pubblicazioni.

Prima di tutto: perché non esiste più il SATA? I servizi che offriva sono passati a qualche altro ente?

Il SATA era il servizio di assistenza tecnica agli allevatori, è nato nel 1995 grazie alla volontà e lungimiranza della Regione Lombardia e ha concluso la sua attività nel 2015. La chiusura è stata causata da molteplici fattori: il costo sostenuto dagli allevatori era nettamente inferiore al costo reale dei servizi essendo questi cofinanziati dalla Regione Lombardia, nel 2015 sono venuti meno questi finanziamenti in coincidenza con un momento di congiuntura economica sfavorevole per le aziende caprine, che non sono state in grado di sostenere l’intero costo dei servizi. La conseguente perdita di buona parte dell’organico dei tecnici, in coincidenza con il processo di regionalizzazione delle APA (Associazioni Provinciali Allevatori) che ha trasferito la gestione dei Controlli Funzionali e dei Libri Genealogici alle ARA (Associazioni Regionali Allevatori), con una rivoluzione generale all’interno di tutti questi enti, ha impedito di riorganizzare e coordinare in modo univoco il servizio.

Il SATA è stato una pietra miliare per la crescita delle aziende caprine ed un importante riferimento anche a livello nazionale, andrebbe però riorganizzato da servizio d’assistenza a servizio di consulenza, che affianchi gli allevatori dalla fase di formazione del futuro imprenditore, a quella d’avvio dell’attività fino al successivo raggiungimento degli obiettivi tecnici ed economici dell’allevamento caprino. Probabilmente nel 2019 la Regione Lombardia riaprirà i bandi del PSR relativi alla consulenza tecnica in agricoltura, i Tecnici dell’ARAL saranno pronti a sfruttare questa opportunità per rilanciare nuovi servizi di consulenza agli allevatori.

Perché un allevatore dovrebbe essere interessato all’Inseminazione Artificiale (IA)? Rispetto alla monta naturale si hanno dei vantaggi?

Gli allevatori dovrebbero sicuramente essere interessati a fare IA essenzialmente perché questa tecnica porta a quattro grandi vantaggi: sanità, variabilità genetica, progresso genetico e gestione della riproduzione.

Sanità

Le dosi prodotte nel centro genetico di Capgènes garantiscono le massime garanzie sanitarie di assenza delle principali malattie dell’allevamento caprino, agendo a 4 livelli di controllo sanitario: l’allevamento d’origine del becco, la madre del becco, la quarantena dei becchi e le dosi di seme prodotto. Il primo motivo per fare IA è quindi sanitario, evitando l’introduzione di animali di provenienza esterna in azienda.

Facciamo un esempio: decido di aprire un allevamento di capre, parto con un certo numero di caprette, possibilmente acquistate da un unico allevamento che mi dia le massime garanzia sanitarie, e in pochi anni, grazie alla precocità e gemellarità della capra, aumento il numero di capi del mio gregge fino a raggiungere il numero ottimale dei capi da allevare. In seguito faccio IA per evitare introduzioni di animali dall’esterno e garantire la variabilità ed il progresso genetico mantenendo un elevato standard sanitario. In questo esempio l’acquisto di animali dall’esterno è fatto una sola volta (all’inizio) e poi mai più!

Variabilità genetica

L’IA permette di mantenere un’elevata variabilità genetica (bassa consanguineità) del mio gregge, perché le dosi provengono da becchi di varie famiglie poco imparentate tra loro.

Questa tecnica permette quindi di “cambiare il sangue agli animali” senza rischi sanitari derivanti dall’acquisto di un becco.

Progresso genetico

Le dosi provengono da becchi miglioratori ad una prova di progenie (nati dai migliori padri e madri della popolazione ma confermati dalla bontà delle figlie), l’IA garantisce quindi un più rapido progresso genetico e quindi la possibilità di raggiungere più facilmente gli obiettivi aziendali prefissati (latte, titoli, morfologia, cellule…).

