L’ordinanza, depositata il 6 giugno, archivia i procedimenti penali contro ignoti per vari reati legati alla gestione delle quote latte ma lancia pesanti accuse.

Il Gip (Giudice per le indagini preliminari) del Tribunale di Roma, Paola Di Nicola, dopo un’intensa attività investigativa e difensiva, ha concluso che i dati posti a fondamento del regime delle quote latte in Italia non sono veritieri, in quanto fondati su autodichiarazioni spesso false e su un sistema di calcolo errato. La Giudice afferma inoltre che la falsità dei dati è nota a tutte le autorità amministrative e politiche, rimaste consapevolmente inerti per 20 anni per evitare di scontentare corporazioni o centri di interesse, determinando così gravi danni allo Stato, che ha pagato le multe, e agli allevatori e produttori che hanno fino ad oggi rispettato le regole.

Se il quantitativo complessivo sulla produzione fosse stato gonfiato, tanto da aver fatto superare, nel corso degli anni, la quota nazione, in base a dati non rispondenti al vero, le conseguenze sarebbero deflagranti perché le sanzioni pagate dall’Italia all’Ue ed il prelievo supplementare chiesto ai singoli produttori potrebbero non essere dovuti” scrive Di Nicola.

Riportiamo di seguito le conclusioni del Giudice.

Alla luce di quanto accertato, non può che concordarsi con quanto sostenuto unanimemente dai difensori degli opponenti ovverosia che il numero di 5.753.822.000 di bovini improduttivi e senza alcun “evento di parto”, pari al 61% degli animali da latte italiano, inseriti nelle Banche Dati Nazionali in uso ad Agea e alla Izs, costituisca la prova della totale inattendibilità e falsità dei dati del sistema.

Di Nicola sottolinea che logicamente falsificare il dato dei capi da latte incide in modo determinante sul quantitativo di latte prodotto nel nostro paese.

Vengono quantificati i contributi economici dell’UE illecitamente erogati a società, enti, allevamenti, produttori inesistenti o artificiosamente costituiti, per quasi 6 milioni di capi improduttivi inseriti nel patrimonio bovino produttivo nazionale. Si tratta di ingentissime somme di denaro erogate per perpetuare negli anni un sistema criminoso che operava sotto gli occhi di tutti e che non è stato in alcun modo ostacolato, o quantomeno controllato, dalle autorità preposte.

Secondo i difensori, si tratta di 200 euro per vacca ogni anno, pari al valore di ciascuna quota latte, ovvero di 1.152.764.400 euro per ciascun anno (200 euro x 5.763.822).

Non è un errore ma un dato di realtà per il quale non si rintraccia una centrale criminale con individuate responsabilità personali ma diversi ambiti tecnico amministrativi che negli anni hanno creato fortissimi e occulti centri di potere tutti convergenti nel violare regole e controlli con i sistemi più disparati per far arricchire alcuni produttori e allevatori a discapito degli altri viziando gravemente il mercato. A questo si aggiunge un altro dato inquietante che riguardante i controlli meramente formali svolti dagli assessorati all’agricoltura di tutte le Regioni italiane, i cui esiti, nonostante il numero di anomalie segnalate, si sono conclusi con irrisorie correzioni e sanzioni che hanno mantenuto ferma la falsità su cui l’intero sistema ha proliferato per anni.

Per quello che risulta dagli atti non vi e dubbio che vi sia stata, per decenni, una totale incapacità e superficialità, e verosimili connivenze, da parte degli organi di controllo degli assessorati all’agricoltura delle Regioni nell’ottemperare ai propri obblighi di accertamento sui dati forniti dagli allevatori e dai primi acquirenti.

Se dette attività di vigilanza e controllo fossero state effettivamente svolte, come competeva istituzionalmente agli enti locali regionali, tutte le questioni di carattere economico e amministrativo sopra esaminate, non si sarebbero poste perchè sarebbe state impedito di violare, per decenni, le regole che le istituzioni dell’UE e poi quelle interne avevano posto a tutela del corretto conteggio delle quote latte e del produttori onesti.

Si ritiene che la sede giudiziaria penale, peraltro a distanza di anni dai fatti, non possa fornire alcuna effettiva ed efficace risposta ai legittimi interrogativi, trasformatisi in una drammatica e cruda realtà, dei produttori e degli allevatori onesti che hanno denunciato il gigantesco ed endemico meccanismo di falsificazione dei dati posti a base delle quote latte.

La responsabilità penale è personale e, nonostante le approfondite indagini svolte, sino ad oggi è emerso soltanto un quadro desolante di diffusa incapacità, neghittosità, perseguimento di interessi di singoli centri di potere e assenza di trasparenza rispetto agli obblighi gravanti sulla Pubblica Amministrazione.

Si sono intrecciate negli anni malcostume, inerzia, negligenza, approssimazione, connivenze, collateralismo, assenza del senso delle istituzioni e di rispetto delle regole minime di trasparenza e buona andamento della Pubblica amministrazione da parte degli organi preposti ai controlli che per legge avrebbero dovuto provvedervi, tale da rendere difficile, se non impossibile, I’individuazione di responsabilità singole per fatti determinati, come la sede penale impone.

Il livello di vertice, a sua volta, a parte avere insediato Commissioni di inchiesta parlamentari che hanno disvelato il meccanismo di plateale falsificazione dei dati, non è riuscito a produrre nessun atto concreto, se non quello della passiva e inerte accettazione del malcostume diffuso, mai fermato, mai sanzionato.

Infine, con riguardo alla legittimità o meno del cosiddetto “Gruppo ristretto”, cioè di un nucleo di funzionari delle Regioni, di Agea, del Ministero dell’Agricoltura, ecc. che per anni avrebbe gestito tutto il complesso della verifica della coerenza produttiva senza alcuna trasparenza, non si può che rilevare che ciò in se, per le ragioni sopra scritte, non costituisce reato specie in considerazione del fatto che dell’esistenza di detto “gruppo” tutte le istituzioni, a partire dallo stesso Ministero dell’Agricoltura, erano a conoscenza, come emerge atti acquisiti carabinieri, tanto da avere operato, assumendo anche decisioni delicatissime come quelle in esame.

Di Nicola ha dichiarato quindi l’archiviazione del procedimento dal momento che l’unico potere spettante all’Autorità giudiziaria a cui appartiene è quello di individuare responsabilità penali individuali, cosa in questo caso impossibile. Il modo sconsiderato con cui per anni è stata amministrata la cosa pubblica relativamente alle quote latte appartiene ad un quadro politico-amministrativo di cui altri soggetti istituzionali devono assumersi l’onere di ricercare un altro tipo di responsabilità.