Premessa
Negli ultimi tempi, un termine risulta inflazionato e molto utilizzato in diversi settori produttivi: sostenibilità. Evidentemente siamo nell’epoca della necessità di rendere ogni azione ed attività umana sostenibile, ovvero in grado di impattare il meno possibile sull’ambiente in cui viviamo, garantendo l’economicità ed eticità di ciò che andiamo a produrre.
Le generazioni precedenti hanno spinto sulla produzione, alla rincorsa di un fabbisogno alimentare crescente e di una necessità di superare carenze nutrizionali che ancora oggi non sono state risolte in tutto il mondo. Pertanto, oggigiorno, siamo tutti chiamati a coniugare sia produzione che sostenibilità.
Nel prossimo futuro, dovremo sicuramente aggiungere alla produzione sostenibile del terzo millennio un ulteriore termine, difficile da prevedere ora ma che sicuramente dovrà considerare il mantenimento della cultura e tradizione agroalimentare di ogni popolazione come elemento di identità, di storia e di valore locale, tramandato di generazione in generazione.
Nell’anticipare questa prospettiva, le attività di ricerca e sviluppo, svolte in sinergia tra Università, Associazioni allevatori e mondo della trasformazione, stanno evidenziando negli ultimi anni un’evoluzione sugli obiettivi di selezione ed attività di controllo funzionale delle popolazioni animali. Popolazioni animali che saranno destinate, a livello nazionale, a produrre prodotti quali latte, carne, uova e relativi derivati, sempre più sostenibili ed etici, nonchè intrisi di cultura e storia agroalimentare tutta italiana. Una storia agroalimentare, quella nazionale, riconosciuta unanimemente di eccellenza ed unica a livello mondiale.
Nuovi fenotipi in zootecnia
Recentemente nel settore zootecnico, dopo anni di sforzi e azioni mirate alla misurazione e valutazione delle prestazioni, morfologiche prima (ri)produttive e sanitarie poi, ci si sta orientando verso nuovi fenotipi e caratteri in grado di mitigare le emissioni di carbonio (metano enterico), migliorando l’efficienza alimentare degli animali e controllando la loro ingestione giornaliera (Leggi anche “Selezionare per ridurre le emissioni di metano nella bovina da latte: intervista a Martino Cassandro e Raffaella Finocchiaro”), nonché di migliorare il benessere animale (es. riduzione della frequenza di patologie mammarie quali mastite in primis oppure della chetosi post parto), consentendo di conseguenza di ridurre l’uso di antibiotici nella cura di varie patologie animali. All’orizzonte si sta, inoltre, affacciando un ulteriore nuovo obiettivo selettivo, ovvero quello di migliorare l’efficienza azotata nel latte. Ne è una prova l’introduzione di questo argomento nei recenti piani di sviluppo rurale nazionale da parte degli enti selezionatori (ANA) di diverse razze e specie da latte.
L’azoto totale ed ureico nel latte
L’azoto totale del latte (somma dell’azoto organico ed inorganico), ovvero la cosiddetta proteina grezza, è un carattere rilevato ormai di routine dal sistema nazionale dei controlli funzionali del latte, e risulta uno storico indicatore della produzione casearia di una bovina, bufala, pecora o capra; tanto è vero che in gran parte degli indici di selezione delle popolazioni animali da latte è il carattere che ad oggi presenta il peso maggiore. Più recentemente, grazie alla tecnologia del medio infrarosso (Leggi anche “Tecnologie all’infrarosso e laboratori latte: le opportunità di una innovazione”), si può disporre dell’azoto ureico (azoto inorganico) del latte (MUN-milk urea nitrogen), utilizzato per il momento dagli alimentaristi nel calibrare al meglio l’apporto proteico nelle razioni di bovine, bufale e ovi-caprini da latte.
Riallacciandoci alla premessa sopra descritta, nel settore lattiero-caseario italiano mondiale si intravede la necessità di dover garantire una produzione sostenibile, abbinata alla tutela della cultura e storia casearia che contraddistingue la zootecnia da latte nazionale. Pertanto, si impone sempre più la necessità di ottimizzare e valutare lo stato di efficienza nell’utilizzo dell’azoto organico ad uso caseario, e non totale, dei ruminanti da latte.
Sino ad oggi il MUN non è mai stato utilizzato per scopi di selezione, pertanto, il suo contenuto totale nel latte o il suo contenuto in relazione all’azoto totale e caseinico potrebbe rappresentare una valida strategia per produrre animali con una maggiore efficienza di utilizzo dell’azoto.
Cosa è il MUN – Milk Urea Nitrogen?
L’urea è una piccola molecola organica sintetizzata nel fegato dall’ammoniaca e derivante dalla degradazione delle proteine e di altri composti azotati (Parker et al., 1995), ed è considerata un utile indicatore dell’efficienza di utilizzo dell’azoto alimentare e dell’escrezione urinaria di azoto (Jonker et al., 1998; Nousiainen et al., 2004). Una volta rilasciata nel sangue, l’urea passa facilmente al latte (Broderick e Clayton, 1997), dove rappresenta il componente primario dell’azoto non proteico. Sebbene non sia inclusa nei sistemi di pagamento per la qualità del latte, la MUN dei ruminanti è un indicatore di notevole interesse per l’allevatore, in quanto fornisce informazioni sulla carenza o l’eccesso di proteine nella dieta, ed è quindi adottata per monitorare l’efficienza di utilizzo dell’azoto dell’animale (Roy et al., 2011). Il MUN viene infatti utilizzato per valutare l’equilibrio tra carboidrati e fonti di azoto nell’ambiente ruminale (Jonker et al., 1999; Aguilar et al., 2012). L’equilibrio nella digestione del rumine è fondamentale non solo per ottenere una produzione ottimale dal punto di vista qualitativo e quantitativo, ma anche per garantire lo stato di salute e il benessere degli animali.