Gestione della riproduzione

Con l’IA si possono concentrare i calori, con il trattamento ormonale o con l’effetto maschio, sia del gruppo di capre che voglio fecondare, sia di quelle destinate alla monta naturale. Questo mi permette di concentrare i parti in un determinato periodo e quindi di avere la produzione di latte programmata nel periodo economicamente più favorevole ed una gestione aziendale semplificata (gruppo alimentare unico delle capre in transizione, gruppo alimentare omogeneo delle caprette da rimonta).

Parlando di fertilità: è vero che la fertilità in monta naturale è superiore rispetto a quella dell’inseminazione artificiale?

In generale sì, anche perché il confronto è impari per quantità e vitalità del seme dell’eiaculato durante la monta e della dose dopo scongelamento. Tuttavia per poter confrontare le due fertilità bisogna ragionare sul singolo intervento fecondativo. Quando si parla di fertilità in monta naturale, è raro che ci si riferisca al singolo intervento, perché il becco viene lasciato per un lungo periodo con le capre e alla fine dopo 5 mesi di gravidanza si va a vedere qual è la fertilità generale del gregge, che si dovrebbe attestare attorno al 90%. Però ogni capra, prima di essere fecondata, quante volte è stata montata dal becco? Per fare un confronto alla pari con l’IA bisognerebbe vedere quante capre sono rimaste gravide alla monta naturale nei primi 21 giorni (1 ciclo) dall’introduzione del becco. La fertilità dell’IA (riferita al singolo intervento) in media si attesta intorno al 65-67%. Intorno alla media ci sono sia risultati eccellenti (>80%), sia scarsi (<50%) ma in questi casi l’esperienza insegna che la causa dell’insuccesso risiede in alcuni fattori principali che sono noti e che vedremo in seguito.

Abbiamo visto che facendo le fecondazioni artificiali si hanno quattro importanti vantaggi e che le fertilità in monta naturale o con l’IA (se ben eseguita) non siano particolarmente diverse. Quindi, secondo lei, perché le fecondazioni sono ancora poco diffuse in questo settore?

Sicuramente non c’è un solo motivo che blocca gli allevatori, anche se in base alla mia esperienza posso dire che manca proprio la cultura. L’allevamento della capra è visto, anche se oggi meno, ancora come un settore marginale e povero, da un lato scarseggiano competenze tecniche tali da proporre questa tecnica garantendo buoni risultati che incoraggino l’allevatore a farla propria, dall’altro spesso gli allevamenti nascono senza basi solide e l’allevatore potrebbe non avere abbastanza competenze per gestire le fecondazioni, preferendo così la monta naturale. I becchi sono animali relativamente di piccole dimensioni, facili da gestire, movimentare e con richieste alimentari sostenibili per un allevamento; questo induce gli allevatori a tenere in azienda anche i maschi e quindi a praticare monta naturale. Non dobbiamo dimenticarci poi che il progresso genetico è partito più tardi rispetto al settore bovino e per vedere i vantaggi delle IA bisogna accumulare gli effetti, il che significa fare tante fecondazioni e allevare tante figlie dirette di IA.

È vero che si possono seguire due approcci per praticare le inseminazioni? Quali sono?

Sì, ci sono due approcci entrambi valevoli:

Primo approccio: faccio poca IA (10-20% delle capre in lattazione) per cambiare i becchi puntando alla linea maschile. Questo porta a due grossi vantaggi: cambio sangue e non compro niente dall’esterno. Il fatto di non comprare nessun animale dall’esterno non è un aspetto marginale, perché mi permette di evitare dei rischi sanitari (anche comprando animali in stalle certificate) e poi perché non conosco la reale genetica dell’animale che sto portando a casa.

Secondo approccio: faccio tante IA (30-50% delle capre in lattazione) per avere una buona parte o tutta la rimonta nata da IA puntando alla linea femminile. In questo modo riesco ad avere effetti cumulati, massimizzando il progresso genetico.

Cosa ci può dire del Contratto Genetico Caprino (CGC)?

