“Oggi i piatti che arrivano sulla nostra tavola hanno perso un po’ del loro sapore, quello che si gustava una volta.”
Olio Plauso, 1974
Scommettiamo che ad ogni marketer del comparto – tra clienti, social, cittadini e consumatori – sia capitato di sentire, non una volta ma almeno qualche centinaio, frasi del tipo “la frutta di oggi non sa di niente”, “non si mangia più come una volta”, “eh magari avessimo l’agricoltura e il buon cibo di un tempo senza pesticidi”, “se fosse possibile bere il vino che si faceva quando ero giovane” e così via… E’ un leitmotive molto variegato, declinato in mille sfaccettature, e assai diffuso.
“Eh, certo che non c’è più il marketing di una volta!”
Un Mad Man che preferisce rimanere anonimo
Ma cosa si nasconde dietro questa percezione estremamente negativa dell’agrifood contemporaneo? Il cibo di oggi è veramente così terribile? E quali sono i fatti che hanno portato una percentuale significativa di cittadini a maturare un’idea sostanzialmente apocalittica sulla qualità dei prodotti agroalimentari attualmente in commercio? Non sono domande banali. C’è di mezzo la qualità delle produzioni, la trasformazione e anche la psicologia del consumatore, fino al successo commerciale di alcuni fenomeni come i “grani antichi” o, più in generale, di alcune tendenze legate ad una certa idea di sostenibilità.
Di fronte a queste domande, consciamente o inconsciamente, starete pensando ad innumerevoli servizi televisivi ed articoli, anche di fonti autorevoli, dove capeggiano regolarmente, ahinoi, delle parole chiave ricorrenti come “pieno di pesticidi”, “sequestri”, “irregolarità” e similari. Starete pensando anche ad un marketing particolarmente aggressivo portato avanti da varie istituzioni del biologico. Starete forse pensando a quella fastidiosa comunicazione basata sempre e solo su aggettivi e mai sui numeri certificati. Ma cerchiamo di andare più in profondità…
Non è certo un caso che l’assoluta verità scolpita nel marmo che vuole i pomodori di oggi meno saporiti di quelli del passato (e casi similari), vanti delle assonanze con altri mercati e comparti, come quello dell’istruzione ad esempio. Come è noto:
“Le scuole di oggi non sono più come quelle di una volta.”
Cit. Platone e qualche altro milione di persone nel corso della storia, generazione dopo generazione
Probabilmente ogni comparto deve fare i conti con la presunta eccellenza dei propri predecessori. Per non parlare dei terribili e ignavi “giovani d’oggi”. Flussi mentali così ricorsivi da risultare stucchevoli, ma evidentemente non arginabili.
Tornando a noi, la nostalgia del “buon cibo di una volta” e di una fantomatica “buona agricoltura del tempo passato” è una croce con cui bisogna fare i conti, volenti o nolenti. I marketer più smaliziati cercano di sfruttare questo cortocircuito cognitivo, i più seri invece lo combattono a colpi di veritiere reason why e solide supporting evidence. Tra queste due polarità in cui un’agricoltura bucolica (ma falsa) si confronta con l’agricoltura del presente (più sana e produttiva), il posizionamento mediano – cioè quello di una buona agricoltura ma moderna, romantica ma efficiente, produttiva ma sostenibile – risulta essere probabilmente la via più corretta per il produttore agrifood, per non dire l’unica via percorribile e accettabile per il consumatore.
Bias cognitivi: vediamo di capirci qualcosa…
In merito ai bias cognitivi è già stato scritto moltissimo e non è il caso di ripetersi. In estrema sintesi, i bias sono le trappole mentali in cui inconsciamente cadiamo, tutti e frequentemente; ci portano spesso sulla strada sbagliata e ci obbligano a restare nella cosiddetta area di comfort, a non metterci mai in discussione. Sono trappole molto conservative che ci trasmettono un falso senso di sicurezza e che ci portano verso l’arroganza, anche se spesso ci aiutano a prendere decisioni veloci e non sono completamente da demonizzare. Per chi avesse voglia di approfondire, ecco due pagine sintetiche per una veloce infarinatura:
Vediamo intanto di concentrarci sul secondo link, quello dedicato alla retrospettiva rosea:
“La retrospettiva rosea è un fenomeno psicologico tale per cui le persone tendono a giudicare il passato in modo molto più positivo di quanto giudichino il presente. I latini usavano dire in merito “memoria praeteritorum bonorum”. Questo errore logico è detto anche ottimismo retrospettivo o ricordo roseo.”