La selezione genetica per l’incremento simultaneo della produzione e il miglioramento della qualità del latte e delle sue caratteristiche funzionali (ad es. salute, longevità, fertilità) è il principale obiettivo di molti programmi di allevamento di ruminanti da latte. Il miglioramento dell’efficienza di utilizzo dell’azoto nella produzione di latte è importante per ridurre le emissioni ambientali di protossido di azoto e ammoniaca a livello di allevamento (Castillo et al., 2000). Tuttavia, le informazioni sui parametri genetici per il MUN e su altri indicatori possibili dell’efficienza di utilizzo dell’azoto, così come le relazioni genetiche con i caratteri di produzione del latte, sono ancora scarse.
La ricerca italiana sul MUN
Recentemente, è stata pubblicata sul prestigioso Journal of Dairy Science (Bobbo et al., 2020 doi.org/10.3168/jds.2020-18445) una ricerca tutta italiana con l’obiettivo di esplorare gli aspetti genetici del MUN e di nuovi potenziali indicatori dell’efficienza dell’azoto, vale a dire i rapporti tra proteine e MUN, caseina e MUN e proteine del siero di latte e MUN, nella popolazione italiana di razza Bruna. L’inclusione di questi rapporti nei programmi di allevamento potrebbe aiutare a migliorare l’aumento dell’azoto organico, utile per la produzione di formaggio, e a ridurre l’azoto inorganico (MUN) nel latte, che se eccessivo rappresenta un’inefficienza animale ed un impatto ambientale, oltre che un rischio di riduzione del benessere dell’animale stesso.
Per l’analisi genetica sono stati utilizzati 153.175 record di produzioni giornaliere di 10.827 vacche in 500 allevamenti. Le componenti della varianza e l’ereditabilità dei caratteri sono state investigate riportando questi valori molto promettenti, ovvero:
Carattere | Media (d.s.)1 | Ereditabilità (e.s.)2 | Correlazione genetica con il latte |
---|---|---|---|
Latte, kg/d | 24,05 (7,85) | 0,10 ± 0,01 | 1 |
Azoto totale (PG), % | 3,70 (0,42) | 0,36 ± 0,01 | -0.28 |
Caseina, % | 2,88 (0,33) | 0,37 ± 0,01 | -0.25 |
Siero-proteine, % | 0,82 (0,12) | 0,22 ± 0,01 | -0.29 |
Cellule somatiche, SCS | 2,86 (1,86) | 0,09 ± 0,01 | -0.14 |
Indicatori di efficienza azotata: | |||
MUN, urea nel latte, mg/L | 25,22 (8,04) | 0,20 ± 0,01 | -0.03 |
PG/MUN | 0,17 (0,08) | 0,15 ± 0,01 | -0.05 |
Caseina/MUN | 0,13 (0,06) | 0,15 ± 0,01 | -0.05 |
Siero-proteine/MUN | 0,04 (0,02) | 0,12 ± 0,01 | -0.07 |
1 d.s. = deviazione standard; 2 s.e.= errore standard
Le stime di ereditabilità per il MUN (0,20 ± 0,01) e i 3 nuovi indicatori di efficienza dell’utilizzo dell’azoto (0,15 ± 0,01 per i rapporti proteina/MUN e caseina/MUN, e 0,12 ± 0,01 per il rapporto proteina del siero di latte/MUN) suggeriscono l’esistenza di un potenziale genetico al fine di selezionare per una maggiore quantità di azoto organico ed una minore quantità di azoto inorganico nel latte. I valori di ereditabilità di questi nuovi fenotipi, legati all’efficienza azotata, sono risultati tutti superiori a quelli della produzione di latte, carattere che è stato selezionato in modo intenso e proficuo negli ultimi 50 anni.
L’associazione genetica tra MUN e i 3 rapporti è risultata elevata (-0,87) ma non pari all’unità, suggerendo che tali rapporti potrebbero fornire ulteriori informazioni, oltre a quelle fornite dal solo MUN, per quanto riguarda l’efficienza dell’utilizzo dell’azoto. Inoltre, il MUN ed i relativi 3 rapporti sono risultati poco correlati con il latte prodotto al giorno, lasciando presagire che il miglioramento dell’efficienza azotata non comprometterà la produzione di latte.
Conclusione
L’inclusione del MUN nei programmi di allevamento potrebbe accelerare il processo di aumento dell’azoto organico, utile per la produzione dei nostri prodotti caseari di eccellenza, migliorando di fatto l’efficienza azotata e riducendo l’impatto ambientale tramite la riduzione dell’azoto inorganico (MUN) nel latte.
In conclusione, essendo il MUN un carattere con ottimo intermedio, si dovranno evitare gli estremi di MUN sia in eccesso che in difetto nel latte prodotto, permettendo una selezione equilibrata per l’efficienza azotata dei ruminanti in produzione zootecnica, garante della qualità delle produzioni casearie italiane e del benessere animale.