Il CGC nasce nel 2012 per la volontà di un gruppo di allevatori motivati e lungimiranti. Si tratta di un progetto pluriennale molto ambizioso per valorizzare le razze Camosciata e Saanen, in cui il termine “contratto” prevede impegni e vantaggi per l’allevatore, finalizzati all’erogazione di servizi di consulenza tecnica altamente qualificata sulla riproduzione e sulla genetica caprina. I costi sostenuti dall’allevatore sono finalizzati a una serie di benefici, tra cui possiamo ricordare forse il principale: ottenere una buona fertilità all’IA garantendo 2/3 di capre gravide (67% di fertilità).

La domanda che viene spontanea è: come si fa a garantire il 67% di fertilità?

1. Scegliere correttamente le femmine. Bisogna analizzare i dati e gli eventi riproduttivi delle capre segnando “in rosso” quelle che hanno minor probabilità di rimanere gravide: capre anziane oltre la 5a lattazione, capre che hanno partorito troppo tardi con meno di 180 giorni tra il parto e l’IA e infine le capre che l’anno precedente sono rimaste vuote con l’inseminazione, non sono soggetti idonei.
2. Applicare con rigore i protocolli di riproduzione. Gestire correttamente il fotoperiodo, se effettuo la destagionalizzazione, e applicare il trattamento ormonale in maniera molto rigorosa.
3. Organizzare correttamente il cantiere di fecondazione.

  • Minimizzare gli shock ad un seme molto più sensibile di quello bovino (tempi e temperature di scongelamento).
  • Presenza di attrezzatura idonea alla specie caprina (speculum, lampada stilo, pistolet, guaine).
  • Corretto sollevamento e contenimento ottimale della capra (sedia, cattura, parete).
  • Evitare stress agli animali nel periodo precedente, durante e successivo all’IA (no troppo tempo in cattura, tempo permanenza speculum limitata, no forzatura per passaggio cervice, libere di sdraiarsi e ruminare dopo l’IA).

Si può dire che storicamente il punto forte del CGC è stato un servizio riproduttivo efficace ed apprezzato dagli allevatori, tuttavia il 2019 potrebbe essere l’anno di svolta anche da un punto di vista dei servizi genetici. Infatti AssoNaPa (Associazione Nazionale della Pastorizia) ed AIA stanno formalizzando un accordo con ARAL per la gestione del progetto, in previsione di un accordo quadro con la Francia, per permettere anche agli allevatori italiani di evolvere da un approccio di “acquisto della dose”, ad una logica di “adesione ad uno schema collettivo di selezione” congiunto tra le due nazioni. Il primo passo concreto in questa direzione è stata la possibilità nel 2019, per la prima volta in assoluto, di utilizzare dosi di “Giovani Becchi Genomici” (ex. becchi “in Testaggio”) anche in Italia nell’ambito del CGC per gli allevatori “Creatori”.

Ormoni e melatonina: cosa dice la legge in Italia?

Nelle aziende certificate BIO tutti gli ormoni sono vietati, è quindi vietato l’uso sia della melatonina che degli ormoni del trattamento classico (spugne con progesterone, PMSG ed estrumate).

Nelle aziende convenzionali l’unica limitazione riguarda l’utilizzo delle spugne di progesterone CRONO-GEST, che prevede il loro carico e scarico su uno specifico Registro dei trattamenti ormonali, da far vidimare alle ATS competenti e la sospensione del latte per tutti i giorni di applicazione delle spugne, più le tre mungiture successive.

Al di là delle norme cogenti, è indubbio che sempre un maggior numero di allevatori di capre, sia in Francia che in Italia, è interessato al tema tecnico dell’IA “senza ormoni”. Questo non solo per obblighi dettati da disciplinari, ma soprattutto per scelte personali e di immagine rispetto ai consumatori di prodotti caprini d’eccellenza. Il tema è complesso ma le soluzioni tecniche (effetto maschio, rilevamento calori con grembiule marcatore e IA distribuite su qualche giorno) sono già operative e proponibili concretamente agli allevatori, garantendo una fertilità sovrapponibile (67%) all’IA “con ormoni”. Infatti questi sono i risultati che ottengono le aziende che applicano il protocollo “senza ormoni” attualmente diffuso in circa il 10% delle IA realizzate sia dal CGC in Italia (150 IA senza ormoni su 1.500 IA totali), sia nella mia zona di lavoro nel Sud-Est francese (800 IA senza ormoni su 8.000 IA totali).