Wikipedia
La retrospettiva rosea è un bias che, in realtà, affonda le sue radici in fenomeni psicologici più profondi e primitivi: ci riferiamo in primis alla nostalgia (cioè il “dolore del ritorno”) e al mito dell’età dell’oro che potremmo definire come un vero e proprio archetipo del nostro immaginario; non a caso, un thopos presente fin dall’antichità, in varie salse e sfaccettature, in tutte le società.
Diciamoci la verità, tutti siamo dilaniati tra passatismo, presentismo e futurismo. E se, come è evidente, i nostri clienti, i nostri consumatori, cadono in questi tranelli, ecco che davanti agli operatori professionali si delineano delle scelte, tra risultati commerciali da portare a casa e imperativi etici da difendere pancia a terra. Per essere chiari, il mito del “buon cibo di una volta” è, pane al pane, una cavolata pazzesca. Prima di tutto a quale fantomatica età dell’oro ci si riferisce esattamente? Quali sono i fatti e i numeri? E com’è possibile ricordare, con tanta sicumera, dei sapori, dei vantaggi organolettici, a x anni di distanza?
A scanso di equivoci, qui non stiamo parlando della favola del Mulino Bianco, una graziosa iperbole sapientemente narrata che – proprio perché iperbolica – guadagna una sua solida giustificazione etica. Ci riferiamo invece a chi instilla l’idea che il cibo del passato è più salubre di quello del presente, innalzando a verità dei fatti inconsistenti coltivati sulla retrospettiva rosea.
Senza chiudere gli occhi di fronte a determinate aree di debolezza e di cambiamento (pensiamo ad esempio alla battaglia contro il caporalato, l’introduzione di nuove tecniche agronomiche meno impattanti ecc.), il comparto enogastronomico italiano vanta oggi un elevato livello di eccellenza; un sistema che produce cibo con un ottimo mix tra qualità, sicurezza, salubrità, produttività, disponibilità, varietà e, ovviamente, gusto. All’impegno dei produttori e dei trasformatori, si è sommata anno dopo anno una normativa via via più stringente, per risolvere problematiche importanti come ad esempio quella delle micotossine. Un sistema, tra l’altro, fortemente orientato verso la sostenibilità grazie ad un comparto che al rinomato “pieno di fertilizzanti e pesticidi” risponde in realtà con un calo a doppia cifra degli input tecnici.
Il buon cibo di una volta: la campagna Olio Plauso del 1974
Chiudiamo queste brevi considerazioni con una locandina del 1974 che riassume tutto. Siamo semplici esseri umani, evoluti pochissimo, e continuiamo a pensare le stesse cose, generazione dopo generazione; dalla paura dei barbari ai sapori di un tempo, siamo sempre lì a cavallo tra stupidità e ingegno.
Ecco la headline e la bodycopy:
Olio Plauso | 1974
“Da tanto la Rita non mi faceva uno spezzatino così buono.”
Plauso. Per dare allo spezzatino il suo pieno sapore.
Oggi i piatti che arrivano sulla nostra tavola hanno perso un po’ del loro sapore, quello che si gustava una volta.
Per questo è nato Plauso: per dare ai vostri piatti tutta la pienezza del loro sapore. Plauso è il nuovo olio di purissimo arachide, il nobile seme colto a giusta maturazione.
Plauso, fatto apposta per cuocere.
Insomma, già nel 1974 si rimpiangevano i sapori e il cibo di una volta. Il nostro plauso all’Olio Plauso, manipolatorio, ma siamo sicuri che il copy era in buona fede, anch’esso vittima della memoria praeteritorum bonorum.
Significativi i tre testimonial rurali. Il richiamo della vita bucolica è un altro archetipo che, per fortuna, ci portiamo nel cuore, da sempre.
Campagna Olio Plauso, 1974
Foto, illustrazioni, screenshot, grafici:
1) Image by Gerd Altmann from Pixabay
2) Screenshot da www.etimo.it | Dizionario Etimologico Oline
3) L’età dell’oro | di Lucas Cranach il Vecchio – 1. Sconosciuta 2. Nasjonalgalleriet, Presse, aktuelle Utstillinger i Oslo, Pubblico dominio
4) Report Ministero della Salute Controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti – risultati in Italia per l’anno 2018
Fonte: FOCUS ON AGRIFOOD