Nei cataloghi dei becchi si trovano indici semplici e composti, potrebbe spiegarci questa differenza e come fare a scegliere il becco giusto per ogni capra?

L’indice è una stima del valore genetico (genotipo) di un individuo per un determinato carattere, il valore che vado a misurare è il fenotipo (performance), dato dal genotipo più l’ambiente. Quando si parla di stimare il valore genetico di un individuo, vuol dire “ripulire” dagli effetti ambientali e parentali i fenotipi dell’individuo stesso. Gli indici semplici o elementari stimano un solo carattere (es. Kg di Latte, % Grasso e % Proteine), mentre gli indici composti o combinati (es. IPC = Indice Produttivo Caprino, IMC = Indice Morfologico Caprino e ICC = Indice Combinato Caprino) sommano una serie di indici elementari, dando un differente peso a ciascuno di essi, per tradurre il tutto in un obiettivo economico.

In pratica l’indice composto mi permette di classificare velocemente gli animali per un loro valore economico, il vantaggio è quindi la praticità (classifica di stalla delle capre dalla più redditizia alla meno redditizia), mentre lo svantaggio è il mascheramento delle informazioni specifiche che mi permettono gli indici elementari (es. in cima alla classifica delle capre per ICC posso avere una prima capra forte a latte e debole a titoli e la seconda classificata debole a latte e forte a titoli).

Facciamo un esempio per un corretto utilizzo degli indici semplici e composti: classifico le mie capre per ICC e le divido in 3 gruppi (A = ICC alto, B = ICC medio, C = ICC basso) come i becchi d’IA del Catalogo (A i becchi di categoria GA, B i becchi di categoria P e C i becchi di categoria S). Prima faccio un accoppiamento di tipo “cumulativo”: A x A, quindi B x B e infine C x C, poi all’interno di ognuno dei 3 gruppi faccio accoppiamenti di tipo “compensativo”: la prima capra in classifica è forte a latte e debole a titoli e in mammella, sceglierò un becco del catalogo forte in titoli e mammella, la seconda è debole a latte e forte in titoli e mammella, sceglierò un becco del catalogo forte a latte e così via.

Perché in alcuni casi si manifestano anomalie nei capretti nati da FA?

Alcune anomalie si possono manifestare in caso di eccesso di consanguineità, quando si incrociano delle linee che portano i caratteri recessivi (quindi non visibili) indesiderati. Le anomalie morfologiche di provata base ereditaria più diffuse sono le quattro seguenti: capezzoli accessori, doppi capezzoli funzionali, ernie ombelicali, difetti di mandibola (mandibola inferiore corta o “enognatismo” e mandibola inferiore lunga o “prognatismo”).

Per questo motivo negli ultimi anni durante l’accoppiamento si tengono conto delle eventuali incompatibilità di primo (padri) e secondo (nonni) livello, tra la capra e la dose d’IA, proprio per evitare eccessi di consanguineità che potrebbero comportare una maggiore probabilità di tare genetiche nella discendenza.

Concludo parlando di un’ultima anomalia che presenta una certa diffusione soprattutto nei giovani maschi e nelle linee genetiche di grande taglia (soprattutto nella razza Saanen): la presenta di difetti negli arti anteriori (ad “arco” o a “X”).

In questo caso ad una predisposizione forse “genetica”, concorrono indubbiamente fattori “ambientali” che impattano sul giovane becco prima dello svezzamento: sviluppo scheletrico imponente (eccessiva concentrazione del latte in polvere, polvere di latte eccessivamente ricca, carenze o squilibrio in oligominerali) associato ad uno scarso sviluppo muscolare (carenza di spazio e di locomozione nella capretteria).

Si ringrazia il Dott. Guido Bruni per la disponibilità e la cortesia.
A cura di Irene Valsecchi

 

Fonte: capre.it